Giuseppe, fa da padre a Gesù e sogna per tutti noi.

Da Giuseppe ha imparato a progettare la sua vita, a lavorare per avere un futuro, a relazionarsi con tutti per dare il suo contributo alla società. Cresceva in età sapienza e grazia, dice il vangelo: sviluppava la sua vita, dava risposte alle sue domande di significato e accoglieva i doni di Dio in un ascolto profondo.

Giuseppe, fa da padre a Ges√π e sogna per tutti noi.

da Teologo Borèl

del 22 dicembre 2006

 

Nascita di Ges√π

Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”.

Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi. Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa, la quale, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio, che egli chiamò Gesù. (Mt 1, 18-24)

 

Fuga

Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo”. Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Dall’Egitto ho chiamato il mio figlio. (Mt 2, 13-15)

 

Ritorno

Morto Erode, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e và nel paese d’Israele; perché sono morti coloro che insidiavano la vita del bambino”. Egli, alzatosi, prese con sé il bambino e sua madre, ed entrò nel paese d’Israele. Avendo però saputo che era re della Giudea Archelào al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nelle regioni della Galilea e, appena giunto, andò ad abitare in una città chiamata Nazaret, perché si adempisse ciò che era stato detto dai profeti: “Sarà chiamato Nazareno”. (Mt 2, 19-23)

 

Smarrimento e ritrovamento nel tempio

I suoi genitori si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l’usanza; ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: “Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”. Ed egli rispose: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio? ”. Ma essi non compresero le sue parole.

Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini. (Lc 2, 41-51)

Ci facciamo aiutare a vivere questa ultima parte dell’Avvento dalla dolcissima e forte figura di Giuseppe, dal suo amore per Gesù, dalla sua capacità di accogliere nella sua vita il progetto di Dio.

Giuseppe è un professionista, un carpentiere, un lavoratore deciso, concreto e di poche parole. Non è necessariamente vecchio e pelato come spesso lo si dipinge per dire la nostra incredulità nel pensarlo accanto a Maria innamorato perso e proprio per questo delicatissimo in ogni sfumatura d’amore. L’abbiamo dipinto spesso così perché non siamo capaci di pensare un amore pieno, vero, profondo, intenso e nello stesso tempo vergine. Come fa uno ad essere così innamorato e non esprimere corporalmente il suo desiderio, la sua capacità di dono, dando al copro e alla sessualità il posto vero che occupa nell’amore?

Il centro dell’amore tra Giuseppe e Maria è Gesù, l’amore fatto persona, la sorgente dell’amore. Ogni nostro palpito è solo una pallida concretizzazione di questo amore, ogni nostro gesto di affetto, ogni bacio ne è solo una immagine imperfetta… allora non possiamo non immaginare la pienezza e profondità dell’amore tra Giuseppe e Maria, la sua unicità, se all’interno di esso prende carne proprio Gesù. Ogni amore umano tra uomo e donna chiama in causa l’amore di Dio, ne è una degna, ma velata immagine. E’ Dio che si dà a vedere, che si manifesta, che si fa presente nell’intensità di amore tra i due. Per Giuseppe e Maria in questo amore non c’è solo l’immagine, ma compare proprio Lui, la sorgente dell’amore, il suo senso, la completezza, la pienezza, Gesù. Il cuore di Giuseppe ha sicuramente rischiato di scoppiare. Si testimonia con certezza storica che San Filippo Neri, aveva le costole del petto dilatate per l’espansione d’amore del suo cuore, a contatto con il Signore Gesù?!

E allora come facciamo ad essere increduli nel pensare a Giuseppe entusiasta, felicissimo di questo amore che lo legava in maniera così originale a Maria? Certo se guardiamo a tutte le contraffazioni dell’amore che ci sono nella nostra cultura, se distacchiamo il nostro amore dalla sorgente che è Dio, il nostro orizzonte si chiude su tutte le impossibilità e i tradimenti di cui siamo capaci. Giuseppe invece è nell’amore vero, tutti gli elementi della sua vita umana che portano ad esprimere l’amore per Maria sono superati e realizzati nella presenza tra loro di Gesù.

L’amore di Dio gli si svela nell’intimo della coscienza con la lama dello stupore, del disorientamento. E’ una esperienza senza via di uscita se non nel massimo dell’abbandono a Dio.

Maria è sua promessa sposa, è già orientata a Giuseppe e aspetta un bambino. Giuseppe ne viene a conoscenza, ma quel bambino non è suo. Aveva immaginato un amore pulito, se lo stava cesellando giorno per giorno. Non lo sfiora nessun dubbio su Maria, ma gli si lacera il cuore. Non riesce a darsene una ragione, non si abbassa a mettere in campo avvocati o leggi o tanto meno l’opinione pubblica. E’ turbato; gli stanno crollando tutti i suoi progetti a lungo meditati e preparati, ha immaginato il suo futuro con Maria, vuole costruirsi una famiglia, una casa, vuole affrontare la vita nella dolce compagnia di una donna, nella dimensione d’amore che lo porta a scrivere l’amore di Dio nei suoi gesti quotidiani, nei suoi sentimenti, nelle sue aspirazioni. Ha capito che la sua vita può essere felice solo se la fa diventare un dono senza condizioni a Maria. Ma non sa che Maria è sempre stata pensata da Dio, come Madre del Salvatore, che è l’Immacolata, che in lei è scritto un disegno grandioso, unico. Non sa ancora che il Signore onnipotente ha chiesto anche a lei sconvolgendole i piani, un dono assoluto; non sa che Maria proprio a lui, a Giuseppe, alle loro promesse vicendevoli, pensava quando l’angelo le annunciò il grande dono di diventare la madre di Gesù. Lei aveva detto il suo sì.

Giuseppe è destabilizzato nelle sua sicurezze, ma si fida ciecamente di Maria e si ritrae, si affida alle mani di Dio, sa che Dio è l’amore stesso che gli canta nel cuore e che la sua grandezza abita nelle impossibilità dell’uomo. E a Dio si affida, accoglie maria e il Figlio Gesù, ne sarà ogni giorno il custode, il padre, la sicurezza, la forza per crescerlo in età, sapienza e grazia.

Giuseppe sa che Dio non abbandona mai nessuno.

E mentre conosce la sconfitta umana dei suoi progetti, quando il suo cuore è stato svuotato dell’ultimo sentimento, nella sua coscienza, che è dialogo intimo con Dio, dichiara il massimo di adesione a Dio, scritta nella sua onestà. E decise di lasciare libera Maria “In segreto, poiché era giusto”, dice il vangelo.

Solo a questo punto Dio si dà a sentire. “Giuseppe, non temere, è da sempre che sto pensando alla tua onestà, alla tua giustizia, alla tua grinta, al dolcissimo amore che ti lega a Maria. Mi ha affascinato la tua delicatissima relazione con Maria. In questo vostro amore meraviglioso, noi, la Trinità, abbiamo deposto Gesù, il Figlio di Dio. Quel bambino è la Parola, che era fin dal principio, è il nostro essere persona umana.”

Il cuore di Giuseppe che già scoppiava di amore per Maria s’è dilatato ancora di più. Quel dialogo con Dio gli ha ridato Maria e ha portato al massimo compimento il suo amore, la sua stessa vita. Aveva cercato come ogni giovane uno scopo alla sua esistenza, ma Maria lo ha fatto andare oltre, gli ha indicato il vero scopo, il vero centro della vita: Gesù.

Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa, la quale, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio, che egli chiamò Gesù.

Laconico ed essenziale è il vangelo di Matteo. Giuseppe accoglie in casa Maria, il suo amore si manifesta nel massimo di dedizione castissima e Maria dà alla luce Gesù. Da altri evangelisti veniamo a conoscere la bellezza della notte santa.

Ci descrivono questo penoso pellegrinare, le porte sbattute in faccia a questa povera coppia, la condizione di immigrati anche solo per una breve stagione di questa famiglia che non ha permesso di soggiorno tra la gente del luogo. Giuseppe e Maria, alla ricerca di uno spazio d’amore, che a Nazareth sarebbe stato loro sicuramente garantito, si adattano a quello che c’è; da sempre Dio ha agito nella debolezza e attraverso Maria offre il segno della sua mirabile presenza, del potere infinito della sua divinità, della grandezza dell’universo da lui creato, della giustizia somma di cui è il Signore incontrastato, dell’arrivo incombente del suo regno. E’ “un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”.

“Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo”. Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto,

Se per presepio intendiamo quella bella atmosfera serena con musiche, canti, bei sentimenti, regali, dolci segni di affetto, di cui nessuno si deve vergognare, Giuseppe e Maria sono stati costretti a disfarlo subito. Hanno per così dire inscatolato subito stelle e statue per fuggire. Giuseppe che aveva espresso il massimo di docilità al piano esigente di Dio, sapeva che la strada imboccata era in salita. Già il figlio era nato in un mare di difficoltà, scardinato dal suo paese in una concentrazione di povertà in quell’anfratto per pastori, che a casa sua sarebbe stata meno ossessiva: povertà ancora, ma più vivibile.

E ora la fuga: indesiderato, ricercato, scomodo, fragile, indifeso e pericoloso. È la prima pagina di diario che Giuseppe deve scrivere di Gesù. È l’atmosfera che caratterizza la festa per il suo figlio primogenito al ritorno della madre dalla clinica. Si deve fuggire.

E Giuseppe, il capofamiglia, docile, forte si assume le sue responsabilità, fa l’immigrato; non prende una carretta del mare, ma affronta un mare di sabbia.

Ormai sono una famiglia, in Gesù resteranno indelebili la sua dedizione, la sua cura, il suo cuore in tumulto, la sua obbedienza al piano di Dio; lo preparano al suo deserto, al suo orto del Getsemani, al suo abbandono nelle braccia del Padre. E’ la sua famiglia che gli segna la vita e gli dà la forza di spendersi fino alla morte.

I suoi genitori si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l’usanza;

Ogni fatto della vita dell’uomo è più grande della materialità con cui si avvera, apre significati più grandi e impensati, ti fa abitare mondi più profondi e ancor più veri di quello che percepisci con gli occhi, con i sensi, con la pelle. Pensiamo ai gesti d’amore, di affetto, di amicizia, di relazione tra persone. Un bacio, un abbraccio, una carezza, un sorriso non sono riducibili alla meccanica fisica con cui devono essere compiuti. Nessuno pensa che una carezza sia solo uno sfregamento di una mano su una guancia o un abbraccio sia solo la tenaglia di due braccia per un corpo. C’è una intenzionalità che essi esprimono, c’è un cuore da cui sono partiti, una volontà che li ha fatti essere che va interpretata, che va molto oltre. I gesti tentano di rendere al meglio le volontà e i pensieri, gli affetti e i desideri di coloro che li pongono, ma non riusciranno mai a esprimere la profondità del cuore da cui partono. Immaginate quanto è sciocco l’applicarsi solo alla meccanica del gesto senza curare che cosa essi esprimono. Di fatto stiamo riducendo l’amore a meccaniche affettive e alla fine restano solo le meccaniche senza amore. Si decide di far nascere i figli in provetta, tanto l’amore è inesistente. Prima che l’ingegneria genetica assuma i significati dell’amore dovremo divenire molto più profondamente umani. Questo atteggiamento di grande ricerca e rispetto ci deve condurre nell’accogliere questo brano della Parola di Dio.

C’è una famiglia, la nuova famiglia che Dio ha costituito per vivere il suo piano di immedesimazione nella vita umana, che segue la vita normale di un popolo. Dio ha sposato un popolo da sempre, ora sposa una famiglia e con questa famiglia tutte le consuetudini caratteristiche che la fanno appartenere pienamente a esso. Una famiglia ebrea aveva nel suo DNA la celebrazione della Pasqua. I bambini ogni anno partecipavano alla cena pasquale e, curiosi come sono, hanno sempre riempito i gesti solenni e incomprensibili dei genitori di insistenti perché. Quando i tuoi figli ti chiederanno che cosa è questa cena, perché mangiamo in piedi, perché la mamma non ha messo il lievito nella farina… tu risponderai è il passaggio del Signore che ci viene a liberare come quella notte...

Ebbene Gesù a dodici anni, prima che scatti il tredicesimo che lo iscriveva al mondo adulto, questa nota ci servirà dopo, partecipa coi suoi genitori al pellegrinaggio verso Gerusalemme. E’ una famiglia come tante che era andata a ridire la sua fede nel Dio vero, grande ed eterno, Signore dell’Universo e padre del popolo d’Israele. Abbiamo in mente che cosa è successo. Il solito incidente delle gite: si sarà fermato all’autogrill, sarà con suo padre, chi riesce a star dietro a questi ragazzi di oggi, svegli, spesso indisciplinati, incapaci di stare un po’ con i propri genitori, sempre a giocare e a fare scherzi. Tornano a casa sempre sudati e sporchi, quando non laceri e contusi. Disperazione sul volto dei genitori, ansia, ricerca spasmodica; chi è l’ultimo che l’ha visto, dove era? Poi il cammino a ritroso, il ritrovamento, lo stupore. Il ritrovato è sempre più calmo di quanto si pensi, non immagina il dolore provocato, è concentrato sulla sua avventura E Gesù sta insegnando ai dottori del tempio. Quattro parole dette tra i denti, due dette davanti a tutti e una affermazione solenne, troppo solenne di Gesù chiudono l’incidente. Il ritorno a Nazaret fa balenare la ripresa di una vita di famiglia normale, che aveva avuto in questo episodio uno squarcio di mistero. Non compresero. Anche in quella famiglia c’è l’imprevisto, la distrazione, la fiducia reciproca che le vicende mettono a prova, il senso di smarrimento per una attenzione calcolata, ma non concretizzata, le situazioni della convivenza che si mettono in mezzo e scombinano i piani anche più belli, come in tutte le famiglie. La famiglia di Gesù, che rinasce e si rimette in cammino è immagine di tutte le nostre famiglie che tra gioia e dolore trovano sempre unità per affrontare ogni appuntamento con la storia

Maria e Giuseppe, anzi Giuseppe e Maria: (tuo padre e io..) qui dominano gli avvenimenti, piegano la storia del piccolo gruppo di pellegrini al suo centro, che non era Gerusalemme, ma Gesù. Potremmo dire una famiglia come tutte, con i problemi di tutti, con al centro Gesù, il mistero che si rivela. La delicatezza di Maria verso Giuseppe è commovente, la loro unione nel dolore chiarissima: nei verbi di Luca c’è la storia di una coppia che si fa famiglia: cercarono, trovarono, non compresero, tornarono…

Ma saremmo poco fedeli alla Parola ascoltata se ci fermassimo a questa interpretazione; abbiamo ascoltato l’evangelista Luca; la sua intenzione non è quella del corrispondente del Corriere della sera che deve narrare della fuga del solito adolescente, rintracciato alla stazione tutto dolorante e pentito e contento dell’intervista che lo fa apparire in TV e che gli risparmia qualche ceffone dai genitori, con un finale bello che può intenerire i lettori. E’ l’evangelista del racconto dei due discepoli di Emmaus; anche là non narrava solo la gita fuori porta di due amici, col morale ai tacchi e con nel cuore la pietra tombale dell’ormai suggellata sulla tomba del crocifisso, ma parlava del cammino di accoglienza del Risorto che ogni cristiano avrebbe dovuto fare da quel momento in poi.

Il numero tre dei giorni di assenza di Gesù è troppo uguale al numero tre dei giorni del suo permanere nella tomba; la ricerca appassionata e carica di tensione di Maria è troppo simile alla ricerca col cuore in gola di Pietro e Giovanni e al pianto sconsolato di Maria di Magdala. L’angoscia di Maria è l’angoscia delle donne al sepolcro.

Gesù era rimasto a Gerusalemme. Sappiamo tutti che un modo di dire così indica che Gesù è deciso a fare di Gerusalemme il vertice della sua missione. Gesù compie il pellegrinaggio con un anno di anticipo, anticipa con questo pellegrinaggio il desiderio che lo spingerà a Gerusalemme per mangiare la sua Pasqua. Il ritrovamento è immagine precisa della scoperta di lui risorto. Infatti lo trovano seduto, un verbo che, mentre fotografa una posizione fisica, definisce una funzione che gli spetta dopo la morte e la risurrezione; si siederà alla destra di Dio. E’ nell’atto di insegnare come spetta al Signore del cielo e della terra.

E’ lui la sapienza, lui la riposta, lui ancora che spiega le scritture in virtù della sua consacrazione nella morte e risurrezione. Qui tra i dottori anticipa il suo stato futuro.

E Maria quando lo vede gli racconta tutta la sua ansia, la sua ricerca, il suo affanno, il suo non capire, proprio come i discepoli di Emmaus. E tra le prime parole di Gesù che ci sono riferite nei vangeli appare la bellissima parola: padre, abbà. E’ venuto al mondo per questo, per dirci che Dio è Padre.

Il quadro allora si ricompone, lo smarrimento e il ritrovamento sono figura di una morte e una risurrezione, di un futuro certo.

Il valore della famiglia tra i giovani è molto sentito. Tutti desiderano avere la gioia di poter contare su di un ambiente accogliente, libero, non formale, caldo di sentimenti, semplice, dove si sa di stare a cuore a qualcuno. E’ in testa ai desideri delle giovani generazioni, forse perché non ne fanno sempre esperienza, perché devono fare i conti con famiglie sfasciate, con genitori separati, con ricatti e contratti. Tornano a casa da scuola e dal lavoro arrabbiati senza sapere il perché e devono trovarsi motivi per vivere in solitudine.

Forse non è proprio così intensa la voglia di famiglia da parte degli adulti che ne sentono solo il peso, che non riescono più a dialogare con le giovani generazioni, che si sentono talvolta usati, spesso solo funzionali, che stentano a condividere gioie e dolori senza accusarsi o ricattarsi.

Certo oggi la famiglia sta diventando un punto nodale della nostra convivenza: tutti la vogliono, anche chi non ne ha diritto, perché la famiglia ha al centro due grandi compiti essenziali: l’amore tra un uomo e una donna e la procreazione dei figli; se ne manca uno non è famiglia. Tutti la proclamano, ma pochi sono disposti ad imparare a costruire famiglia, a dare il proprio originale contributo di amore e di intelligenza, di impegno e di progetto.

Anche Gesù ha potuto godere di una famiglia. Il figlio di Dio si è fatto uomo nell’intimità dell’amore di un uomo e di una donna. Ha imparato a vivere entro il sereno ambiente di una casa, a Nazaret. Sulle ginocchia di sua mamma ha imparato a modulare il sentimento fondamentale dell’amore, a dire quello che aveva nel cuore, ad entrare nella mentalità di un popolo, a rivolgersi con estrema fiducia a Dio, a far crescere dentro rispetto e dignità per tutti.

Da Giuseppe ha imparato a progettare la sua vita, a lavorare per avere un futuro, a relazionarsi con tutti per dare il suo contributo alla società. Cresceva in età sapienza e grazia, dice il vangelo: sviluppava la sua vita, dava risposte alle sue domande di significato e accoglieva i doni di Dio in un ascolto profondo. Quello che ogni uomo ha il diritto di costruire in un clima di comunione e di partecipazione, senza accampare diritti o esigere doveri, ma solo vivendo la forza dell’amore.

Maria non ha capito ancora tutto il futuro di Gesù, come è difficile per noi entrare nel suo ordine nuovo di idee, di sentimenti, di slanci e di azioni, ma ci indica la strada da percorrere. Stanno con Gesù, e custodisce ogni parola come un seme. E’ quel seme che viene gettato larghissimamente dal seminatore e che trova nel cuore di Maria, come nel cuore di ogni uomo, la possibilità di svilupparsi. In Maria si è sviluppato al cento per cento. Ora lei, come Giuseppe, scompare nella vita quotidiana della santa famiglia. Lì il Signore ha imparato a essere abbracciato e baciato, allattato e amato, a toccare e parlare, giocare, camminare e lavorare, a condividere i minuti, le ore, le notti e i giorni, le feste, le stagioni, gli anni, le attese, le fatiche e l’amore dell’uomo. Lì ha ascoltato le parole della Torah, della legge, le preghiere a Dio, di cui non si poteva pronunciare il nome e che lui sentiva come papà. A Nazaret Gesù accanto a Maria e Giuseppe ha imparato a essere uomo. L’artefice della sua formazione umana è stata Maria, come ogni donna nella vita del popolo ebreo. Colui che gli ha insegnato a rivolgersi a Dio con il dolce nome di Abbà è stato Giuseppe, che glielo ha incarnato, reso visibile, sperimentabile nella sua funzione quotidiana di padre dedicato senza riserve.

Noi ora conserviamo ogni Parola di Ges√π gelosamente non per farcene un possesso, ma per caricarlo della forza di un dono che dobbiamo e ci impegniamo a portare a tutti.

mons. Domenico Sigalini

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