I preti eroi di ground zero

La prima vittima riconosciuta della strage delle Twin Towers fu il cappellano dei pompieri di New York. Le storie dei religiosi che 5 anni fa si prodigarono per i colpiti e i familiari

I preti eroi di ground zero

da Teologo Borèl

del 11 settembre 2006

Ambulanze trasformate in confessionali, dove molte persone ebbero modo di riconciliarsi con Dio; uomini e donne che, di fronte al più grave gesto terroristico che la storia ricordi, ritrovarono la fede in Dio, mentre altri crollarono sotto il peso dell'incredulità causata dalla violenza cieca. Le ceneri ancora fumanti delle macerie da cui «saliva una nuova vita», mentre a pochi metri, su un altare improvvisato, si celebrava l'eucaristia. L'assistenza spirituale data a giovani mamme senza più mariti e a bimbi diventati improvvisamente orfani, non come operatori di «counseling da trauma» ma come «strumenti di Dio». Il tutto con una convinzione assoluta: lì, proprio in quel luogo tremendo, «un nuovo Calvario», Cristo «risplendeva nelle tenebre».

A cinque anni di distanza dall'attentato contro le Twin Towers, diciassette sacerdoti che vissero da vicino il dramma di quei giorni hanno messo per iscritto i ricordi e le emozioni di quei terribili momenti. Ne è venuto fuori 11 September 2001. We were there … («Noi c'eravamo»), un intenso, a volte straziante volumetto curato dalla Conferenza episcopale statunitense. Quasi il riconoscimento a posteriori del valore 'religioso' di una vicenda che - come ha avuto il coraggio di ammettere il gesuita James Martin, vicedirettore della rivista America - «è stata la più profonda esperienza della presenza della grazia che io abbia mai vissuto». Anzi: lo stesso religioso rievoca quanto disse ad un amico dopo essere stato nei pressi delle due Torri, subito dopo la loro distruzione: «Se qualcuno dubita della presenza del male nel mondo, portalo a Ground Zero. E se c'è chi pensa che non esista la Grazia, conducilo ancora lì».

La raccolta di queste brevi testimonianze è anche un omaggio alla prima salma riconosciuta ufficialmente come defunta nel crollo del World Trade Center: padre Mychael Judge, cappellano dei pompieri di New York, tra i primi a recarsi sul luogo del disastro per assistere spiritualmente feriti e soccorritori. «Porta mmo il suo corpo in una chiesa, lo mettemmo sull'altare: trovai una stola e gliela posi sul petto», racconta father Kevin M. Smith, pure lui cappellano dei vigili del fuoco della contea di Nassau, NYC, parlando di padre Judge. «Poco dopo ci fu ordinato di evacuare la zona: un medico si affrettò a constatare il suo decesso e mi diede il suo certificato di morte: sopra c'era scritto 'primo morto'. Un sacerdote cattolico, assistente dei firefighters, venne quindi classificato come la prima vittima dell'11 settembre: tempo dopo, il suo copricapo da pompiere fu consegnato a Giovanni Paolo II.

Intensa e provvidenziale fu l'opera di assistenza e di aiuto che numerosi religiosi offrirono alle vittime, ai feriti, ai familiari, a chi portava il suo aiuto volontario a Ground Zero: «La sola presenza del prete fu per molti una benedizione», riconosce monsignor Marc A. Filacchione, anch'egli guida spirituale dei vigili del fuoco della Grande Mela. A lui toccò il compito di recarsi al St. Vincent's Medical Center di Manhattan per assistere e accogliere i tanti feriti che sopraggiungevano dal luogo dell'attentato: qui era arrivato subito il cardinal Egan a portare la sua parola di conforto e di sostegno.

Già, perché di fronte all'assurdo di un attacco di inaudita malvagità, che lasciò terrorizzato e sgomento l'intero pianeta, il sacerdote (spesso subito visibile per il suo abito religioso tra la folla di medici, feriti, volontari) diventava per tantissimi presenti la valvola di sfogo, l'ancora cui aggrapparsi di fronte al dramma cui si stava partecipando. Mentre era sulla Fifth Avenue e vedeva sciamare, indaffarati, soccorritori e agenti, don John Kozar si vide quasi assalito da uno di loro: «Padre, ci dica qualcosa, ci dica che senso ha tutto questo», fu l'urlo di un poliziotto al direttore delle Pontificie opere degli Usa. Di lì a poco, per strada, due ragazzi chiesero al sacerdote di Pittsburgh se poteva confessarli.

Non meno dure furono le giornate successive all'11 sett embre, quando numerosi presbiteri furono vicini alle famiglie dei dispersi, di coloro i cui corpi non vennero mai trovati. Padre Emile Frische, ad esempio, si affiancò alle famiglie dei circa 700 impiegati dell'azienda Cantor Fitzgerald che erano in una delle due grattacieli al momento dello schianto: «Su indicazione dell'arcivescovo mi recai nell'hotel dove si trovavano le famiglie: uno dei presenti mi chiese se volevo guidare un momento di preghiera. Recitammo il salmo 23 e pregammo per la pace: capii che Dio era lì con noi». Ancora: altri preti assistettero a prove tremende e strazianti, come il reverendo Joseph McCaffrey, al quale fu chiesto di essere vicino ai familiari dei viaggiatori del volo United 93 (quello che precipitò in Pennsylvania, in realtà diretto contro la Casa Bianca). Padre Joseph si unì ai parenti delle vittime per ascoltare le ultime telefonate di quegli sfortunati innocenti condannati a morte: da quell'esperienza e dai legami di amicizia che ne nacquero - racconta don McCaffrey - «mi resi conto della potenza di Dio, che mostra la sua magnificenza essendo capace di ricavare un bene immenso da un male orribile».

Leggendo i racconti dei sacerdoti dell'11 settembre emerge, eclatante e limpido, un fatto: in quei giorni di dolore assurdo, da parte dei familiari delle vittime non ci furono grida di vendetta né la spasmodica ricerca di colpevoli di un così grave atto di malvagità. Anzi: «In quei giorni ciò che più mi colpì» è l'osservazione di padre James P. Nieckarz, della parrocchia della Trasfigurazione a Manhattan «fu l'intensità con cui medici, poliziotti e vigili del fuoco prestarono il loro servizio. Inoltre, moltissimi cittadini comuni dimostrarono una gentilezza e una generosità straordinaria. New York, la città che era conosciuta per essere frenetica e un po' scostante, divenne la città della compassione».

Lorenzo Fazzini

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