Grazia, impara i Dieci Comandamenti

Mia cara amica, ma tu credi davvero che sia così irrilevante sapere cosa è giusto fare e cosa invece no? Il vero cattolico non è chi non sbaglia, è chi riconosce l'errore. Per scrivere i “Fiori del male” bisogna averla un po' di nostalgia del bene... [Immagine: Albrecht D√ºrer, 'Adamo ed Eva', 1507 Museo del Prado, Madrid]

Grazia, impara i Dieci Comandamenti

da Quaderni Cannibali

del 07 gennaio 2007

Carissima Grazia,

lo sapevo che mi sarei inguaiato somministrandoti i Dieci Comandamenti. Tu tieni nel portafoglio l’immaginetta di Gesù Bambino che ti ha dato tua nonna ma di mestiere fai l’avvocato e quindi sulle violazioni al Decalogo ci campi. Fosse solo questo. Fosse solo una questione di convenienza personale, il male sarebbe come minimo dimezzato. C’è questo libro bellissimo di Roberto Saviano, non a caso dal titolo biblico: “Gomorra”, che mostra i camorristi non come innanzitutto criminali, fatto fin troppo enfatizzato che li rende affascinanti presso i consumatori di cinema, televisione, sociologia e giallistica, ma come innanzitutto deficienti, individui dal forte deficit morale e perciò destinati a una rapida brutta fine, e senza nemmeno la gloria di un giorno da leone visto che passano la loro breve vita a scappare (più dai colleghi che dalla polizia). Il male fa sempre male anche a chi lo compie. Male in questa vita, intendo. Passando da una vecchia capitale borbonica all’altra, da Napoli a Parma, cambiano tante cose ma non cambia l’imbecillità dei malvagi. I gradini del tribunale che tu sali ogni giorno per depositare decreti sono consumati dal sovraccarico, mai nella storia giudiziaria si erano visti riuniti in così poco spazio e in così breve tempo tanti formidabili idioti: i ragionieri della Parmalat, gli assassini del piccolo Tommaso, quello che ha ucciso il finanziere Roveraro pensando di recuperare i soldi… Avendo gli occhi pieni di sangue il male non ci vede bene, mena fendenti a destra e a manca senza distinguere fra colpevoli e vittime. Nella Bibbia uno dei nomi del diavolo è Asmodeo, “il devastatore”. Da come viene chiamato, escludo che abbia una buona mira. Evocato il Maligno vorrei esorcizzarlo con un bicchiere. “Il vino ha fatto più della teologia per avvicinare gli uomini a Dio” ha scritto Emile Cioran, un rumeno da cui mi sono molto abbeverato. Sono un po’ preoccupato, temo che tu mi stia leggendo da sobria, se fossimo in vineria e se fossimo insieme, come la sera della nostra prima bottiglia, quando tu pensavi che non ce l’avremmo fatta a finirla e invece non ne rimase una goccia, le mie parole riempirebbero meglio lo spazio e risuonerebbero più armoniose e convincenti dentro di te, sicuro. Invece devo arrangiarmi a distanza, con la tastiera di un computer e un bicchiere triste e solitario alla mia destra (se c’è una cosa che non sopporto dello scrivere è che implica il bere da soli). Per tornare ai Dieci Comandamenti ti piazzo il virgolettato del mio cardinale preferito, monsignor Giacomo Biffi (io uso spesso le parole di papi e cardinali perché sono l’unica guida morale, non contingente e non parziale, della nostra epoca): “Perché un’ordinata convivenza sia possibile e la città degli uomini non risulti caotica e dissennata, è indispensabile che questa norma – i Dieci Comandamenti – non sia socialmente contestata, e sia anzi accettata universalmente come vincolante.” Tu invece la contesti, a cominciare dal primo comma. Ce l’ho qui la tua mail: “Non avrai altro Dio all’infuori di me: lo trovo limitante e quasi tirannico.”

Ti chiami Grazia, bellissimo nome, ma dovrei chiamarti Eva, un po’ meno bello. Anche se la nostra progenitrice brutta non era di certo, ho qui davanti un quadro di Dürer che la raffigura e la mela (la grossa mela) che tiene in mano trova una perfetta corrispondenza nella forma, nelle dimensioni e nella sodezza delle sue tette. Credevo che nel 1507 le mele fossero molto più piccole delle varie Golden e Stayman di oggi: hai presente le mele annurche? Forse Dürer l’ha fatto apposta, ha gonfiato il frutto del peccato per eccitare il parallelismo fra le varie rotondità presenti nel pannello conservato al museo del Prado di Madrid. O forse sono io troppo malizioso. Dov’ero rimasto? Dunque, Adamo ed Eva sono caduti dal paradiso per la precisa ragione che non tolleravano limiti. Nel giardino dell’Eden potevano mangiare tutti i frutti meno uno. Siccome erano dei fessi che si credevano furbi (un classico) mangiarono proprio quello. “Quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio” aveva detto il Serpente. Non avevano fatto caso, gli antenati, alla lingua biforcuta del rettile. Gli occhi si aprirono ma l’uomo e la donna non diventarono come Dio anzi si imbestiarono, si fecero mortali. Il fatto incredibile è che i versetti della Genesi, scritti alcune migliaia di anni fa, fotografano il nostro presente di uomini presuntuosi che, con la manipolazione genetica, di nuovo pensano di poter diventare come Dio. Candidandosi a un’ulteriore dolorosa caduta. Ho usato l’aggettivo “incredibile” mettendomi nei panni dell’uomo irreligioso, l’uomo senza passato e senza futuro che la domenica va negli outlet: l’uomo low cost, l’uomo che si circonda di cose che valgono poco, di pensieri che durano poco. Mentre io, uomo che vuole tramandare ciò che ha ricevuto, non mi stupisco affatto della perenne validità della Bibbia, così come dell’eternità della chiesa: entrambe hanno origine divina. Non è casuale che la questione del limite venga introdotta da Dio nelle prime righe del primo libro. Le prime parole che il Creatore dice alla creatura contengono un divieto. Può sembrarti un comportamento tirannico, io invece lo trovo giudizioso e realistico: se all’uomo si dà troppa corda immediatamente si caccia nei guai. Verificato che i figli di Adamo hanno dura cervice e scarsa memoria, il limite venne poi scolpito nella pietra e presentato a Mosè nella forma canonica dei Dieci Comandamenti. Scolpito sulla dura pietra del Monte Sinai: è quindi impensabile che si possa fare un taglia e incolla come se fosse una nostra mail. La vera religione non è un ristorante alla carta dove si può saltare l’antipasto, tralasciare un piatto e sceglierne un altro, magari chiedendo al cameriere di togliere un determinato ingrediente, come fanno certe giovani donne fastidiose che così facendo ottengono le maledizioni del cuoco e a volte, nel segreto della cucina, anche uno sputo nel piatto. Il Decalogo è un pezzo unico, prendere o lasciare. Siamo liberi di lasciare poi però non dobbiamo lamentarci delle conseguenze. “Ti comando di amare il Signore tuo Dio, di camminare per le sue vie, di osservare i suoi comandi, le sue leggi e le sue norme, perché tu viva e ti moltiplichi” dice Mosè nel discorso pronunciato prima di morire. Ecco l’obiettivo della Legge: “Perché tu viva e ti moltiplichi”.

Il popolo italiano ha cominciato a morire negli anni Settanta, quando per la prima volta nella storia il tasso di fecondità è sceso sotto il livello di sostituzione (2,1 figli per coppia). In quel decennio si cominciarono a sentire a livello di massa, prima al nord e poi al sud, prima nelle città e poi nei paesi, gli effetti del Sessantotto il cui slogan era “vietato vietare”. Fu una rivolta cieca e sterile contro i padri e contro il Padre. Nel ’70 venne consentito il divorzio, nel ’78 l’aborto: la demografia non si è mai più ripresa. Ribellandosi al limite naturale si sono edificati limiti artificiali, la vita non si è allargata ma si è ristretta e oggi siamo a quota 1,3 figli per coppia. Significa che nell’arco di una generazione la popolazione italiana sarà quasi dimezzata (e ancora più decrepita di oggi). Non andrà esattamente così solo perché la natura non tollera vuoti e gli indigeni mancanti saranno sostituiti da milioni di stranieri, in misura cospicua musulmani con tutto quello che ne consegue. Certi giorni mi domando quanti saranno fra vent’anni i ventenni in grado di leggere in lingua originale il quinto canto dell’Inferno o la Pioggia nel pineto. Devo confessarti, ma forse non ce n’è bisogno essendo fin troppo evidente, che sotto questo catechismo epistolare, queste lettere che sto scrivendo per spiegare la vera religione alle ragazze, c’è un brulichio di secondi e terzi fini: uno di questi è salvare il contesto della grande poesia. Senza contesto come regge il testo? Come si fa ad apprezzare Dante se non si è cattolici? Chi è per l’aborto, l’eutanasia, la clonazione, i pacs potrebbe dire che odia la poesia e di sé avrebbe già detto tutto. Anche le pagine di Baudelaire non sopportano i polpastrelli del relativista. Per scrivere “I fiori del male” bisogna conoscere la differenza fra odore e fetore, bisogna soprattutto avere nostalgia del bene. Bisogna sapere di che cosa si sta parlando e conoscere il giusto nome di ogni cosa. “Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene” dice il profeta Isaia, grande voce di Dio. Io ti sto scrivendo questa lettera non perché tu obbedisca sempre e comunque a tutti e dieci i comandamenti ma perché tu ne riconosca la validità. “La disobbedienza che sa di essere illegittima è umana, quella che si reputa legittima è diabolica” ha scritto Nicolás Gómez- Dávila, uno splendido reazionario latino- americano pubblicato da Adelphi nella stessa collana di quel romanzo che ti ho consigliato, “Cuore di mamma” di Rosa Matteucci (il suo libro però non è un romanzo, è una raccolta di intrepidi aforismi, se ti piace il genere ecco il titolo: “In margine a un testo implicito”). Non è cattolico chi non sbaglia bensì chi riconosce l’errore. Io per primo trasgredisco a mezzo Decalogo.

Sospetto di non essere tanto in regola nemmeno col quinto comandamento, non uccidere, quello che oggi almeno in apparenza riscuote più consenso (sottolineo “almeno in apparenza” alla luce dei 130.000 aborti legali praticati in Italia nel 2005). Mi piacciono le armi. Ho grande stima per tutti coloro che vengono incriminati per eccesso di legittima difesa (se l’aggressore non voleva farsi la bua poteva benissimo starsene a casa). Ovviamente non ho alcuna stima per i giudici che li incriminano. Mangio carne cruda e gamberetti vivi. Voglio la pace quindi preparo la guerra. Sono per la pena di morte, auspico che Saddam Hussein venga impiccato nella piazza principale di Baghdad e mi piacerebbe vedere appesi ai lampioni di Secondigliano un congruo numero di camorristi (dei tanti modi per svuotare le carceri, indulto eccetera, sarebbe quello più rispettoso nei confronti delle loro vittime, e un cristiano è dalla parte delle vittime, sempre). Temo di non essere in regola ma può darsi che invece lo sia. Gesù Cristo ha detto di porgere l’altra guancia, non la giugulare. Il Vangelo, checché ne pensino gli ignorantissimi pacifisti, esorta a non vendicarsi, non a non difendersi. San Tommaso d’Aquino, mica don Mazzi, giustifica l’omicidio finalizzato a proteggere sé stessi e san Paolo, mica don Ciotti, nella Lettera ai Romani saggiamente e realisticamente scrive: “Se è possibile vivete in pace.” Se possibile, appunto, e non sempre lo è. Se il quinto comandamento si può interpretare in diversi modi figuriamoci il sesto, non commettere atti impuri. Un punto fermo però bisogna metterlo ed è il seguente: la morale sessuale non è il centro della morale cristiana (che a sua volta non è il centro del fatto cristiano che invece è la morte e la resurrezione di Cristo). “I peccati della carne sono certo gravi, ma meno di tutti gli altri. Tutti i peccati peggiori sono puramente spirituali”. Sono parole di Clive Lewis, il religiosissimo autore delle “Cronache di Narnia” (magari hai visto il film, io nemmeno quello, di lui ho letto solo “Il cristianesimo così com’è” da cui ho tratto la frase). Personalmente mi spingo oltre Lewis, facendo parte di un filone di pensiero cattolico che risolve questo genere di faccende con un proverbio che siccome sei cresciuta a Caltanissetta non penso di dover tradurre: “Futti futti che Dio perdona a tutti”. Resta essenziale la consapevolezza della colpa, quella che mi pare tu non abbia, almeno a giudicare dalla mail: “Ritengo che non tutti gli atti che la chiesa, secondo le sue regole, ritiene impuri, siano in realtà tali. Credo che ognuno di noi debba valutare, alla luce sì degli insegnamenti e dei principi della religione in cui crede, cosa sia impuro per se stesso o no. Per me gli atti impuri sono esclusivamente quelli che offendono la dignità personale e sporcano lo spirito. Il giudizio deve necessariamente essere soggettivo perché ciò che è impuro per me può non esserlo per altri.” L’argomento è delicato, io sono un uomo e tu sei una donna, per giunta bella. Non vorrei mai che questa lettera deragliasse dai suoi binari catechistici e quindi non entrerò nel merito ma parlerò del metodo. Qualcosa di essenziale che può essere applicato a tutti gli altri comandamenti. Cominciamo col dire che la Chiesa non ha “sue regole”. Non è che un giorno un Papa si è svegliato male e si è inventato capricciosi divieti. La Chiesa è stata fondata da Gesù: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa”. Lo stesso Gesù che tieni nel portafoglio. E’ stato lui in persona a ribadire la necessità di rispettare i Dieci Comandamenti. I discendenti di Pietro non possono in alcun modo tradire le sue parole, fosse anche il 99 per cento dell’umanità a richiederlo. Cristo è la verità e la verità non si può mettere ai voti. Joseph Ratzinger quando era ancora cardinale scrisse: “Una morale e un diritto che non prendano le mosse dal riferimento a Dio degradano l’uomo: con un’apparente liberazione egli viene sottoposto alla dittatura della maggioranza dominante.” I poliziotti che non fanno rispettare il codice penale nei quartieri di Napoli dove prevale la mentalità camorrista non sono buoni e comprensivi: sono cattivi verso i deboli e gli onesti. I cristiani che patteggiano col mondo mettendo i Dieci Comandamenti fra parentesi non sono più “il sale della terra”, qualcosa che dà sapore, ma un surrogato truffaldino che subito piace e poi ti intossica, come l’aspartame delle bibite light che fa perdere i capelli e la memoria. E poi no, Grazia, non possiamo essere noi a decidere il puro e l’impuro. Siamo parte in causa, c’è un evidente conflitto di interessi. E’ come chiedere all’oste se il vino è buono, all’editore se il libro è bello: che cosa vuoi che ti rispondano? Mi ricordo Alberto Bevilacqua (che io prendo spesso in giro ma a cui voglio molto bene) quando parlando di un suo nuovo libro in televisione disse che era divertentissimo, ed era divertentissimo sentirglielo dire, con quella sua infantile incapacità di prendere la minima distanza dalla propria opera. Mi sembra che Romolo Guardini faccia al caso nostro: “Ognuno di noi ha bisogno di un punto geometrico fuori da sé che gli permetta di formulare giudizi di valore che non siano semplici espressioni del proprio egoismo e del tornaconto personale”. Il teologo usa un’espressione, “giudizi di valore”, in cui la parola essenziale è “valore”. Il Decalogo dà valore all’uomo, mostrandogli quanto contano le sue azioni. Se nulla fosse importante, se fosse irrilevante fare una cosa oppure il suo contrario, saremmo irrilevanti anche noi. Mentre io ho scritto questa lettera proprio per dirti quanto sei rilevante, Grazia.

Che il Ges√π Bambino conservato nel tuo portafoglio ti protegga sempre.

Camillo

Camillo Langone

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