Il “Bosco” Amazzonico da Giovani per i Giovani

Emma e Francesco, una famiglia missionaria in Amazzonia. Cinque anni trascorsi aiutando i ragazzi della strada, crescendoli come figli propri. Una testimonianza diretta della bellezza, ma anche della difficoltà del donarsi completamente ai giovani, sull'esempio di Qualcuno...

Il “Bosco” Amazzonico da Giovani per i Giovani

da GxG Magazine

del 11 novembre 2008

Non proprio come a casa…

Sono trascorsi ormai diversi anni dalla nostra partenza per il Brasile nell’ottobre del 2003 e solo pochi mesi dal nostro rientro qui in Italia. Non è facile scrivere quello che sono stati per noi tutti questi anni di esperienza missionaria, per ognuno di noi singolarmente e per la famiglia come gruppo anche perché siamo partiti in quattro e siamo rientrati in cinque dopo la nascita della piccola Josivanda Maria alla quale abbiamo voluto dare un nome della sua terra amazonense.

Sono trascorsi diversi anni, ma sembra ieri se ripensiamo a quando siamo arrivati a Manicorè per la prima volta dopo un viaggio di tre giorni sulla barca, passando per il Rio delle Amazzoni (Rio Amazonas) e il Rio Madeira. Un viaggio indimenticabile che ci ha sbattuto in faccia la realtà dell’Amazzonia: le grandi distanze geografiche fra una città e l’altra (Manaus e Manicorè distano tra loro solo trecento chilometri in linea d’aria, ma con la barca ci vogliono come minimo due giorni e mezzo di viaggio), l’isolamento completo rispetto al mondo, ma una lontananza immersa nella fantastica natura della foresta amazzonica con i diversi verdi degli alberi, i colori dei fiori e delle variopinte farfalle e i rumori degli animali che spaventano soprattutto la notte quando la barca continua il suo viaggio alla sola luce delle stelle e la foresta sembra una grande ombra nera. Poi la gente con cui condividi il viaggio, molto semplice, spontanea, così aperta e senza preoccupazioni (apparentemente), fin troppo paziente e tollerante se si pensa che la barca in tre giorni si è rotta tre volte e siamo arrivati a destinazione con 12 ore di ritardo, a notte fonda e nessuno dei viaggiatori era scomposto o preoccupato per questo.

 

Plurigenitori!!

Abbiamo vissuto donandoci completamente ai ragazzi e ai giovani del centro giovanile salesiano di Manicorè, siamo diventati mamma e papà non solo di Gabriele, Chiara e Josivanda, ma di tantissimi altri bambini che ogni giorno accompagnavamo nelle attività del centro, ascoltavamo quando volevano sfogarsi, con cui parlavamo quando avevano bisogno di alcuni consigli. Ridere, scherzare e giocare assieme, come una grande famiglia.

In quattro anni  abbiamo visti crescere questi ragazzi, qualcuno lo abbiamo perso per strada, ma molti sono diventati dei bravi giovani che stanno lottando giorno dopo giorno per costruirsi un futuro degno di essere vissuto.

Da Salesiani Cooperatori quali siamo, abbiamo vissuto quello che don Bosco ci ha insegnato: educare i giovani per farli diventare protagonisti della propria vita, per renderli liberi e capaci di pensare con la propria testa. Questo a volte è difficile perché i giovani sono abituati a non credere in loro stessi, perché nessuno li considera e servono solo a fare confusione. È stata la forza dell’accompagnamento quotidiano, della presenza costante e del nostro amore a far capire loro che possono farcela e migliorare la propria condizione, con lo sforzo, la costanza e l’impegno, il tutto condito con la santa allegria salesiana. È, dunque, l’aver compreso che al centro salesiano potevano avere una seconda casa (che per molti era addirittura la prima) che li ha convinti ad ascoltarci e a seguire il cammino di Gesù e don Bosco.

Purtroppo non sempre tutto segue un percorso facile, sono varie le difficoltà che i ragazzi incontrano perché in casa, molto spesso, hanno una realtà opposta a quella che noi proponiamo: si scontrano due realtà, due modi di educare e due modi di dare amore. A volte ci sono falsi amici che cercano di portarli fuori dal centro giovanile, i ragazzi ricadono nella strada, ma poi tornano tristi e delusi e cercano rifugio, e trovano non solo la porta aperta, ma anche due calde braccia pronte a dare conforto.

 

Ma perché?

Anche per noi non è sempre stato facile perché inserirsi in una nuova cultura, confrontarsi con persone differenti e adattarsi ad un clima e ad contesto tanto diverso dal nostro ti mette con le spalle al muro: devi imparare l’umiltà, armarti di pazienza, abituarti a mettere da parte le tue idee e convinzioni se in quel momento fanno più danno che bene. Andare a dormire stanchi morti per aver vissuto giornate tanto intense e piene di impegni, ma con la voglia ogni mattina di ricominciare e mettersi in gioco per amore dei giovani che abbiamo incontrato.

Chi ce lo ha fatto fare avendo anche due figli piccoli (quando siamo partiti Gabriele aveva quattro anni e Chiara tre) a cui pensare? La certezza che questo era il progetto di Dio per noi, la consapevolezza che noi eravamo stati tanto fortunati nelle nostre vite e che dovevamo condividere con altri l’amore che era alla base della nostra famiglia. Partire con i nostri figli, anche se può essere stato più difficile perché avevamo queste due creature a cui pensare, ci ha senza dubbio aiutato in mezzo ai giovani di Manicorè. Loro vedevano che tipo di mamma e papà eravamo e hanno compreso che potevano fidarsi di noi e pian piano aprire il proprio cuore. È con questo tramite che siamo riusciti a farci voler bene perché hanno capito che eravamo lì solo per loro.

 

Quello che resta…

Sono tante le cose che abbiamo fatto insieme ai ragazzi in questi quattro anni: corsi professionali, campionati, feste, giochi, studio e compiti. Quello che resta, oltre ai ricordi, è un cuore pieno di felicità per aver partecipato alle loro vite e condiviso con loro tanti momenti.

Certo, adesso c’è la sensazione di un vuoto nel nostro cuore perché l’esperienza è finita ma, come abbiamo detto, è solo una sensazione perché l’amore condiviso non potrà mai lasciare un vuoto, ma solo una ricchezza in più che anche noi saremo in grado di riscoprire al più presto.

 

Emma, Francesco, Gabriele, Chiara e Josivanda

 

Arianna Vanin

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