L'altro giorno parlavo con un'amica. Indossava un maglione rosso e una sciarpetta gialla. Stava benissimo. Tra l'altro è bionda e la sua carnagione chiara. Dopo qualche minuto però c'era qualcosa che non andava, ma non capivo bene che cosa. Non riuscivo a guardarla bene in viso...
del 08 gennaio 2007
L’altro giorno parlavo con un’amica. Indossava un maglione rosso e una sciarpetta gialla. Stava benissimo. Tra l’altro è bionda e la sua carnagione chiara. Dopo qualche minuto però c’era qualcosa che non andava, ma non capivo bene che cosa. Non riuscivo a guardarla bene in viso. Poi le ho detto: per piacere, puoi toglierti la sciarpetta? Appena tolta, il suo sguardo riappariva nella sua accessibilità umana. La “colpa” era del giallo. Il giallo le donava, la rendeva migliore, ma anche più distante, meno visibile, sebbene più brillante. L’occhio, alla fine, si affaticava. Il rosso, tra l’altro, esaltava il giallo dandogli una connotazione calda. Però il giallo accendeva il rosso. Era troppo per una conversazione rilassata. Era come se avessi bisogno di un po’ di marrone, ma non riuscivo a trovarlo.
Il giallo dunque riscalda ed esalta, ma anche rende distante, accecante. Le icone orientali con il loro fondo oro spesso rendono eterno un mistero storico. Prendono una scena del Vangelo o una rappresentazione sacra e la proiettano in una dimensione al di fuori dello spazio e del tempo. Così molti mosaici di stile bizantino. Il giallo riflette la luce e così gli oggetti perdono la loro pesantezza e dunque anche la loro realtà concreta. E la realtà meno è pesante meno è sostenibile. Il giallo alleggerisce e sottrae profondità. E in questo senso dunque è superficiale, fa rimbalzare lo sguardo e lo proietta in una dimensione che, se non fosse quella eterna, sarebbe quella dell’irrealtà, del luccichìo. Il giallo impone ai colori a cui è accostato una scelta: o l’eternità o l’irrealtà.
Ma il giallo è anche una forma coagulata di luce: essa può illuminare ma anche abbagliare. Trabocca, è incontenibile, tende a invadere il campo, a irraggiarsi, tende ad eternizzare, specialmnete se è giallo-oro. L’aureola posta dietro un volto umano lo proietta nella santità; la qualifica di “gold” data a una carta di credito la rende d’élite, superiore; e così via. Ma proprio perchè tende all’eterno, tende anche a rendere concreto l’assoluto, a renderlo pur sempre visibile in colore. In questo senso, dunque, il giallo sembra costituire un passaggio necessario perchè l’assoluto diventi concreto e viceversa.
O può essere un richiamo ad altro, l’invito a un salto, come ne I limoni di Montale:
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo dei cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d’oro della solarità.
Ma esiste anche il giallo-verde. E già a pensarlo ecco apparire le connotazioni più “malate” e sulfuree del giallo. Se Cristo è oro, Lucifero è zolfo: entrambi gialli. Invidia, bile, astio, asprezza, acidità: tutto ciò può essere giallo. D’altra parte il giallo-rosso, cioè l’arancio è, al contrario, il colore di un’estatica gioia di vivere, di un dinamismo caldo e di una energia gioiosa.
Ecco che si comprende come il giallo sia una tavolozza in se stesso. Prende senso dagli accostamenti, ma ancor più dalle commistioni fino a cambiare del tutto di significato: dall’eternità (oro) all’asprezza astiosa (verde), alla gioiosa accoglienza (rosso). Ci richiama dunque all’importanza del contesto, a non essere mai troppo sicuri di se stessi intesi come entità autonome. Come i personaggi di un romanzo, che senza relazioni e sfondi restano muti. Come ciascuno di noi, del resto.
Antonio Spadaro S.I.
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