Green pass, smart working e controlli.

Le risposte ai dubbi

Il Consiglio di Stato: privacy rispettata. Il giudice amministrativo: «Salva restando la libera autodeterminazione di chi non si vaccina, l’interesse pubblico prevale».

Fatto il decreto sul Super Green pass, restano alcuni margini interpretativi e di dubbio. I principali dei quali riguardano l’incrocio con lo smart working e i nodi dei controlli e dell’applicazione "domestica". Ma intanto l’annuncio delle nuove norme ha fatto scattare una corsa ai vaccini in molte zone.

«Privacy non violata»

Un punto fermo, intanto, è stato posto dal Consiglio di Stato. I giudici hanno stabilito che la richiesta di esibire il pass non viola la riservatezza ed è legittima. Il Consiglio ha così ribadito la validità e l’efficacia delle disposizioni del Dpcm del 17 giugno scorso; e, confermando la decisione del Tar Lazio, il Consiglio ha respinto quanto sostenuto da 4 cittadini, non vaccinati, secondo i quali le norme comportavano un pregiudizio della riservatezza sanitaria. Nella sentenza si afferma che, «restando salva la libera autodeterminazione dei cittadini che scelgono di non vaccinarsi, l’interesse pubblico risulta prevalente».

 


Arrivano le prime precisazioni sulle norme varate dal governo circa il certificato verde. Non esiste un diritto allo smart working nel caso in cui non sia previsto. Sarà il datore di lavoro a decidere in base alle esigenze


Nessun diritto al lavoro agile

Il tema non è citato nel decreto-legge, il cui testo tuttavia è ancora oggetto di limature. Fonti di governo hanno precisato però che, pur non essendo richiesto il certificato verde a chi lavora da casa, «la sua assenza non può dare in automatico diritto al lavoro da remoto». Sul punto è intervenuto anche il giuslavorista Tiziano Treu, presidente del Cnel: l’obbligo di collocare in remoto i no-vax «non c’è, sta alla normale discrezione del datore di lavoro».

«Subito senza stipendio»

Palazzo Chigi ha chiarito ieri che, sia per i dipendenti della Pubblica amministrazione che per i lavoratori privati, le sanzioni (che, lo ricordiamo, escludono però il licenziamento) sono immediate: non è prevista la retribuzione dal primo giorno in cui si presentano al lavoro senza la certificazione verde, oltre alla multa che può arrivare fino a 1.500 euro. Nello specifico, nel pubblico per i primi 5 giorni si sarà considerati assenti ingiustificati, fino all’eventuale presentazione del certificato; dopo 5 giorni, si procederà alla sospensione del rapporto di lavoro, ma non sono previste conseguenze disciplinari e si mantiene il diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per le aziende con meno di 15 dipendenti, inoltre, è prevista una disciplina volta a consentire al datore di lavoro di sostituire temporaneamente il lavoratore senza pass. Sul punto è critica la Confcommercio. «Perché - chiede Guido Lazzarelli dell’associazione - la sospensione del lavoratore scatta solo al quinto giorno? Auspichiamo chiarimenti in tempi brevi». Ci sono poi alcune categorie sensibili che hanno molti non vaccinati. In polizia 17mila su 97mila (ma una quota ha già avuto il Covid), nella polizia penitenziaria, spiega la Uil Pa, in 13mila non hanno fatto ancora la prima dose, più di un terzo del totale. «Cosa succederebbe - chiede il sindacato - in caso di sospensioni dal servizio?».

Il nodo dei controlli

Nel lavoro dipendente pubblico e privato, poi, si porrà ora il problema della figura - capo ufficio o altri - che sarà tenuta al controllo. Oltre tutto la validità del pass è resa più incerta dal fatto che la data di scadenza (prolungata di recente a un anno dalla data dell’ultima dose) può essere inficiata da una nuova positività o da un contatto con un soggetto positivo. Le modalità per organizzare le verifiche devono essere definite dalle singole aziende entro il 15 ottobre. Per il pubblico sarà un Dpcm ad adottare le linee-guida sui controlli, che potrebbero essere affidati a una app simile a quella già adottata nella scuola.

Il problema maggiore sorgerà quando si tratterà di chiedere il pass in una casa privata al lavoratore autonomo (colf, elettricista, idraulico, ecc.). Secondo lo spirito della legge dovrà essere il padrone di casa a chiedere al professionista di esibire la certificazione. Se non lo fa, rischia anche lui la multa come il lavoratore autonomo. Peraltro, pesa pure il nodo che è irregolare buona parte dei rapporti di lavoro dei collaboratori domestici e questo renderà di fatto inapplicabile il nuovo decreto, perché non ci sarebbe un datore di lavoro individuabile.

 


di Eugenio Fatigante

tratto da Avvenire.it

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