«Ho due mamme. E la mia vita è tutta in salita»

Dovrebbe leggerlo, questo libro, Umberto Veronesi. Si accorgerebbe che da una parte ci sono le teorie e le analisi psicologiche. Dall'altra c'è la vita vera, quella vissuta giorno per giorno. E forse non scriverebbe ‚Äì o forse sì, chissà ‚Äì, come ha fatto ieri su Grazia, che per un bambino è del tutto indifferente avere un papà e una mamma oppure due mamme oppure due papà.

«Ho due mamme. E la mia vita è tutta in salita»

da Quaderni Cannibali

del 10 luglio 2006

Dovrebbe leggerlo, questo libro, Umberto Veronesi. Arrivare in fondo alle 180 pagine. Si accorgerebbe che da una parte ci sono le teorie e le analisi psicologiche. Dall’altra c’è la vita vera, quella vissuta giorno per giorno. E forse non scriverebbe – o forse sì, chissà –, come ha fatto ieri su Grazia, che per un bambino è del tutto indifferente avere un papà e una mamma oppure due mamme oppure due papà. «È troppo semplicistico – argomenta l’illustre oncologo, citando autorevoli studi psicologici – ritenere che un bambino, per crescere in modo equilibrato, abbia bisogno della presenza di un padre e di una madre di sesso diverso». Lo vada a dire a Claire Breton, giovane giornalista francese che con il suo Ho due mamme per la prima volta ha raccontato in prima persona cosa si prova, davvero, a crescere in una 'famiglia diversa' (parole sue).

Claire ha 3 anni quando il padre esce di casa sbattendo la porta e la madre va a vivere con la 'zia'. Viene cresciuta dalle due donne che, benché 'sorelle', non si somigliano per nulla e hanno comportamenti per lo meno inusuali. L’infanzia e l’adolescenza di Claire sono piene di domande («Mamma, perché tu e la zia dormite nello stesso letto?»; «Perché non posso parlare della zia alle mie amiche?») e di risposte evasive, ma anche ricolma di un desiderio di normalità («Che felicità provavo nel poter vivere una serata in una famiglia 'normale', con un padre e una madre, una famiglia in cui tutto era chiaro, semplice, vero»).

 

Solo a 15 anni scopre una lettera passionale che le rivela la vera natura del rapporto tra le due: è «lo choc che ha sconvolto la mia vita». E la confessione: «Mi vergogno due volte: ho vergogna di vivere nel bel mezzo di questa relazione 'anormale', e di essere stata così stupida, così ingenua».

La domanda che le arrovella il cervello notte e giorno è: diventerò anch’io, come mia madre, «una donna divorziata e omosessuale»? Per scansare il pericolo Claire si dedica a sedurre ragazzi, ma non dorme di notte, è timida e sovrappeso. Insomma, un’adolescenza scombussolata. Qualche anno più tardi la psicoterapia «mi ha aiutata a tirare fuori il non detto, le menzogne che falsavano fino a quel momento la mia esistenza». Ma l’analisi non è bastata: a 27 anni la giovane, che nel frattempo si è laureata ed è diventata giornalista, decide di incontrare persone cresciute come lei in coppie omosessuali, di interrogarle, di capire se loro, come lei, non hanno trovato la cosa del tutto piacevole, se anche loro, come lei, hanno vissuto per anni con il terrore di diventare omosessuali. Da quegli incontri è nato il suo libro, accolto in Francia con clamore e da noi, ora, un po’ meno. Un libro – visti i tempi – politicamente scorretto, ma lucido e vero, molto più della oleografia che sulle coppie omosessuali viene offerta da molti mezzi di comunicazione nostrani ed esteri.

 

L’ultimo, qualche tempo fa, è stato il settimanale del Paìs Semanal, che presentava una galleria di matrimoni omosex coronati da figli – generati in diversi modi o adottati, oppure frutto di unioni precedenti – felici e contenti dei genitori che si ritrovano, dove la parola più ricorrente è 'normalità'. «Mama y mama» è un modello raccomandabile di famiglia, ci spiega il periodico attraverso una serie di fotografie di donne sorridenti accanto a pargoli belli e sorridenti pure loro.

Sarà. C’è poca normalità, a dire il vero, nella parole dei figli intervistati da Claire Breton. Anche Sophie ha due mamme dall’età di 8 anni, e dice che «crescendo, ho avuto spesso mal di pancia, insonnia... Ero in uno stato di tensione permanente. Ho vissuto racchiusa in me, protetta ma sempre bloccata da questo segreto. Per tutta la vita ho cercato risposte. Oggi non ne ho più bisogno. Ho rapporti pieni e soddisfacenti, ma ci ho messo del tempo». Louise, anche lei vissuta nella menzogna tra la mamma e la 'matrigna', da bambina usava le bugie come un’arma. Visionaria e mitomane, ne è uscita con la psicoterapia. E Perrine a 13 anni non ha retto alla notizia che il padre fosse gay. «Ha sconvolto tutti i miei riferimenti. A partire da quel giorno, mio padre e mia madre sono diventati completamente anormali ai miei occhi. Ho cominciato a chiedermi se anch’io lo fossi». Tutta la famiglia ha intrapreso una terapia «e adesso le cose vanno un po’ meglio». Certo, non per tutti è così: alcuni degli interlocutori che Claire Breton cita nel suo libro non hanno subìto sconvolgimenti dall’essere cresciuti in 'famiglie eterodosse', come qualcuno le ha definite, vivendolo come un fatto della vita, niente di più, niente di meno.

Laetitia, invece, ha visto il padre e la 'matrigna' contendersi il posto di secondo genitore: «Berni, la mia matrigna, era un tipo virile. Si comportava da padre con me. Criticava il modo in cui il mio mi cresceva. E mio padre non si lasciava mettere i piedi in testa. Era una situazione insostenibile. Non appena si vedevano iniziavano a litigare». Florence è tra le pochissime ragazze della sua età – 16 anni – a essere stata concepita con inseminazione artificiale. «Mia madre – racconta – non voleva che ci fosse un padre. Pensava che sarebbe stato molto più chiaro per me, che mi sarei abituata facilmente all’idea di non avere un papà. Ma da piccola le facevo spesso domande a riguardo. Lei rimaneva evasiva, ma non per questo mi mentiva». Florence, chiosa Claire Breton, dice di sentirsi ovviamente frustrata per non poter dare un volto all’altra metà di sé: «Le piacerebbe sapere da dove vengono gli altri suoi geni».

E i nonni? Che ruolo hanno per le coppie omosex? A giudicare dal già citato servizio del Paìs Semanal, nessun problema: accolgono il compagno del figlio o la compagna della figlia con molta naturalezza e i loro figli – adottati, 'inseminati' o quant’altro – con affettuosa semplicità. Accade (così almeno scrive El Paìs) nella Spagna zapaterista e almodovariana. Ma non nella Francia di Claire Breton, dove i nonni sembrano essere al corrente, ma preferiscono far finta di niente. L’argomento rimane vago, ambiguo. «Mia madre – confessa una ragazza – non l’ha mai detto alla nonna, ma onestamente credo che lei lo sospetti da tempo». «Non ne ho mai parlato con i nonni, per rispetto – aggiunge un’altra –, e perché la mamma e la nonna hanno un rapporto già abbastanza difficile».

 

Il prezzo del silenzio, in famiglia e fuori, però è alto. Un bambino che sta zitto è un bambino che soffre. Pierre racconta che il suo 'segreto di famiglia' era più protetto di un conto svizzero. «Mi sembrava naturale non dire niente. Non ho mai portato a casa nessuno. Ci vedevamo a tennis, a calcio... insomma, fuori!». La conclusione di Claire Breton, dopo la lunga ricognizione tra un campione dei 100 mila figli – stima l’autrice – che in Francia proverrebbero da famiglie omoparentali, la dice lunga: «Voglio creare la famiglia che mi è mancata. Vorrei che i miei figli non piangessero come facevo io davanti alla pubblicità che mostrava una famiglia sorridente, bella e sana riunita allegramente a colazione. Vorrei che sapessero cos’è una famiglia felice, trasparente, semplice». Si può darle torto?

(fonte: www.impegnoreferendum.it )

 

 

 

Recensione da  lacittadella.splinder.com

 

E’ uscito per Sperling & Kupfer un libro di quelli che lasciano il segno e fanno pensare, il titolo è “Ho due mamme” della giornalista francese Claire Breton. Vale la pena parlarne perché si tratta di una di quelle rivincite che la realtà si prende, per la forza stessa delle cose, sull’astrattezza degli utopisti. Qualche tempo fa il Presidente della Camera, il narcisista e loquace Fausto Bertinotti, alla domanda di un ascoltatore di Radio Anch’io riguardo al “diritto” degli omosessuali di adottare figli, così rispondeva: “Non capisco perché un nucleo di persone, indipendentemente dal loro orientamento sessuale, non possa allevare un bambino altrimenti privato di ogni affetto”. Bertinotti usava una formula retorica dubitativa (non capisco…) ma in realtà lasciava trapelare malfondate certezze anche su questo delicatissimo tema. S’ode a destra uno squillo di tromba e a sinistra risponde uno squillo… Ed ecco che l’onnipresente tuttologo, Prof. Umberto Veronesi, concepisce anche lui, ospite di un noto settimanale consumistico per signore, una nuova profonda riflessione: “È troppo semplicistico ritenere che un bambino, per crescere in modo equilibrato, abbia bisogno della presenza di un padre e di una madre di sesso diverso”. Veronesi vuol rappresentarsi quale laico pensoso, alieno da pregiudizi, ma è solo una maschera, il senso delle sue parole è chiaro, anche se le sue certezze hanno il sapore artificioso e sdolcinato di certe verità “a la carte” che si attingono dall’oleografia di moda sulle coppie omosessuali. A queste star della politica e dei teleschermi, ai “nouvelles maitres a penser”, ai moderni utopisti, dedichiamo e consigliamo di leggere (sono solo 192 pagine) il libro di Claire Breton: politicamente scorretto, duro, commovente e con il sapore delle cose vere e sofferte. Si tratta in parte di un lavoro autobiografico in quanto l’autrice racconta la propria esperienza di bambina e di adolescente cresciuta da due donne lesbiche (la madre abbandonò il padre per una donna quando Claire aveva solo 3 anni), in parte di un’ampia indagine che solleva il velo sul vissuto di migliaia di ragazzi francesi, adottati o inseminati, con alle spalle una storia familiare di tipo omo-parentale. La prima esigenza di Claire (27 anni) è infatti quella di capire, confrontando la propria esperienza con quella di altri come lei, cresciuti in condizioni analoghe alle sue. Non solo auto-analisi quindi, ma la determinazione di incontrare persone come lei, per capire se anche loro potevano aver vissuto le medesime paure e conosciuto la medesima solitudine, per sapere se anche loro avevano avuto bisogno dello psicoterapeuta a causa del terrore di dover diventare omosessuali… E il desiderio di cercare in ciascuna di queste esperienze un dolore (forse nascosto nei silenzi, nelle sedute dagli analisti, nel desiderio represso di una vita normale) che fosse simile al suo.

La presa di coscienza di Claire arriva a 15 anni, quando, a seguito della casuale scoperta di una lettera passionale, capisce la vera natura del rapporto tra la mamma e la “zia”. Si sente ingenua, stupida, sola, ma le si aprono gli occhi sulla realtà della propria situazione di vita e scrive: “Mi vergogno due volte: ho vergogna di vivere nel bel mezzo di questa relazione anormale e di essere stata così stupida, così ingenua”. La sua vita ne è scossa interamente. Il crollo di malferme certezze, il manifesto fallimento di precari equilibri psicologici e relazionali… Scrive:  “Oltre ad essere la figlia di un divorzio, presa tra i fuochi di due genitori pazzi, eccomi cresciuta da una coppia di donne omosessuali. Mia madre è un’omosessuale che per di più mi mente, ogni santo giorno, da sempre.” Perché a Claire, in fondo, avevano raccontato la stessa favola che raccontano ogni giorno anche a noi, è la coetanea Martine che le spiega che non deve sentirsi derubata di qualcosa o triste, perché a Parigi, nell’ambiente benestante e progredito, l’omosessualità dei genitori è come un titolo di merito, una circostanza da esibire: “In certi ambienti parigini, essere cresciuti in una famiglia diversa dalle altre è trendy, è qualcosa in più”. O almeno Claire avrebbe dovuto prenderla con filosofia: l’essere cresciuta in una “famiglia eterodossa”, come si usa dire, sarebbe semplicemente un fatto della vita, come tanti altri, niente di più e niente di meno. Meglio farsene quanto prima una ragione. Le conclusioni dell’autrice sono invece sorprendenti e lapidarie: “Voglio creare la famiglia che mi è mancata. Vorrei che i miei figli non piangessero come facevo io davanti alla pubblicità che mostrava una famiglia sorridente, bella e sana, riunita allegramente a colazione. Vorrei che sapessero cos’è una famiglia felice, trasparente, semplice”. E’ quello che ogni ragazzo vuole in cuor suo desidera. Niente di più e niente di meno.

A quanto è dato di leggere in giro a proposito degli sviluppi di questa storia, la madre di Claire Breton, dopo la pubblicazione del libro, non le avrebbe più parlato, dopo essersi rivista nello specchio di quelle pagine, dopo aver seguito il percorso della figlia fino alle sue estreme ed ovvie conclusioni... Nel più tipico stile “borghese” non le avrebbe più parlato. 

Antonella Mariani, lacittadella.splinder.com

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