La storia spesso non insegna e dopo decenni dall'atomica da 300mila morti, ci si confronta ancora sulle prospettive del riarmo nucleare. La storia siamo noi, la nostra normalità lacerata da drammi improvvisi. Ecco la vera dimensione del ricordo.
del 05 agosto 2005
Il 2005 è tempo di ricordi: 60 anni fa finiva la seconda guerra mondiale con il suo carico di morte e di violenza, a cui comunque l'uomo non ha rinunciato. Un bilancio amaro, ancora più vero di fronte alle celebrazioni di domani, 6 agosto, con cui il mondo intero ricorderà i 60 anni delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Quasi 300mila morti sul momento, decine di migliaia nei giorni e negli anni seguenti per effetto delle radiazioni: ecco come la ricerca e il progresso militare diedero all'uomo il potere potenziale (e drammaticamente reale) di autodistruggersi. A distanza di decenni ci si interroga ancora sull'effettiva necessità delle due bombe che portarono alla resa senza condizioni del Giappone; eppure il mostro è ancora in mezzo a noi. La Guerra Fredda con la corsa agli armamenti aveva riempito gli arsenali di bombe capaci di distruggere ogni forma di vita; unico punto di equilibrio, la consapevolezza delle parti che di fronte ad armi tanto potenti l'assioma latino “morte tua, vita mia” si sarebbe tradotto soltanto in un drammatico “morte tua, morte mia”. Come dire che nonostante confini, tensioni e divisioni, il genere umano naviga ancora sulla stessa barca.
 
Con il superamento dei blocchi e la comparsa del terrorismo, il quadro è cambiato e gran parte del rischio e del pericolo passa ancora dalle armi di distruzione. Anche un bambino sa che con l'atomica non si scherza, ma per il giocattolino si è disposti a fare follie. Dieci anni fa, la Francia salì alla ribalta della cronaca per gli esperimenti, funzionali ad aggiornare l'arsenale atomico transalpino. A lei, il mondo deve la distruzione dell'atollo di Mururoa, che si unisce a tutti gli altri luoghi cancellati da Usa, Russia, Gran Bretagna, India, Pakistan, Israele. Una bella lista che potrebbe allungarsi perchè sono numerosi i paesi che aspirano ad entrare nel club. Il tutto per avere tra le mani l'arma proibita, il miglior deterrente per dettare regole con i paesi vicini. E pazienza se ad accampare diritti sugli armamenti siano Stati come la Corea del Nord e l'Iran, il primo pronto ad affamare la sua popolazione pur di mantenere un esercito di un milione di persone, il secondo ad eleggere un presidente ultraconservatore soffocando ogni richiesta di democratizzazione.
 
Nel contesto precario in cui si muove l'umanità del terzo millennio, Hiroshima e Nagasaki si ergono a testimoni dell'irreparabile, di ciò che l'uomo non deve essere, di un'insensatezza che troppe volte si è incrociata con la vita della gente. A 60 anni di distanza, ricordare significa impegnarsi e soprattutto combattere la tendenza a fare della storia materia da museo o semplice oggetto di discettazioni accademiche. La storia siamo noi, recitava una canzone di Francesco De Gregori. Anche Hiroshima e Nagasaki siamo noi: quando ci alziamo, quando andiamo al lavoro, quando torniamo a casa dalle nostre famiglie e giochiamo con i nostri bambini, senza immaginare che dal cielo può arrivare la morte: una luce acceccante che scioglie tutto ciò che incontra. Il dramma entra nella quotidianità; la Memoria non lo dimentichi mai...
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