Un sondaggio evidenzia come gli adolescenti italiani pensino ancora molto all'amore e ai sogni ma che siano al tempo stesso attenti al futuro, al lavoro e sopratutto all'ESSERE SE STESSI. Ma c'è anche chi pone al primo posto soldi, fama , successo, diventare un MITO. Cosa c'è al nostro primo posto?
del 01 agosto 2008
E tu chi vuoi essere da grande? Sorpresa: il 26,2% (più femmine che maschi) ha risposto «me stesso». Finalmente una buona notizia. Il mondo, forse, non è poi «liquido» come i sociologi ce lo dipingono, né così privo di modelli e strutture di riferimento.
I giovani, che mettono amore e lavoro in testa ai loro obiettivi futuri, hanno imparato a navigare nella tempesta di stimoli e messaggi, l'àncora è spesso ben piantata in famiglia, e persino il telecomando, ogni tanto, finisce, felicemente spento, sul divano.
 
La tribù degli adolescenti, quello sconfinato popolo in jeans, telefonino e brufoli dai 12 ai 19 anni che si evolve insieme alla società, rappresentandone insieme il motore del cambiamento e il testimone privilegiato, sembra avere idee ben chiare.
La globalizzazione e «l’effetto mariadefilippi» hanno abbattuto gli ultimi steccati. Trent’anni fa il mito era lontano e irraggiungibile, oggi il personaggio tv è diventato un modello professionale. Trent’anni fa la differenza di genere tra uomini e donne era molto più marcata, e certe donne non si sarebbero mai azzardate a sognare un futuro da uomini. Trent’anni fa c’era più fiducia nei confronti della politica e delle istituzioni, e più voglia di impegnarsi collettivamente. Oggi il mito sono io.
 
Chi non insegue se stesso, vuole soldi e celebrità. Calciatore (34,2% dei ragazzi) o star del mondo dello spettacolo (31,2% delle ragazze), secondo i risultati dell’indagine di Mtv-Telefono Azzurro-Eurispes. Nessun altro sport come il calcio, in Italia, crea figure altrettanto celebri e vincenti agli occhi degli adolescenti. Se i maschi desiderano somigliare ai campioni del mondo di Berlino 2006, le femmine hanno come modelli sportivi privilegiati le pallavoliste, belle e brave, e più in generale attrici e cantanti a pari merito.
I nomi cambiano con le stagioni, però quasi mai si tratta di divi sopra le righe: la trasgressione è caratteristica necessaria del mito solo per il 13,2%. «Le professioni legate alla popolarità continuano ad esercitare un forte appeal — spiega Alessandro Cavalli, professore di sociologia all’Università di Pavia —, e l’influenza dei reality si sente ancora: gli scenari di vita adulta osservati dai ragazzi alimentano giochi di fantasia che poi, brutalmente, si scontrano con la realtà». Il divo incarna modelli di auto-realizzazione, un tenore di vita in linea con la cultura di massa, in un’epoca in cui le grandi ideologie politiche sono al tramonto (il disinteresse per partiti e istituzioni è quasi totale, resistono solo miti senza tempo, che comunicano passione per gli ideali al di là della loro reale conoscenza: Che Guevara, Gandhi, Dalai Lama, Martin Luther King, Mandela, il Papa, Madre Teresa), il divo fa sognare per coraggio (16,5%), bellezza (9,5%) e onestà (12,8%), ma anche per un valore prezioso come il talento (26,4%), qualità che nella maggior parte dei casi taglia fuori i (poco) famosi della tv. «Le professioni dello sport sono, storicamente, molto ambite: il grande cambiamento è che una volta aspirava a fare il calciatore lo stato basso della classe sociale; gli altri volevano fare l’ingegnere, il medico o, soprattutto nei ceti medi, l’esploratore» dice Cavalli. I mestieri dell’avventura continuano a piacere molto ai giovani: il 9,7% (più donne che uomini) vorrebbe girare il mondo alla ricerca di tesori; l’attrazione per l’esotico è una costante che attraversa ogni generazione. Certe professioni tradizionalmente femminili, casalinga, maestra, segretaria, sono evaporate per strada: le ragazze del 2008 s’immaginano programmatrici di computer, informatiche, imprenditrici di successo se non, addirittura, piloti d’aereo. Comunque tre su dieci mettono il lavoro al primo posto quando si parla degli obiettivi importanti del futuro e battono i maschi (28,9%).
«Viviamo in una società dove c’è minore disuguaglianza tra sessi di un tempo », dice Cavalli. Anche i gradini tra classi si sono livellati. Fino agli anni 70 maschi e femmine avevano ambizioni proporzionate al loro status: «Adesso invece vengono percepiti come accessibili percorsi di vita adulta un tempo ritenuti impossibili ». Regge l’inventore geniale (7,2% dei ragazzi, 3% delle ragazze), sull’onda emotiva dell’11 settembre si barcamena il pompiere (1,6% contro 0,8%), sta svanendo il nobile lavoro del pittore (0,4% e 2,3%), che ha prospettive di guadagno troppo aleatorie per essere preso in considerazione.
 
«In una società sempre più giovane ed esteriorizzata, all’interno della quale s’impongono il culto del corpo e della bellezza, i miti cambiano rapidamente e i giovani hanno spesso un’eccessiva libertà nello scegliere che cosa vogliono fare da grandi: una libertà senza appartenenza. E questo crea confusione». Cristina Pasqualini, ricercatore in sociologia all’Università Cattolica di Milano, insieme a Fabio Introini ha scritto un libro dal titolo significativo: la Compless- età. «La mediatizzazione, i tronisti, le veline hanno trasformato il significato che i giovani attribuiscono ai modelli di riferimento. Ora è tutto più a portata di mano, a cominciare dalle professioni della televisione». Per fortuna, tra i maggiorenni, c’è chi sottolinea l’importanza di un lavoro tradizionale (29,9%) tra gli obiettivi per il futuro («Gli adolescenti, rispetto a vent’anni fa, studiano più a lungo, puntano all’università e considerano l’istruzione importante»), mentre il mito della ricchezza sfuma con gli anni (12,7%, staccatissimo dall’amore: 35,9%) come se la maturità, e il ricollocamento dei miti in una fase di vita adulta, ne ridimensionasse il fascino. I sogni di fama tramontano con gli anni, e arriva la stagione in cui all’idolo dello sport o dello spettacolo, i giovani sostituiscono se stessi. Il mio mito, finalmente, sono io.
Gaia Piccardi
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