A 78 anni Eastwood torna protagonista nel suo ultimo capolavoro
del 02 aprile 2009
Nei primi minuti di Gran Torino c'è già quanto potrebbe bastare per il ko. L'approssimarsi della fine della vita, la lenta e inevitabile erosione degli affetti più cari, la percezione di un'incolmabile distanza con i figli e i nipoti, l'eredità emotiva di una delle tante guerre dell'America, l'integrazione difficile con etnie ghettizzate e la presunta inadeguatezza di un prete a predicare. Una sorta di invasione barbarica che il protagonista Walter Kowalski -lo stesso Eastwood - subisce e allontana con armi fisiche e verbali. Ma C. Eastwood non concede tregua e, se avanza con una costruzione cinematografica d'impianto classico, non manca di snodi narrativi e contenuti valoriali assolutamente non prevedibili.
 
Walt, un polacco americano reduce della Corea e da 50 anni alla Ford, ha appena perso la moglie Dorothy. È l'unico americano rimasto a pavoneggiarsi in un quartiere povero di Detroit, dove vivono solo famiglie hmong, una tribù etnica sparpagliata tra le colline del Laos, Vietnam, Thailandia e Cina che, dopo aver combattuto a fianco degli americani in Vietnam, furono trasferite dai luterani in America. Per Kowalski questi vicini asiatici sono uno schiaffo morale: 'musi gialli', 'topi di palude' e 'barbari' che occupano le case degli americani.
 
Lui ringhia, respinge le relazioni e 'sistema le faccende' abbracciando il suo fucile. Uno che si è sempre fatto giustizia da sé come L'ispettore Callaghan, l'Eastwood degli anni 70. Non riconosce l'America per cui ha vissuto. Sparerebbe alle gang. Allontana figli concentrati solo su una vita lussuosa, che 'non comprano americano' e fuggono via veloci nei loro suv, dal padre apostrofati come 'scaldabagni giapponesi'. Egli si riconosce nella sua officina e negli attrezzi arrugginiti del saper fare e ha il cuore 'rinchiuso' nella sua Gran Torino - modello mitico Ford 72 - custodita come un trofeo dell'identità economica e sociale a cui lui stesso ha contribuito.
 
 
Spaesati e incuriositi dai giovani
 
La prima sequenza è mostruosamente riuscita. In chiesa, con una dirompente marcia funebre, Kowalski assiste all'arrivo dei nipoti. In un gioco di specchi assistiamo alla sfilata dei nipoti, ai commenti esilaranti del nonno e al piglio scandalizzato dei figli - la generazione di mezzo - per la poca mansuetudine del padre al cospetto del feretro della moglie.
 
Il primo nipote indossa una lunga maglia da rugby, si inginocchia e farfuglia dei gesti che lontanamente potrebbero essere paragonati al segno della croce. Il secondo, più presentabile nei vestiti, inginocchiatosi, rifà il segno della croce due volte come in un circuito. La terza - una ragazza adolescente con pancia scoperta e arricchita con piercing - non si inginocchia, ma si fa il segno. L'ultimo, che ci fa ben sperare, si attarda inginocchiato e contemplativo, si fa il segno, ma ahiméper Walt, recita diligentemente la filastrocca che mai ci aspetteremmo 'occhiali, testicoli, orologi e portafogli'.
 
Assistiamo così al funerale anticipato dei nipoti. Il nonno basito non tanto per l'assenza della dimensione religiosa, ma più per la generica mancanza di buon senso, si accontenterebbe anche solo di un po' di bon-ton. La ragazza non mancherà di digitare sms durante il funerale e di chiedere - proprio a Walt - cosa ne sarà della Gran Torino dopo la sua morte. L'insolenza con cui la ragazza evoca la morte del nonno per l'assegnazione dei beni suscita in Walt un apprezzabile sputo a terra.
 
Il vecchio misantropo ripudia la nuova generazione e dalla panchina sotto il portico proferisce the big question: «che c'è che non va nelle generazioni d'oggi?». La possibilità di instaurare un dialogo con i giovani giunge proprio dai vicini asiatici. I fratelli Tao e Sue - veri hmong come tutti gli altri nel film - infrangono la corazza burbera e a tratti razzista. Sue arriva perfino a chiamarlo Wally, un simil omaggio al robotino Disney votato alla salvezza ambientale dell'America. Stretto nel suo orgoglio, Walt dirà di Sue che è una 'ragazza a posto': impegnata, garbata nei modi, ma dalle spalle larghe con i bulli del quartiere. È lei a prenderlo per mano e - come dice la canzone finale Gran Torino - a riallineare le stelle sopra la sua testa. Lo strappa alla solitudine di birre e sigarette. Lo introduce nella sua comunità e gli regala una famiglia. Alla sua età i nipoti non sono più solo i figli dei suoi figli, ma anche quei giovani che gli crescono accanto per I quali può diventare un punto di riferimento.
 
 
Addomesticati dalla differenza
 
Per Tao l'addomesticamento inizia in salita. Proprio il giorno del funerale della moglie, chiede in prestito dei cavi a Walt e poi, obbligato dalla gang hmong, prova a rubargli la Gran Torino, rischiando un colpo di fucile dritto in fronte.
 
Le richieste incessanti della madre di compensare l'errore con dei lavori utili del figlio, consentono a Walt di vedere in lui il sigillo di un uomo che può camminare bene e con le sue gambe. Chi meglio di Walt può svezzare questo ragazzo cresciuto in una casa di sole donne? Lo fa assoldare per i lavoretti del vicinato. Lo aiuta a trovare un lavoro nell'edilizia e gli presta i suoi attrezzi. Lo stimola a farsi avanti con una ragazza e in una sequenza che entrerà negli annali del cinema assieme al suo barbiere lo inizierà alla virilità.
 
Walt diventa il padre che non c'è, disseppellisce la componente maschile della sua personalità e gli mostra un paese e le sue opportunità. Eppure Walt li odiava e insultava. Tra i due capifamiglia si consuma una scena dove il sonoro è quasi inutile: Walt e una nonna hmong inveiscono l'uno contro l'altro in due lingue diverse; senza capirsi, si regalano sputi da gara con dovizia di particolari. Il discorso sulla razza da sempre presente nel cinema di C. Eastwood si percepisce fin nelle viscere. Due generazioni dopo i ragazzi hmong hanno imparato la lingua, il primo requisito per non rimanere stranieri. La conoscenza per nome, uno scambio fisico e verbale, lo scoprire che non vengono dalla giungla, l'entrare nelle case e lo stare a tavola insieme, la scoperta di una cultura e di una spiritualità annientano i pregiudizi del vecchio Kowalski.
 
Il pericolo è nell'aver più cose in comune con questi 'musi gialli' che non con la sua famiglia. Paradossalmente egli tollera i parenti e si affeziona a questi 'barbari' che si dimostrano umani, interessanti e amichevoli. Con loro riaffiora la colpa inespressa della guerra in Corea, là dove lui ha perso il cuore, ha ucciso giovani che volevano solo arrendersi e peggio ancora, per averlo fatto, ha preso una medaglia.
 
 
Con la luce della fede
 
Si tratta di un dialogo intenso e frequente quello che Eastwood intrattiene sul tema della fede. È l'unico che riesce nei suoi film a stendere a terra un prete dopo l'altro e poi a stendere la mano per rialzarlo più forte e vero.
 
In Million dollar baby era Frankie a non lasciare in pace il prete. Ogni giorno, al termine della messa, lo tempestava di domande su aspetti dogmatici. Per padre Horvak una frequentazione così assidua ai sacramenti mascherava una colpa con cui prima o poi Frankie avrebbe dovuto fare i conti. In Gran Torino sono presenti dialoghi serrati su vita e morte: qui colpa e perdono viaggiano come proiettili impazziti, ma qui è padre Janovich a marcare stretto Walt.
 
Negli ultimi mesi di vita il giovane prete ha promesso alla signora Kowalski un occhio di riguardo per il marito e di convincerlo a confessarsi. A sentire Walt, p. Janovich è solo un 27enne vergine beneducato, appena uscito dal seminario, a cui piace tenere la mano alle vecchiette, promettendo loro l'eternità, e tenere ingenui sermoni sull'amarezza e la gioia, quando un uomo sta dicendo addio alla donna di una vita.
 
Il giovane incassa i colpi, va al tappeto, si aggrappa alle corde del ring e si rialza. Accetta di chiamarlo 'sig. Kowalski', perché così richiede un uomo d'onore. Egli si conquista la sua fiducia non per il ruolo di prete, ma di uomo di Dio, che lascia scoperta la chiesa e va ad incontrare i fedeli nelle strade della vita. Egli va a casa sua e, di fronte a questa tempra verbalmente violenta, abbandona le conoscenze da manuale e vive l'inadeguatezza di fronte alla parabola della vita, che forse ogni prete giovane si trova a provare almeno una volta. Lo va a cercare in birreria e vive la solitudine di Walt. Finalmente lo ascolta. Le domande non sono più per giudicare, ma per capire qualcosa di chi gli sta davanti. Il sig. Kowalski apprezza e gli concede di essere chiamato Walt.
 
Per Eastwood stesso il suo personaggio «…va da qualche parte, parte da un posto e arriva in un altro». Eppure si sposta solo di qualche isolato. Il suo è un movimento interiore, spirituale. Nasce dall'incontro con l'altro, che rende migliore anche chi ha l'età e la pelle solo per 'crepare'. Egli è tornato ad amare, a prendersi cura di qualcuno e a difendere il debole. I suoi piedi arrivano alla chiesa. Lascia in custodia al prete i peccati di una vita: l'infedeltà alla moglie di un solo bacio, la durezza con i figli e le tasse una sola volta non pagate. Una moralità quotidiana che ci stende a terra.
 
Walt è sempre stato uno dalla religione vista come arredamento verbale: Jesus, Cristo morto e risorto, Gesù, Giuseppe e Maria e avanti così. Una religione verbosa che abbandona per una spiritualità del Verbo incarnato, il quale offre la vita per i suoi amici. Non è più il tempo di sparare, ma vi è solo un indice puntato e il pollice alzato ad indicare le ingiustizie e poi un offrirsi totale - quasi cristologico - per dare a tutti una speranza, la 'grazia piena' di Maria che invoca nell'ultima ora.
 
Nessuna violenza o vendetta, solo le chiavi della Gran Torino data in eredità ad un ragazzo con gli occhi a mandorla, che sembrava segnato a vita. Un'eredita pasquale quella di Clint Eastwood, ardua ma profonda come la canzone finale scritta assieme al figlio Kyle: «Teneramente la tua storia è né più né meno di quel che vedi o che hai fatto o che diventerai / Mi stavo chiedendo se la tua forza fosse solo nella tua scorza / Ora dolcemente soffia la tenera brezza / Mormora attraverso la mia Gran Torino…».
 
La sintesi del film anticipata da Kowalski in un oroscopo è una sorta di monito per l'intero paese. «Quest'anno avrai la possibilità di prendere due direzioni… la scelta tra due sentieri di vita… Eventi straordinari… in quella che potrebbe essere considerata una delusione». La scelta tra le due vie, cara al pensiero cristiano fin dai suoi inizi, mantiene ancora tutta la sua attualità per chi sa osare uno sguardo alternativo sull'oggi.
 
Arianna Prevedello
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