I linguaggi sono in(de)finiti, nel senso che si trasformano continuamente, miscelando linguaggi precedenti e trasformandoli in qualcosa di nuovo ed originale, con evoluzioni ed involuzioni: pur nella loro in(de)finitezza, i linguaggi sono riconducibili a cinque grandi categorie, a loro volta afferenti i cinque sensi.
del 06 ottobre 2008
Per parlare del rapporto tra giovani e musica occorre anzitutto costruire una piccola cornice che sfiora tre scienze come l’antropologia, la sociologia e la linguistica.
L’essere umano è relazionale, ovvero “è” –esiste– nella relazione con l’altro-da-sé; affinché possa “essere”, all’interno del suo progetto di vita è stata sapientemente inserita la capacità di produrre linguaggi, che non sono beni strumentali, ma strumenti necessari per “essere”. L’atto del mettersi in relazione coincide, per i nostri fini speculativi, con il “comunicare”.
I linguaggi sono in(de)finiti, nel senso che si trasformano continuamente, miscelando linguaggi precedenti e trasformandoli in qualcosa di nuovo ed originale, con evoluzioni ed involuzioni: pur nella loro in(de)finitezza, i linguaggi sono riconducibili a cinque grandi categorie, a loro volta afferenti i cinque sensi. Possiamo pertanto utilizzare: linguaggi visivi, come la scultura, la pittura, la scrittura, la parte video dei videoclip e del cinema; linguaggi uditivi, come la musica registrata o radiotrasmessa; linguaggi olfattivi, i profumi; linguaggi gustativi, i mille cibi e bevande; linguaggi tattili o metatattili che sono offerti dai gesti e dalle posture del corpo; sono tattili quelli, come il darsi la mano, che creano contatto, mentre chiamo “metatattili” quelli che, pur senza contatto, offrono messaggi chiari o subliminali, come lo sguardo, il modo di stare seduti, i piccoli gesti volontari o involontari.
E’ bene pertanto tenere presente che quanto andrò disegnando verrà contenuto in questa piccola ma essenziale cornice; inoltre, poiché non è corretto parlare di giovani tout-court, limiterò il campo di analisi ai giovani italiani di età inferiore ai vent’anni, periodo in cui l’interesse per la musica si accende, si sviluppa ed inizia a stabilizzarsi.
Abbiamo detto che i linguaggi sono gli strumenti del comunicare. Non è difficile intuire che la musica sia, per i giovani, il linguaggio “più comunicativo, coinvolgente e liberatorio, capace di offrire espressività altrimenti impossibili. Attraverso la musica costruiscono il loro mondo, lo abitano e cambiano il mondo degli adulti”[1]; insomma, la musica è, per i giovani, il linguaggio principe, sia nel senso che è il loro principale canale comunicativo, sia nel senso che la fa da padrone, spesso condizionando le loro scelte di vita. In più possiamo dire che le scelte musicali sono il primo vagito di una nuova generazione, spesso il primo metodo utilizzato dai giovani per staccarsi dai modelli genitoriali, per diventare autonomi.
Ma che cosa intendiamo per musica? Intendiamo la sola stimolazione uditiva procurata da un susseguirsi di suoni? O forse intendiamo un processo melodico ed armonico compiuto dalle note, tant’è che, al contrario, la musica dei giovani viene intesa dal mondo adulto come una “non musica”, un “rumore indistinto”, un “fracasso”? Occorre puntualizzare: la parte uditiva della musica è solo un elemento del processo di comunicazione attivato attraverso il suono: oggi la musica è immagine, come testimoniano sia la necessità del videoclip per determinare o consolidare il successo di una canzone, sia i numerosi programmi televisivi che parlano di musica, trasmessi, in particolare, sulle televisioni satellitari, assai fruite dai giovani; oggi la musica è più che mai parola, come testimoniano le numerose interviste ai cantanti di successo, su carta stampata, internet, in TV, nelle quali si mettono in evidenza elementi di novità rispetto al suono-canzone, come, ad esempio, i gusti ed i pensieri dei cantanti ai quali i giovani, attraverso la piacevolezza del suono, hanno già tributato il loro consenso.
Il processo comunicativo messo in atto dalla musica si muove in due diverse direzioni: la prima dall’alto verso i giovani, operazione compiuta da case discografiche, editrici, radio, televisioni, carta stampata, internet ed altri media, i quali formano, pur con diversi ruoli e pesi relativi, il sistema dei “produttori di musica”. La seconda direzione si muove dal basso, tra i giovani, creando appartenenza al gruppo dei pari, i quali sono parte del sistema dei “fruitori di musica”[2]; è assai difficile incontrare gruppi stabili di giovani amici che non ascoltano la stessa musica, così come riscontrano quotidianamente coloro che hanno ruoli educativi ed operano stabilmente nel campo pedagogico. Anche se non è possibile approfondire, accenno soltanto al fatto che nel gruppo si pongono in atto numerose dinamiche dominante – sottomesso con la musica come strumento per il loro compimento: infatti, i giovani più deboli, per non perdere il consenso del gruppo, si mettono ad ascoltare la musica dei giovani dominanti, finendo per convincersi che piace anche a loro.
A causa di questo doppio movimento di accerchiamento, dall’alto e dal basso, la musica ha oggi la forza di attivare un canale comunicativo nel quale passa uno stile di vita; la musica sfonda la diga e, nell’inondazione mediatica che ne segue, viene giù di tutto: parole di canzoni e di interviste, congruenti o incongruenti che siano tra loro; il vestito portato nel videoclip o sul palco durante il concerto; le idee sulla vita, sul come viverla e spenderla.
Oggi la musica ha in sé un potere straordinario e parimenti pericoloso perché non è più un susseguirsi di suoni più o meno accettabile esteticamente, ma perché influisce pesantemente sul modo di vivere dei giovani, creando un orizzonte valoriale che può convivere, ancorché in contraddizione, con il sistema valoriale proposto dalla famiglia, dalla scuola e dalle altre agenzie educative, in primis le comunità cristiane e gli oratori.
Resta un’ultima domanda importante: perché la musica che piace ai giovani entra troppo spesso in conflitto con i sistemi valoriali proposti del mondo dell’educazione?
La risposta è complessa e necessariamente incompleta. Accenno ad alcune macrocause. Anzitutto c’è carenza o assenza di sensibilità educativa nelle proposte dei produttori di musica. Infatti: la storia ci ha insegnato che l’equilibrio, nell’educazione come in politica, è salutare per la tenuta di un sistema; sistemi educativi troppo rigidi o troppo permissivi, così come sistemi politici nei quali non c’è equilibrio tra i poteri, durano poco e fanno danni proprio a chi si vuole aiutare. Oggi, dopo la rivoluzione mass-mediale iniziata negli anni Settanta ed ancora in atto, nel settore musicale abbiamo un sistema comunicativo squilibrato; esiste la massima libertà artistico-espressiva, ma non esiste ancora un’adeguata responsabilità delle conseguenze di tale libertà, soprattutto nei confronti delle generazioni in crescita; ovvero: un cantante può cantare ciò che vuole, disinteressandosi delle conseguenze che il suo messaggio può avere su chi lo ascolta. Nel tempo, questo sistema è destinato a non tenere più, così come tutti i sistemi che non hanno messo al centro l’uomo nella sua integrità hanno avuto successi effimeri, poiché hanno offerto risposte parziali alle domande di senso.
In secondo luogo, la musica è trattata come un prodotto di consumo, tant’è che nel marketing anche i giovani, che crescono e si formano ascoltando e condividendo canzoni, sono chiamati “consumatori di musica”. Pertanto, l’unico obiettivo è la vendita del prodotto, sia esso disco, Tshirt con il volto del cantante, banner sul sito di riferimento o altre mercanzie pubblicizzate sulla TV che trasmette i videoclip.
Poiché la musica, essendo canale privilegiato di comunicazione ed essendo quest’ultima essenza stessa della vita umana, è chiaro che siamo in presenza di un altro squilibrio, che va sanato con un cambio di rotta.
E’ vero che –e sarebbe ingenuo non riconoscerlo- nel contesto storico nel quale ci troviamo a vivere, tutto, anche la produzione di musica, ha valenza economica; tuttavia la musica non può essere ridotta esclusivamente a fenomeno economicamente rilevante, per le implicazioni antropologiche, sociologiche e pedagogiche che ho cercato di esporre.
Come cambiare le cose? Dirò solo del primo passo: occorre formare i giovani. Anzitutto ad essere fruitori intelligenti di musica, dando loro gli strumenti per decodificare il linguaggio e lo stato di assedio musicale e mediatico di cui sono vittime: questo è il ruolo delle agenzie educative che i giovani intersecano nel loro percorso di crescita, come la scuola, le parrocchie e gli oratori.
In secondo luogo, a fare musica da persone capaci e responsabili, intelligentemente libere di mettere insieme le note nella maniera che meglio aggrada, nella consapevolezza che il bene di chi ascolta non può essere né secondario né indifferente.
Questo tipo di formazione ha dei princìpi che è opportuno elencare per evidenziare a quali tensioni potrebbero sottoporre il “sistema musica” attuale, intriso di sfrenato ed inumano individualismo.
Ecco i princìpi:
• L'atto creativo non è un atto solitario ma un atto con valenza sociale, cioè interessa l''altro da-me' (sia egli musicista, produttore o pubblico) e ne viene interessato;
• la relazione con l''altro-da-me' aiuta - e non sminuisce - lo sviluppo della creatività;
• non è importante esibirsi, ma comunicare e comunicarsi;
• il creativo non 'crea' ma interpreta la realtà in maniera originale, così che l''altro da me' possa riconoscersi in tale interpretazione; da ciò consegue il debito di riconoscenza verso tutti coloro che l’artista incontra sul proprio cammino;
• occorre perseguire la coincidenza massima fra 'persona' e 'personaggio';
• il pubblico deve essere oggetto del rispetto dell'artista, non uno strumento del su successo o potere.
 
Un generazione di artisti formati su questi principi può verosimilmente ricondurre la musica a strumento espressivo dell’essere giovani del terzo millennio. Non è impossibile ma bisogna crederci.
[1] Domenico Sigalini, Relazione introduttiva a Hope Music School, anno 2003
 
[2] Di solito si usa il termine “consumatori di musica”, che è preferibile non usare poiché la musica, come si intende dall’impianto dell’articolo, non è un bene di consumo, anche se determina azioni ed operazioni afferenti l’area economico - finanziaria.
Marco Brusati
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