Come tante città di questo mondo, anche il capoluogo piemontese ha cresciuto dentro di sé altre città meno note che la completano, integrando così gli aspetti tipici, ma unilaterali, per cui ogni città si distingue da altre. In questo caso parliamo della Torino nata intorno alla Dora, alternativa a quella cresciuta lungo il suo fiume maggiore, il Po...
del 28 dicembre 2008
Come tante città di questo mondo, anche il capoluogo piemontese ha cresciuto dentro di sé altre città meno note che la completano, integrando così gli aspetti tipici, ma unilaterali, per cui ogni città si distingue da altre. In questo caso parliamo della Torino nata intorno alla Dora, alternativa a quella cresciuta lungo il suo fiume maggiore, il Po, diversa dalla città barocca e da quella ducale, principesca e poi reale, dei Savoia. Ci riferiamo alla città 'minore', quella di appoggio alla metropoli industriale e all'ombra dei quartieri impegnati nelle Olimpiadi invernali del 2006.
Impercettibilmente inclinata verso il corso d'acqua che la lambisce, è questa la città dei santi piemontesi, dei santi sociali, del Santuario della Consolata, dei Salesiani, della Chiesa di Maria Ausiliatrice, dell'Opera Pia Giulia di Barolo e del Cottolengo. Prevalentemente ottocentesca, è una seconda città cresciuta intorno all'offerta di accoglienza, di ricovero e di provvidenza operosa. Abitata a suo tempo anche da minuscoli cimiteri, da vecchi mulini insediatisi qui per sfruttare l'energia presa dal fiume, da piccole manifatture, è un insieme architettonicamente austero, non vistoso e che dà un'idea di concentrazione su se stessi e di impiego severo e ispirato del tempo.
Non le manca per altro quel tanto di 'orientale' proprio degli spazi dei grandi mercati, e che una umanità appiedata e brulicante, presa da piccoli scambi, sa trasmettere attraverso la molteplicità dei dialetti o delle lingue d'oltre confine che oggi in prevalenza capita di ascoltare nei quartieri popolari. Ma il profilo di questo borgo sussidiario alla città degli eserciti sarebbe incompleto senza un accenno a un edificio un tempo dedito alla fabbricazione e al deposito delle armi:  trattasi dell'Arsenale militare, diventato da alcuni decenni 'Arsenale della pace' grazie a una di quelle trasformazioni, meglio dire di rovesciamenti, che risalgono alla tradizione avviata dall'irruzione nella storia dello spirito evangelico. Mi riferisco ai ribaltamenti descritti nelle beatitudini grazie alle quali (Matteo, 5, 3-12) con logica rivoluzionaria si dice tra le altre cose che coloro che piangono saranno consolati, che i miti erediteranno la terra e che gli operatori di pace saranno chiamati figli di Dio.
Il riferimento agli 'operatori di pace' del Sermig (Servizio missionario giovani), meglio conosciuto come 'Arsenale della pace', è d'obbligo nel nostro caso, considerato che questa istituzione ha raggiunto il traguardo dei venticinque anni di attività. Non è questa la sede per elencare le tappe e i risultati ottenuti in termini di accoglienza, formazione, visite mediche, creazione di lavoro, missioni di pace, sostegni distribuiti.
Fondato il 24 maggio del 1963 e trasferito il 2 agosto 1983 nell'ex-edificio militare, oggi completamente trasformato, è fuor di dubbio che l''Arsenale' debba la sua vita e il suo sviluppo all'azione ininterrotta del suo fondatore Ernesto Olivero. Ma questo non deve far dimenticare il ruolo giocato dalla parola nel raggiungimento del traguardo del venticinquennio. Ruolo che nel caso specifico è riscontrabile nella pubblicazione de 'La regola del Sermig' stesso, testo la cui lettura viene raccomandata per una riflessione sulla potenza della parola a sostegno di questa come di altre istituzioni definibili come 'immateriali' pur nella loro indiscutibile fisicità.
Se istituzioni, come quella di cui ci occupiamo oggi possono essere osservate alla stregua di corpi da leggere, di mappe da consultare, di edifici da perlustrare, di enciclopedie da consultare, questo è dovuto in buona parte alla forza delle parole intorno alle quali dette istituzioni sono nate e dalle quali sono, e sono state, tenute insieme invisibilmente.
Un'analisi testuale in cui le regole sono scritte riporta alla considerazione secondo la quale le parole non sono soltanto quelle 'cose' che ispirano i fatti, guidano le azioni, vengono pronunciate per essere messe in pratica, ma anche ciò che supera i fatti medesimi e, per questo, ciò che alla fine resterà come disse Gesù in Matteo, 24, 35:  'I cieli e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno'.
Dunque, non solo le parole guidano, ispirano, avviano, motivano, riassumono e in casi speciali non passano, ma è a esse che è affidato il compito di rovesciare i fatti stessi, così come è indicato nelle beatitudini. I problemi che si trasformano in opportunità per il bene; gli imprevisti vissuti come una grande ricchezza; il disinteresse convertito nell'affare più redditizio; la resa assunta come unico criterio di ricchezza; il disarmato che diventa disarmante; l'indifeso trasformato in difensore:  sono, questi elencati, alcuni degli esempi in cui i fatti subiscono quella forma di ribaltamento avviata dalla teologia evangelica da cui sono reinterpretati.
Gesù che, da processato, processa l'ordine arcaico del suo tempo; il castigo dell'uomo dei dolori che diventa salvezza e guarigione; l'impotenza della non violenza che prevale sulla potenza della malvagità; la relazione col nemico ristabilita dando se stessi; il divieto del Levitico di fare al prossimo ciò che non vorresti fosse fatto a te mutato nell'invito cristiano di fare al prossimo quanto vorresti fosse fatto a te; la morte resa inoperante dal ritorno alla vita del mondo ricreato dalla Risurrezione; la vita ritrovata da chi la perde a causa del bene; la catena delle violenze dell'uomo contro l'uomo interrotta rispondendo al male con il bene:  sono queste alcune delle verità della teologia dei ribaltamenti evangelici che ispirano i testi, come quello citato della regola dell'Arsenale della pace, posti a reggere le istituzioni dedicate alla forza del dare.
La prospettiva che si apre a seguito della lettura di questi testi è quella della mutazione antropologica che si muove senza interruzione da due millenni tra le pareti del reale della storia e del reale del possibile, quest'ultimo rappresentato da quella 'storia parallela', come ebbe definirla Norberto Bobbio al termine della visita al Sermig, riferendosi a quanto emerge dalle pietre di guerra dell'edificio redento diventate pietre di pace. Che è anche storia di piccoli episodi umoristici. Quando il cardinale Pellegrino assegnò al Sermig la sede della Chiesa torinese dell'Arcivescovado, non si fece caso che si trovava in via dell'Arsenale, nome questo dovuto alla Scuola di applicazione di Artiglieria, il grande edificio presso il quale la via scorreva e scorre ancora. Una vicinanza e un'anticipazione di un futuro di pace che la prima segretaria del Sermig, Lidia Falletti, non ha mancato di sottolineare chiedendosi se non si trattava di un tocco dell'umorismo di Dio.
 
Oddone Camerana
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