Da costituente, da parlamentare, da sindaco di Firenze La Pira ha saputo interpretare i valori più alti dell'umanesimo cristiano coniugandoli con quelli universali della pace e della dignità dell'uomo. La sua testimonianza e la sua lezione rappresenta per le giovani generazioni un esempio da coltivare nella pratica del dialogo e del confronto
del 29 giugno 2009
DATI DELLA SUA VITA: DALLA SICILIA A FIRENZE
 
Giorgio La Pira nasce a Pozzallo, in Sicilia, nel 1904. A dieci anni viene mandato dallo zio, a Messina, per studiare: dopo il diploma in ragioneria deciderà di continuare gli studi iscrivendosi a Giurisprudenza. Cresciuto in un ambiente profondamente anticlericale, intorno ai 16 anni inizia a porsi le grandi domande. La sua conversione giunge a termine il giorno di Pasqua del 1924: «lo non dimenticherò mai - scrive a un amico – quella Pasqua del 1924, in cui ricevei Gesù Eucaristico: risentii nelle vene circolare una innocenza così piena, da non potere trattenere il canto e la felicità smisurata».
Nel 1926, quando il professore con cui sta preparando la tesi viene trasferito a Firenze, lo segue: dopo la laurea diviene professore di Diritto Romano, cattedra che manterrà per tutta la vita. In quel primo periodo fiorentino fa attività di volontariato con la San Vincenzo e da vita alla 'Messa dei Poveri'. A Firenze incontra alcune persone che saranno fondamentali per la sua vita: il cardinale Elia Dalla Costa, con il quale si consulta prima di qualsiasi decisione, il fondatore dell'Opera di assistenza 'Madonnina del Grappa' Don Giulio Facibeni.
Nel 1946 viene eletto all'Assemblea Costituente, dove da un contributo decisivo alla stesura della Costituzione italiana. Rieletto deputato, entra nel primo governo De Gasperi come sottosegretario al lavoro. Nel 1951 diventa Sindaco di Firenze, carica che ricoprirà, con qualche interruzione, fino al 1965. Difende con energia i più deboli della città, le famiglie senza casa, i lavoratori.
A Firenze promuove, dal 1952 al 1956, i convegni internazionali per la pace e, dal 1958, i 'Colloqui mediterranei' per la riconciliazione tra cristiani, ebrei e musulmani. Nel 1959, primo uomo politico occidentale a superare la 'cortina di ferro', si reca a Mosca creando un ponte di preghiera e dialogo tra Italia e Russia. Compirà altri viaggi importanti in Vietnam, a Gerusalemme, in Marocco, negli Stati Uniti.
Fu sempre legato alle suore di clausura, informandole e coinvolgendole nelle sue molteplici iniziative attraverso la preghiera, che considerava una grande 'arma' di efficacia storica e politica. Trascorse gli ultimi anni della sua vita tra i ragazzi dell'Opera per la Gioventù, continuando a lavorare per la pace e l'unità dei popoli a tutti i livelli. Nel 1976 fu eletto nuovamente deputato, nelle file della De.
Muore a Firenze il 5 novembre 1977. Durante i funerali, il Cardinale Benelli esalta l'opera civile di La Pira mettendone in luce le radici religiose: «Nulla può essere capito di Giorgio La Pira se non è collocato sul piano della fede». Nel 1986 il Cardinale Silvano Piovanelli ha aperto il processo di beatificazione che sta concludendo la sua fase diocesana. (C.A.)
 
'SINDACO SANTO'
Il 2004, anno del centenario della nascita, è stato l'anno in cui la figura del 'sindaco santo' è stata riscoperta e rivalutata. Il Presidente della Repubblica Ciampi gli ha conferito la medaglia d'oro al merito civile, affermando che «da costituente, da parlamentare, da sindaco di Firenze La Pira ha saputo interpretare i valori più alti dell'umanesimo cristiano coniugandoli con quelli universali della pace e della dignità dell'uomo. La sua testimonianza e la sua lezione rappresenta per le giovani generazioni un esempio da coltivare nella pratica del dialogo e del confronto». Sul versante ecclesiale ha usato parole ancora più forti Giovanni Paolo II: «Quella di La Pira fu una straordinaria esperienza di uomo politico e di credente, capace di unire la contemplazione e la preghiera all'attività sociale e amministrativa, con una predilezione per i poveri e i sofferenti». E il cardinale Ennio Antonelli, Arcivescovo di Firenze, ha scritto: «È vivo desiderio della Chiesa fiorentina, e non solo di essa, che la santità di Giorgio La Pira venga riconosciuta al più presto possibile».
Eppure, non sempre è stato così: durante la sua vita La Pira è stato anche criticato e preso in giro. il suo ottimismo, il suo credere fermamente nella pace, sono stati scambiati spesso per ingenuità. Studiando la sua vita e le sue parole invece si scopre che dietro ogni gesto, dietro ogni discorso c'era una fede forte e matura, un desiderio profondo di far camminare la storia verso quel tempo di pace e di unità promesso dalla Bibbia. Il suo obiettivo resta uno solo, quello che descrive nel 1936 in una lettera all'amico scrittore Piero Bargellini: «Allora, caro Piero, il programma è chiaro: farci santi noi, per fare santi gli altri». Un programma coraggioso, soprattutto se si sceglie di portarlo avanti non nel chiuso di un monastero, ma assumendosi tutte le responsabilità della vita pubblica. il soprannome di 'sindaco santo', per la verità, lo aveva ricevuto fin dall'inizio della sua attività di amministratore: ma in quella definizione c'era spesso più ironia che ammirazione. Come se, implicitamente, lo si ritenesse troppo santo per fare il sindaco, o lo si volesse invitare a lasciare le cariche pubbliche per poter perseguire liberamente i suoi anditi alla santità attraverso strade più consone. La Pira invece aveva capito (con un anticipo di quarant’anni sul ConciIio Vaticano II) che l'impegno nella società è non solo una via possibile, ma anzi - per un laico - la via maestra verso la santità. Nel 1932, scrivendo la biografia del missionario laico Vico Necchi, afferma: «la santità moderna del nostro secolo avrà questa caratteristica: sarà una santità di laici. Noi incrociamo per le strade coloro che fra cinquant'anni saranno forse sugli altari: per le strade, nelle fabbriche, al Parlamento, nelle aule universitarie». Dopo l'apertura, nel 1986, del processo di beatificazione, la Chiesa potrebbe presto indicare proprio in Giorgio La Pira un esempio di questa santità laicale: il primo beato della politica italiana.
Vale la pena, allora, domandarsi come ha potuto raggiungere questo obiettivo.
 
A FIRENZE
Divenuto sindaco di Firenze nel 1951 (dopo essere stato membro dell'Assemblea Costituente, deputato e sottosegretario) Giorgio La Pira iniziò subito a spendersi per la causa della pace.
Per capire questa sua passione bisogna andare al 6 gennaio di quell’anno: quel giorno, dopo la Messa dell'Epifania fece un gesto che può apparire ingenuo, ma che sarebbe stato il primo di una serie di tentativi importanti. Scrisse a Stalin, per cercare di fermare gli esperimenti nucleari. Lui stesso raccontò l'episodio in una lettera alle suore con le quali teneva una costante corrispondenza. «Quel giorno partì da Firenze (anche se localmente la cosa si svolse a Roma) il primo messaggio cristiano di pace verso la Russia sovietica: quel messaggio - per un complesso provvidenziale di circostanze le più imprevedute - pervenne fino a Stalin. Eravamo in una situazione politica terribile: la guerra sembrava scoppiasse da un momento all'altro: in una situazione così disperata mi nacque, pregando, l'idea di osare l'insondabile: spes contro spem».
Sperare contro ogni speranza: fare ogni tentativo, anche quando tutto sembra perduto, per riportare la pace, per far nascere la trattativa, fermare le armi. E ne fece di tentativi, alcuni ebbero successo, altri no. Di semi di pace, in ogni caso, ne ha sparsi davvero tanti nel mondo, e chi può dire come e quando germoglieranno.
Era convinto, in particolare, che Firenze avesse un ruolo preciso, quello di trasmettere un messaggio di pace al mondo. Amava molto la sua città; e da essa si aspettava grandi cose: lo ha ripetuto in tanti discorsi, in tante occasioni. «Vorremmo che tutti i tesori di storia, di grazia, di bellezza, di intelligenza, di civiltà, che la Provvidenza ha 'accumulato' a Firenze costituissero essi stessi un gigantesco messaggio di pace rivolto a tutti i popoli della terra; un messaggio che li chiama tutti, quasi irresistibilmente, e malgrado ogni resistenza ed ogni contrarietà - spes contro spem - ad edificare la città della pace: a compiere, cioè, l'opera delle opere: a dare inizio alla storia nuova dei 'mille anni' di civiltà e di pace».
Per mettere in pratica queste idee, La Pira convocò a Firenze fin dal 1952 i Convegni per la pace e la civiltà cristiana, e poi i Colloqui mediterranei, con rappresentanti dei paesi arabi e quelli europei. A Firenze arrivavano i rappresentanti di decine di nazioni, c'erano anche i capi di paesi in conflitto che si incontravano, discutevano. La Pira cercava i punti comuni, gli elementi condivisi da tutti i popoli su cui fondare il dialogo: il valore della persona umana, i valori della libertà, dei lavoro, della preghiera, della poesia. L'obiettivo, come spiega nei discorso introduttivo del primo convegno, è quello di ricomporre l'unità dei genere umano: «fare delle Nazioni, nel rispetto dei loro inconfondibili caratteri, un'unica famiglia umana, in modo da assicurare a tutti gli uomini la gioia del lavoro, della casa, della fraterna assistenza e della ricchezza culturale, spirituale e religiosa; ecco il compito davvero grandioso affidato agli uomini del nostro tempo...».
Da queste idee nacquero anche i gemellaggi di cui La Pira si fece promotore, creando legami tra Firenze e le città di tutti i continenti: Filadelfia, Kiev, Kyoto, Fez, Edimburgo, Reims. Bisogna unire le città, diceva, per unire le nazioni. Organizzò anche, a Firenze, un convegno dei sindaci delle capitali dei mondo: Washington, Gerusalemme, Londra, Parigi, Pechino... E anche il sindaco di Mosca, che lo invitò a ricambiare la visita. Sembrava una follia, in piena guerra fredda, nessun politico occidentale aveva ancora passato la cortina di ferro. La Pira accettò l'invito e, nell'agosto del 1959, partì. il suo viaggio ebbe una lunga preparazione: un pellegrinaggio a Fatima (dove la Madonna aveva annunciato la conversione della Russia), poi una visita ai santuario della Verna, dove San Francesco aveva ricevuto le stimmate. Finalmente, nella festa dell'Assunta, arrivo in Russia dove, per prima cosa, andò al santuario ortodosso di Zagorsk per pregare sulla tomba di San Sergio. il giorno dopo rincontro al Cremlino dove, di fronte al Soviet Supremo, La Pira si mise a parlare di Gesù Cristo. «In una fase storica nuova, tutti vedono che è il momento di rafforzare l'impegno per la pace. Come? Signori, io sono un credente cristiano e, dunque, parto da questa 'ipotesi di lavoro' credo nella presenza di Dio nella storia, nell'incarnazione e resurrezione di Cristo e credo nella forza storica della preghiera; perciò, secondo questa logica, ho deciso di dare un contributo alla coesistenza pacifica tra Est e Ovest come dice il Signor Krusciov, facendo un ponte di preghiera fra Occidente e Oriente per sostenere come posso la grande edificazione di pace nella quale tutti siamo impegnati».
 
I SUOI VIAGGI
Quello a Mosca è il più famoso dei suoi viaggi, che lo hanno portato a incontrare re e capi di Stato, Vescovi e Patriarchi. I viaggi internazionali di La Pira non erano improvvisati, e avevano ben poco di turistico: «Ogni viaggio era meticolosamente pensato: gli dava un senso, un significato preciso» ricorda nel suo libro di memorie Fioretta Mazzei, che di La Pira è stata la più stretta e fedele collaboratrice. I viaggi in Terrasanta diventano ad esempio l'occasione per riunire cristiani, ebrei e musulmani e pregare sulla tomba del comune patriarca Abramo. A uno di questi incontri, nel 1967, era presente un giovane studente, Joseph Levi, che un sottile fìlo dei destino ha portato ad essere, oggi, rabbino capo della comunità ebraica di Firenze. «Ero uno studente dell'università di Gerusalemme - racconta - quando mio padre mi portò alla preghiera organizzata da La Pira sulla tomba del patriarca Abramo insieme ad altri ragazzi cristiani e palestinesi. Sul momento non capii molto quel gesto, ma col passare degli anni ne ho apprezzato il grande valore simbolico e profetico»
«Mio padre - spiega - era molto amico di La Pira: era un musicologo, aveva visitato spesso Firenze per raccogliere tradizioni musicali ebraiche, e in quelle occasioni aveva conosciuto il sindaco. Quando La Pira venne in Israele, mio padre lo aiutò ad organizzare il viaggio. Era un viaggio difficile: andammo prima a Betlemme, poi a Hebron, dove il sindaco ci ricevette in una grande tenda. C'erano esponenti politici, intellettuali, studenti. Parlammo a lungo di pace, di preghiera. Poi tutti insieme, ebrei, musulmani e cristiani, siamo andati sulla tomba di Abramo. Avevamo una scorta militare impressionante, era un periodo di forti tensioni. Eravamo un gruppo piccolo, ma rappresentativo. Abbiamo recitato dei salmi poi io diffusi delle copie di un'antica preghiera per la pace in lingua ebraica e araba».
Quelle speranze di pace oggi, purtroppo, non si sono ancora realizzate. «Eppure - conclude il rabbino Levi - gesti come quello furono importanti, e lo sarebbero ancora oggi: abbiamo sempre più bisogno di persone in grado di promuovere il dialogo. Anche quell'incontro, che a noi sembrava impossibile, fu realizzato solo grazie all'insistenza di La Pira che permise di superare tutti gli ostacoli. La Pira era uomo della profezia, ma anche della politica: aveva la capacità di illuminare l'una con l'altra».
 
UOMO DEL DIALOGO
E stato un uomo del dialogo, Giorgio La Pira: ma che ha saputo dialogare con tutti senza mai nascondere o contraddire la propria identità di cristiano, come ha sottolineato il cardinale Antonelli. La sua convinzione era che l'intera storia dell'umanità convergesse verso un punto finale: il ritorno di Cristo nella gloria. La storia scorre, diceva, come un fiume- i momenti negativi, le guerre, il prevalere dell'odio e della violenza sono solo anse che rendono più lento lo scorrere delle acque, ma non possono fermarlo. In una intervista, afferma- «La storia va (malgrado tutto e nonostante tutto) verso la nuova pienezza dei tempi; verso tempi, cioè, in cui il corpo delle nazioni sarà organicamente composto in unità ed in pace e costituirà così, la premessa storica e la condizione storica adeguata per la lievitazione cristiana di tutti i popoli, di tutte le nazioni e di tutte le civiltà della terra».
Era questo il grande sogno di La Pira: su questa roccia si fonda la sua speranza. Una speranza cristiana che il 'sindaco santo' sapeva infondere in tutte le persone che incontrava con il suo modo di parlare e gesticolare, con il suo curiosissimo accento 'siculo-fiorentino'. Il suo stile di vita sobrio, quasi ascetico, unito a una carica dirompente di simpatia ne fanno una figura di grande attualità. Lo accusavano di vivere di utopie, di essere un sognatore privo di realismo. La sua risposta la scrive in una lettera alle sue amiche suore-
«Reverenda Madre, sono un po' sognatore? Forse. Ma il cristianesimo tutto è un 'sogno': il dolcissimo 'sogno' di un Dio fatto uomo perché l'uomo diventasse Dio! Se questo 'sogno' è reale - e di quale realtà - perché non sarebbero reali gli altri 'sogni' che sono ad esso essenzialmente collegati?».
 
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