Sono uno studente universitario di 21 anni, un giovane cittadino sufficientemente attento e informato, un puntuale elettore e un preoccupato futuro lavoratore. Le scrivo perché, per la prima volta da quando mi interesso alla politica nazionale, io ho paura.
Gentile direttore,
sono uno studente universitario di 21 anni, un giovane cittadino sufficientemente attento e informato, un puntuale elettore e un preoccupato futuro lavoratore. Le scrivo perché, per la prima volta da quando mi interesso alla politica nazionale, io ho paura. Non delle scarse possibilità di trovare un’occupazione lavorativa, no. Quelle mi spingono a impegnarmi negli studi e guardare con attenzione alle opportunità che mi si potranno presentare. Non della classe politica che non riesce a tradurre le parole in fatti concreti per un Paese in difficoltà, no. Essa mi chiama a una scelta elettorale consapevole e ragionata, ora più che mai. Non dell’Europa, malgrado le miopi politiche di rigore che penalizzano la crescita. E nemmeno delle banche, dello spread, delle pensioni, delle auto blu... No, direttore, di questo non ho paura. Ho paura di chi, in preda a una rabbia antica, ai fumi inebrianti della folla e al delirio di onnipotenza che questi generano, dice di essere «il popolo italiano». Ho paura di chi ha perso la fiducia nella democrazia tanto da non andare più a votare e fa di ogni erba un fascio. «Tanto sono tutti uguali», dice. Ho paura di chi attacca Equitalia ma non riesce a non considerare 'furbo' chi evade le tasse. Ho paura di chi blocca le strade e lancia bombecarta ma, soprattutto, ho paura di chi insulta e minaccia i negozianti che non chiudono, dimostrando di aver perso anche la distinzione tra amici e nemici. Ho paura di chi distrugge, senza sapere poi che cosa e come ricostruire. Ho paura di chi ripete slogan orwelliani e crede siano frutto del suo libero pensiero, mentre rischia di essere una marionetta nelle mani di chi dal caos e dall’anarchia ha tutto da guadagnare. E ho paura della nuova politica che non affronta i problemi ma, per non perdere qualche poltrona, soffia su un fuoco di cui non ha compreso la portata distruttiva. Caro direttore, potrei continuare con altri esempi ma significherebbe girare attorno al vero problema. Io ho paura di chi urla per non sentire che il responsabile della situazione attuale è lui. Siamo noi i colpevoli! Noi che abbiamo votato personaggi indegni di sedere sulle poltrone del Parlamento e, ancor di più, noi che non abbiamo votato. Noi che abbiamo evaso le tasse e continuiamo a farlo, e anche noi che tra 120 euro con fattura o 90 senza fattura abbiamo scelto la seconda. Noi che non abbiamo letto i giornali. Noi medici, tassisti, farmacisti, avvocati, banchieri, giornalisti e tutte le altre 'caste' intoccabili nei loro privilegi. Noi che siamo andati in pensione a 50 anni, tanto le spalle dei nostri figli sarebbero state larghe abbastanza. Noi che abbiamo dato vita e mantenuto un sistema malato di cui siamo parte integrante, ma da cui ora ci chiamiamo fuori. E cerchiamo di distruggerlo con fuoco e pietre, dimenticando che possiamo ancora cambiare le cose con gli strumenti che la Costituzione ci mette a disposizione. In questi giorni ho capito – l’ho sempre saputo, ma ora lo capisco – che la democrazia non è scontata. Mi chiedo che cosa resterà alla fine di questi giorni di rivolta. E, sì, direttore: ho paura.
Giacomo Bone‚Äãtti, Milano
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No, caro amico, lei non ha paura, e nemmeno io. Leggo ciò che scrive, ripenso a tutto ciò che – in questi anni e allo stesso proposito – anche noi abbiamo scritto su 'Avvenire', e concludo che in tutto questo non c’è neanche un po’ di paura. Con giovani come lei (che ha giusto l’età delle mie figlie) non è proprio possibile averne. Ma siamo in tanti, soprattutto tra noi padri e madri, ad avere in testa e nel cuore un’urgenza giusta eppure fastidiosa come un rimorso. E sa perché? Perché abbiamo ormai molto chiaro il gran lavoro di ripulitura e restauro della nostra casa comune (civile e politica) che tutti assieme – e la mia generazione con speciale responsabilità – dobbiamo avere la costanza, l’umiltà e la saggezza di avviare. Adesso, non domani. Adesso, senza ribellismi e con grande concretezza: vivendo onestamente la vita di ogni giorno, affrontando con decisione ma senza asprezza le incruente battaglie di giustizia e di civiltà che i nostri comuni valori ci impongono, dedicandoci al cambiamento delle storture, delle furbizie, delle sporcizie e degli egoismi che ancora pesano sul nostro Paese, piegano le gambe a una parte importante della nostra comunità nazionale e spingono troppi giovani a cercare un futuro lontano dall’Italia. Grazie, caro Giacomo, per questa lettera che dice – riga dopo riga – quanto chiare siano le sue idee e, insisto, quanto poco in realtà lei abbia paura. Continui così, con questa semplice e preziosa forza. Auguri sinceri.
Giacomo Bonetti, Marco Tarquinio
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