Harambèe: Discorso del Rettor Maggiore don Pasqual Chavèz

L'argomento di oggi è “Conoscere don Bosco” e vi spiego il perché: innanzitutto perché ci stiamo avvicinando alla celebrazione del bicentenario della nascita di don Bosco. Si tratta di una ricorrenza che ci deve trovare disponibili e pronti a scoprire chi siamo, cioè a rafforzare la nostra identità carismatica e la nostra passione apostolica.

Harambèe: Discorso del Rettor Maggiore don Pasqual Chavèz

da News dal mondo

del 04 ottobre 2011 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) {return;} js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/en_US/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 

            Un saluto cordiale a tutti. Ringrazio in particolare Madre Yvonne Reungoat per la sua presenza e per la presenza delle FMA missionarie, soprattutto perché stiamo parlando di una famiglia spirituale apostolica, quella di don Bosco, unita attorno ad una missione comune: rendere visibile l’amore di Dio ai giovani, soprattutto a coloro che diversamente non avrebbero la capacità di scoprire che Dio esiste, li ama e gli vuole bene. Tra i tanti mezzi che Dio ha messo a loro disposizione si trova il VIS e, naturalmente, la nostra famiglia spirituale.

           È presente oggi anche Guido Pedroni, fondatore della Comunità della Missione di don Bosco, da alcuni anni parte della Famiglia Salesiana; è qui tra noi una delle Consigliere delle Suore della Carità di Gesù, domani consegnerò il crocifisso missionario ad alcune di loro. Sono presenti anche due dei nostri Consiglieri: don Vaclav Klement, che ha guidato il gruppo e l’animazione dei missionari, e don Pier Fausto F risoli. Ringrazio anche suor Alaide Deretti e poi alcuni Ispettori italiani: don Riva, don Martoglio, don Spreafico, don Lorenzelli; dall’Ispettoria del Belgio Nord è venuto l’Ispettore don Mark Tips e dall’Irlanda l’Ispettore Michael Casey.Ringrazio per la presenza anche il Procuratore di Madrid, don Augustin Pacheco.Io comincio con il porgere gli auguri al VIS che sta celebrando 25 anni. Sembrano pochi, ma ormai è una realtà molto consolidata che rappresenta una delle espressioni più belle della missione salesiana, ovvero la scelta per la gioventù povera, abbandonata, emarginata, esclusa, privata dei suoi diritti. Io mi auguro che questa celebrazione del venticinquesimo sia un punto di partenza per una presenza ancora più salda ed efficace in tutte le parti del mondo.           L’argomento di cui vi parlerò oggi è “Conoscere don Bosco” e vi spiego il perché: innanzitutto perché ci stiamo avvicinando a grandi passi alla celebrazione del bicentenario della nascita di don Bosco. Si tratta di una ricorrenza che ci deve trovare disponibili e pronti a scoprire chi siamo, cioè a rafforzare la nostra identità carismatica e la nostra passione apostolica. Il nostro compito il prossimo anno è prima di tutto comprendere, per interpretare e perpetuare le grandi intuizioni di don Bosco, le sue scelte pastorali - maturate proprio qui dove ci troviamo – e l’azione pastorale da lui condotta, che oggi si svolge in 132 Paesi del mondo. La genialità educativa di don Bosco, la sua operosità instancabile, la sua spiritualità sono tre dimensioni che non possono separarsi. Una grande azione operativa, una genialità educativa ed unaintensa spiritualità: senza questo non c’è carisma salesiano.Il primo passo è conoscere la persona di don Bosco, conoscere la sua storia. È una conoscenza per cui siamo stati invitati ad avvalerci dei metodi della ricerca storica sapendo che oggi contiamo su di una ricchezza che 50 anni fa non esisteva. Penso ad esempio a tutta l’opera realizzata da don Pietro Stella, da don Pietro Braido, dall’Istituto di studi salesiani dell’Università UPS, dall’Istituto storico salesiano, da don Francis Desramaut in Francia, da don Arthur Lenti negli Stati Uniti. Tutti questi studi oggi ci permettono di conoscere don Bosco in modo più approfondito di quanto potevamo fare fino a qualche decennio fa e ci aiutano a cogliere quale è stata la sua grandezza e il cammino - interiore ed esteriore - da lui percorso per arrivare lì dove è giunto.           Vi chiedo però di prestare attenzione affinché lo studio della persona e della storia di don Bosco non ci porti ad una sbagliata comprensione, quella che non ci permetterebbe di capire prima di tutto che la grandezza di don Bosco è stata la sua dedizione per i giovani fino all’ultimo minuto di vita. Se lo studio che faremo ci aiuterà a scoprire, amare e venire incontro ai bisogni dei giovani più di quanto abbiamo fatto fino ad ora, sarà un anno di preparazione pieno di successo.Insieme a questa totale dedizione ai giovani, troviamo la consapevolezza di don Bosco diessere uno strumento del disegno meraviglioso di Dio, di non star facendo altro che realizzare il piano di Dio per i giovani.Questi due elementi sono il frutto dell’anno dedicato a studiare la storia di don Bosco: capire che lui visse per realizzare un sogno - dedicare tutta la vita ai giovani - e che in tutto questo faceva in realtà il sogno di Dio.Don Bosco è una figura poliedrica, non la possiamo ridurre a due o tre battute come a volte vorremmo.           È un fondatore: dei Salesiani, dell’Istituto delle FMA, dei Salesiani cooperatori, dell’associazione dei Devoti di Maria Ausiliatrice. È un legislatore: il progetto di vita che noi Salesiani abbiamo professato è il suo, così come è suo quello delle FMA: lungo la storia ci sono state ovviamente delle modifiche per inglobarvi il contributo delle scienze umane e della teologia, ma don Bosco rimane il nostro legislatore. Non si può dire dunque che si ama don Bosco senza assumere il suo progetto di vita.           Don Bosco è soprattutto un educatore: in tutto quello che faceva era soprattutto questo. Ed educare, cari miei fratelli, è un arte: lui è stato proprio un artista dell’educazione perché ha insegnato e aiutato i giovani a vivere, a trovare il senso della vita, a scoprire i loro progetti di vita, a ridare qualità alla loro esistenza. Don Bosco insegnò qui a Valdocco ai giovani a vivere insieme, ad optare per la comunione e la comunità: in un momento della società in cui prevaleva l’individualismo, quando lo stare insieme non si imparava neppure in famiglia, don Bosco insegnò ai giovani a vivere e stare insieme. Insegnò loro a cercare la verità, non solo quella della scienza - e sapete quanto si impegnò per abilitare i suoi giovani nelle varie professioni - ma la verità sulle domande fondamentali: chi sono, da dove vengo, dove vado e attraverso quali strade. Don Bosco insegnò ai giovani a cercare ed incontrare la felicità in Dio.Dio non è una minaccia per la nostra felicità e questo lo seppero capire i ragazzi che stavano con lui all’oratorio.           Allora: don Bosco è un educatore, è un maestro di vita spirituale, un maestro che si fece santo mentre insegnava ai ragazzi a diventare santi. Il che vuol dire che era capace di comunicare un’esperienza di vita. Quando il Papa insiste nel dire che il cristianesimo non è una dottrina, non è un codice etico, non è una liturgia ma una persona, Cristo: ecco è quanto don Bosco seppe fare, un maestro di vita spirituale. Ecco, carissimi fratelli e sorelle: quando vi invito a studiare la storia di don Bosco è per evitare che possa andare smarrito quanto ci è stato tramandato. Perciò è urgente e necessario studiare e conoscere don Bosco. Sono passati già 152 anni dalla fondazione della Congregazione, 1859.Sono passati già quasi 200 anni da quando don Bosco è nato. C’è una distanza cronologica che continua a crescere. C’è una distanza geografica: don Bosco visse qui a Torino, adesso abbiamo missionari che vengono dall’Asia, dall’Africa, dall’America Latina. C’è soprattutto una distanza culturale: il mondo in cui noi viviamo è completamente diverso da quello che conobbe don Bosco. Si può correre il rischio di perdere quel clima affettivo che don Bosco creò qui, quella vicinanza che lo rendeva familiare e che faceva sì che senza nessuna campagna vocazionale da questo oratorio di Valdocco siano uscite 2.000 vocazioni e che alla sua morte abbia lasciato 700Salesiani.           Cari fratelli e sorelle, se dovesse mancare il riferimento al nostro padre comune, al suo spirito, alla sua prassi, ai suoi criteri ispiratori come Famiglia Salesiana avremmo perso la nostra cittadinanza nella società e nella Chiesa. Saremmo nulla. Da qui l’importanza di recuperare don Bosco e sapete perché? Perché la storia di don Bosco non è solo nostra, ma appartiene alla Chiesa, all’umanità e non dovrebbe essere assente dalla storiografia sociale ed ecclesiale. Fino ad ora però non è stato tanto così, è stato quasi esclusivamente un lavoro nostro. Se noi non saremo presenti nel dibattito culturale in ogni Paese, questo significherà perdere la significatività storica dei Salesiani: saremo conosciuti come una “holding”, proprietaria di scuole, che gestisce centri giovanili e opere per i ragazzi di strada e tanto altro ancora, ma avremo perso la cosa più importante, la significatività storica. Quando qualcuno mi domanda se il sistema preventivo, la Congregazione, la Famiglia Salesiana hanno ancora futuro e significato,io rispondo certamente sì, ma a condizione di entrare nel dibattito culturale, di non restare emarginati socialmente. Ci sono tante cose in cui siamo assenti e se siamo assenti perderemo rilevanza, non ci conosceranno più e soprattutto non apprezzeranno la nostra offerta educativa.           Conoscere don Bosco e reinterpretarlo oggi è molto impegnativo: forse questa è la Strenna più impegnativa che ho dato fino ad oggi perché è un invito ad inserirsi nei 132 Paesi in cui viviamo e svolgiamo la nostra missione con rinnovata convinzione di chi siamo, di quale dono siamo portatori e quale è il contributo che siamo chiamati ad offrire alla Chiesa e all’umanità.Questo che sto dicendo naturalmente interessa soprattutto ai Salesiani, ma non solo: interessa a tutta la Famiglia Salesiana, a tutti i gruppi della Famiglia Salesiana. Perché se non raggiungiamo una visione comune ciascuno interpreterà don Bosco diversamente ed etichetterà come azione salesiana il proprio operato anche se probabilmente non è più salesiano. Abbiamo bisogno di avere una visione sempre più condivisa per poter valorizzare quello che è il nostro patrimonio storico, pedagogico e spirituale.           Ho chiesto a tutti i confratelli di leggere le “Memoria dell’oratorio” perché è un’autobiografia di don Bosco - naturalmente reinterpretata da quanto lui visse lungo la sua vita - ma questo testo si ferma all’anno 1855, mentre gli anni più importanti di don Bosco vanno dal 1855 al 1875, quando fonda la Congregazione, l’Istituto delle FMA e i Salesiani cooperatori. Tutti dovranno leggere questo testo, ma ai Salesiani ho anche detto che devono leggere i 2 volumi del Braido, i 7 volumi dell’Arthur Lenti o i libri del Desramaut, o qualsiasi altra bibliografia storico-critica. Vi invito dunque, cari fratelli e sorelle, a leggere almeno le “Memoria dell’oratorio”: ai Salesiani il prossimo anno però farò un esame e allora saprò se si sono accontentati di leggere solo queste “Memorie” o hanno anche letto altro…Don Bosco ci offre una presentazione semplice, ma al tempo profetica del suo spirito e della sua missione, nel sogno dei 9 anni. È una pagina autobiografica che lui ricorderà varie volte, fino a piangere nel 1886, in occasione della dedicazione della Basilica del Sacro Cuore a Roma.In quel sogno a don Bosco viene definito il suo campo di azione, che lui scopre essere i giovani.           Cari fratelli, sorelle, membri tutti della Famiglia Salesiana, amici: noi Salesiani siamo per i giovani. I giovani sono per noi un’opzione assoluta. Questo lo dico persino ai confratelli che nell’Europa dell’Est si erano visti confiscare le scuole e le proprietà. Adesso, dico loro che ho bisogno di vedere che in tutte le loro opere i giovani sono i destinatari preferenziali.I giovani non sono un pretesto per noi, sono la ragione della nostra vita. E nel sogno dei 9 anni don Bosco scopre questo in maniera lampante. Gli viene infatti allora indicata la sua azione apostolica, vale a dire aiutare a crescere i ragazzi sviluppando tutte le loro potenzialità attraverso l’azione educativa. Il Salesiano per natura e per vocazione è un educatore. Io sono un educatore e penso di avere la competenza per aiutare i giovani: aiutarli a vivere, a stare insieme, a cercare la verità e la felicità, a fare di loro persone ricche di valori umani con sentimenti nobili, ideali alti; poter spendere tutto quanto abbiamo perché i giovani diventino professionali e competenti in un mondo concorrenziale in cui se non sono preparati saranno emarginati, sfruttati e messi in disparte. Io so come state vivendo voi questo momento di crisi economica in Europa: in Italia il 28% dei giovani non ha lavoro e questo vuol dire che non vede futuro, non vede speranza. E sappiamo quanti milioni di giovani in tutta Europa non hanno lavoro… Don Bosco si diede da fare proprio per formare professionisti competenti in grado di inserirsi con garanzia di successo in qualsiasi società. Altrimenti non facciamo un favore ai ragazzi. Perciò tutte le nostre migliori risorse devono essere usate per l’educazione. Io sono felicissimo che la prima cosa che abbiamo fatto ad Haiti dopo il terremoto è stata di rimettere in piedi le scuole, non le case dei Salesiani. Ancora vivono nelle tende, difatti, e possono vivere lì, ma i ragazzi non possono stare per le strade, senza fare nulla.           Don Bosco nel sogno dei 9 anni scopre questo, di essere chiamato ad essere un educatore perché l’educazione è il dono più prezioso che possiamo offrire alla gioventù: è grazie all’educazione che si forma un nuovo cittadino, preoccupato non soltanto del proprio successo personale ma del benessere comune, sensibile ai grandi problemi della società e dell’umanità.E cosa scopre ancora don Bosco nel sogno dei 9 anni? Il metodo educativo che renderà efficace la sua azione educativa, il sistema preventivo. Il sistema preventivo va oggi ripensato ed aggiornato per poter tradurre in termini comprensibili ed efficaci la forma in cui don Bosco lo esprimeva. Ad esempio, don Bosco diceva che voleva formare “un onesto cittadino e un buon cristiano”, ma oggi cosa significa questo? Formare l’onesto cittadino equivale oggi a dire formare la persona umana, il professionista: ovvero, persone per gli altri. Che bello sarebbe se noi Salesiani sapessimo formare persone per gli altri, non egoiste che pensano solo ai propri affari e al proprio successo!           A don Bosco nel sogno dei 9 anni viene soprattutto presentato l’orizzonte in cui si dovrà muovere: sapersi realizzatore del disegno meraviglioso di Dio, il che è molto bello perché questo significa che tutti noi siamo invitati ad inserirci in una magnifica storia che è la storia di Dio, il quale vuole che tutti gli uomini raggiungano la pienezza di vita. E questo sentire don Bosco non lo perderà. Fin dall’inizio la presenza di Gesù e Maria gli offre l’orizzonte in cui deve muoversi: noi non siamo operatori sociali, noi non siamo “social workers”… Siamo agenti della salvezza di Dio.Possiamo dire che don Bosco visse per trasformare in realtà questo sogno e io mi auguro veramente che tutti noi ci impegniamo a fare lo stesso, trasformare in realtà il sogno di Dio, fare felici i giovani, soprattutto i più poveri.Siamo dunque chiamati, cari fratelli e sorelle, a fare quanto il nostro amatissimo padre don Bosco fece: assumere i giovani come programma di vita, come ragione della nostra esistenza, spendendo per loro tutte le nostre energie, fino all’ultimo respiro. Don Bosco non venne mai meno per i suoi giovani e noi non possiamo venire meno oggi. In una società totalmente impegnata a soffocare il massaggio di Cristo, penso che la nostra vocazione sia quella di trovarci tra coloro che continuano a “suonare per i giovani la musica della vita”, a far loro ascoltare la musica della vita. In un mondo che sta facendo di tutto perché i giovani non ascoltino l’insistente invito di Cristo “Venite e vedrete”, il nostro privilegio è essere attirati da don Bosco, incoraggiati a suonare per i giovani la musica del cuore, a testimoniare la trascendenza, ad esercitare la paternità spirituale, a stimolare i ragazzi in una direzione che corrisponda alla loro dignità e ai loro desideri più autentici.           Mi auguro davvero che sia un anno che, all’insegna di questo invito a conoscere più in profondità la storia di don Bosco, sia stimolante e fecondo. Naturalmente questo sarà il primo passo del triennio per arrivare ben preparati al bicentenario della nascita di don Bosco. Non vorrei che il bicentenar io fosse semplicemente un “happening”, un grande festival dei giovani: sarà un autentico processo di salvezza se sarà parte di un processo che sboccherà in tutti gli eventi del 2015 e soprattutto che sarà un punto di partenza per incarnare don Bosco fedelmente e fedelmente rispondere ai giovani di oggi. DOMANDE E COMMENTI Silvia, di Torino          Volevo intanto ringraziarla perché la sua parola è sempre un grande dono. Le chiedo: assumere come progetto i giovani in un’Europa che invecchia sempre più, a confronto con un resto del mondo che invece è molto giovane: come poter affrontare questa contraddizione abbastanza evidente e che almeno gli adulti come me sentono molto forte nelle loro scelte di vita? Rettor Maggiore          I giovani li dovremo trovare dove loro si trovano. In questo momento alcuni di lorofrequentano la nostre istituzioni e qui l’incontro è facile, purché facciamo veramente sentire loro che li amiamo e gli vogliamo bene e che siamo impegnati nello sviluppo della loro personalità e delle loro scelte di vita.Ma soprattutto i giovani abitano oggi più che mai nel “continente digitale”: se noi nonimpariamo ad abitare il “continente digitale” ci vedranno sempre più come già ci vedono, come immigranti. E l’unico modo per abitare questo continente è di conoscere sempre più il mondo digitale ed assumerlo come campo di azione, di evangelizzazione e di educazione. E non c’è dubbio che in Europa - dove è vero quello che lei diceva, che abbiamo meno contatto con i giovani - il mondo da loro più abitato sia quello digitale.Cosa dare a loro? La prima cosa penso sia diventare compagni di cammino perché stanno vivendo con due grandi problemi: la solitudine e l’isolamento. Perché 2 milioni di giovani sono andati a Madrid? Perché sentono il bisogno di incontrarsi con altri compagni come loro con cui poter condividere le grandi scelte di vita e di fede. Eventi come la Giornata Mondiale della Gioventù, l’Harambée, il Movimento Giovanile Salesiano - che dovrà essere rivalorizzato alla luce della GMG perché i giovani hanno bisogno di superare l’isolamento altrimenti saranno sempre più smarriti, senza punti di riferimento e senza l’energia per testimoniare la propria fede e le proprie scelte.Allora un elemento che per me oggi diventa una sfida grande è questo: incontrare i giovani lì dove si trovano e il “continente digitale” è uno di questi luoghi. Vittorio, di NapoliL’esperienza degli anziani può essere fruibile per realizzare l’idea meravigliosa di don Bosco? Rettor Maggiore          Io premetto questo: quando si dice che un Salesiano è per un giovane un padre, un fratello, un amico… I giovani oggi non vogliono padri, non vogliono fratelli… Come poter diventare allora il padre, il fratello, l’amico? Ecco la sfida! Questo avverrà nella misura in cui siamo in mezzo a loro.Diversamente, quello che noi consideriamo il nostro valore aggiunto per loro equivarrebbe al nulla. In una società sempre più “liquida”, dove sembra non ci sia nulla di saldo, stare in mezzo ai giovani e diventare loro compagni di cammino senza perdere la nostra responsabilità è l’unica forma per poter diventare quello che si suppone noi dovremmo essere.Questo è anche il problema dei genitori che vogliono diventare amici dei loro figli: no, i genitori devono essere i genitori, di amici i loro figli ne hanno già tanti! I genitori possono interpretare in una nuova forma questo loro essere genitori e questo va bene, ma non possono ridurre la loro responsabilità di essere genitori semplicemente diventando amici.Capita lo stesso nell’educazione: una cosa è avvicinarsi e cercare di inserirsi, un’altra è perdere di vista la propria identità, il proprio essere e il proprio compito. Cosa diceva don Bosco? Se i giovani si sentono conquistati nel cuore saranno aperti e disponibili a tutti i valori che vogliamo condividere e proporre loro.

 

 

 

 

Valdocco, 25 settembre 2011

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