Sentiamo profondamente vere queste parole: Dante chiamato alla vita religiosa salesiana («Io ho bisogno di aiutanti. - diceva don Bosco- Vi sono cose che i preti e i chierici non possono fare e le farete voi, coadiutori» MB XVI pg 313), ha risposto un sì fedele e generoso per tutta la vita, ora riceve l'eredità eterna” (dall'Omelia).
del 08 gennaio 2007
La morte del carissimo Dante Dossi è per tutti noi motivo di dolore, di preghiera e di riflessione.
 
1. Motivo di dolore, di grande dolore, anzi tutto. É il dolore di quanti hanno stimato, aiutato e amato Dante. E sono davvero tanti, perché lui - in un modo tutto suo, con un fervore semplice, immediato e disarmante e, ancor più, con una fede genuina - ha finito per diventare prossimo ai giovani in carcere e ai bisognosi, in nome di Dio, di don Bosco e dell’umanità
E’ il dolore soprattutto di quanti - e sono una folla grande grande! - sono stati stimati, aiutati e amati da Dante ad uno ad uno, raggiunti ciascuno personalmente È, questo, il dolore di coloro che, ricevendo attenzione e stima nella loro povertà ed emarginazione, si sono sentiti “riscattati”, affermati nella loro “dignità”, esaltati nella loro “nobiltà” umana, riconosciuti nei loro “diritti” sacrosanti. Loro stessi lo possono dire, perché le diverse forme di sofferenza che hanno sconvolto le loro esistenze rendono più lucido e penetrante il loro giudizio: dalla carità pastorale di quest’uomo - Padre Maestro Amico dei giovani carcerati - hanno ricevuto il bene più prezioso e raro, il recupero cioè della loro dignità e, per questa via, l’accendersi di una rinnovata fiducia nella vita. E tutto questo prendere a cuore la causa dei carcerati, soprattutto giovani, è iniziato fin da quando è diventato salesiano (1948). Nel 1955 entrò nel gruppo dei salesiani che, su insistenza dell’allora arcivescovo di Milano Monsignor Montini (divenuto poi papa Paolo VI), presero in carico il riformatorio di Arese (MI), ora denominato Centro salesiano san Domenico Savio. Vi operò per 12 anni, venendo a contatto con ogni genere di carenza affettiva, educativa, socio-economica e morale tra quei giovani, passati dalla malavita al tribunale dei minori e al riformatorio. Trasferitosi a Nave (BS) nel 1967, rimase in contatto con molti di quei giovani, soprattutto con quelli finiti in carcere. E dalla considerazione della loro situazione nacque in lui prepotente la chiamata a visitarli, ascoltarli e poi a seguirli quando uscivano di carcere e ad aiutarli nel reinserimento nella vita sociale.
Penso anche al dolore della nostra Ispettoria Lombarda e, più significativamente, al dolore della Comunità Salesiana di Nave verso la quale ha avuto un cuore grande per ogni Confratello.
Un amore grande per la casa, un grande senso di appartenenza alla vita della casa che veniva espresso nella cura di tanti aspetti della vita comune e nel servizio generoso anche nelle cose pi√π umili e semplici.
Attraverso l’amore e la dedizione per la salute dei confratelli con una grande vicinanza umana e spirituale, con tempestiva e premurosa sollecitudine, oltre ad una notevole competenza acquisita in una lunga esperienza di vita. Riferisce un giovane confratello: ”Quando ci portava nei vari Ospedali per le visite mediche, non mancava mai di entrare nella Cappella dell’Ospedale per ‘fare visita’ a Gesù ’.
Nel seguire con sacrificio tutte le pratiche legate al permesso di soggiorno dei giovani confratelli non italiani, attendendo in coda pazientemente il suo turno. E Dante diceva: “Io non perdo tempo, prego”.
E nel grande amore per la chiesa, la casa del Signore verso la quale ha sempre manifestato attenzione, cura e costante dedizione
Penso, non di meno, al dolore di tutti gli amici, benefattori e autorità conosciuti nelle varie nostre città: Dante era diventato una specie di «istituzione della carità verso i giovani carcerati». Ne ha fatta di strada, tra carceri, giudici, avvocati e tribunali, dal Nord al Sud d’Italia! Un impegno non sempre gratificante nei risultati, a volte accompagnato da fallimenti e incomprensioni. Tuttavia, sostenuto da fede, speranza, preghiera e da un amore ardente per questi giovani in difficoltà, Dante ha sempre tenuto duro. Sono arrivati anche tanti riconoscimenti da Autorità civili e dal Ministero di Grazia e Giustizia, ultimo nel 2005 gli è stato conferito dal Sindaco di Brescia il “Premio Bulloni” per benemerenza di solidarietà sociale in campo cittadino
 
2. La morte di Dante, soprattutto ora in questa celebrazione liturgica, diventa per tutti noi motivo di preghiera. Il nostro dolore non lo vogliamo trattenere dentro di noi. Lo vogliamo trasferire, in un certo senso, nel cuore stesso di Dio. Lo vogliamo rendere preghiera.
Sì, tutti - come ciascuno è capace, con semplicità e fiducia - preghiamo per Dante.
Il Signore che l’ha purificato in continuità - attraverso le tante prove e sofferenze della vita che possono aver consumato il suo fisico, ma non la sua volontà e passione di vivere e di vivere per gli altri, lo accolga ora, misericordioso e benigno, nella pace imperturbabile e nella gioia piena di quel Regno ch’egli riserva ai suoi servi buoni e fedeli.
Sì, noi vogliamo pregare per Dante. Ma sentiamo che è soprattutto lui che ora può e vuole pregare per tutti noi, per i suoi confratelli, per tutti i sofferenti che ha incontrato, per tutti i sofferenti, soprattutto giovani, che continuano ad abitare le nostre città
 
Lui che è stato uomo di fede e di preghiera
§ attraverso l’amore a Gesù Eucaristia: ogni sua giornata era aperta, vissuta e chiusa nel segno dell’amore per Gesù Eucaristia con la testimonianza di una partecipazione viva e sentita alla Messa, all’adorazione eucaristica e la fedeltà nelle visite quotidiane;
§ attraverso una devozione filiale e forte alla Vergine Maria Ausiliatrice e Immacolata, espressa nelle diverse e molteplici forme della pietà popolare;
§ nell’amore al papa e al magistero della chiesa espresso in un’adesione ai loro insegnamenti e nella difesa e nella diffusione della dottrina cattolica;
§ nel partecipare alla croce di Gesù: questo mistero della sofferenza fatto di momenti di prova, di malattia, di croce, di incomprensione, di debolezza umana hanno segnato la sua vita: una partecipazione alla croce di Gesù, attraverso il cuore di Maria che solo Dio sa riconoscere in pienezza e far fruttificare secondo i suoi disegni nella logica salesiana del Da mihi animas cetera tolle…
 
Lui che è nell’intimità gioiosa di Dio preghi, allora, perché il Signore faccia sentire a tutti i giovani emarginati e sofferenti della vita e a tutti quelli che hanno perso la speranza, che lui, Dante, non li ha affatto abbandonati e che noi e con tanti altri - con il nostro impegno di cura e di affetto - continueremo a rivelare il volto di un Dio amico dell’uomo, di un Padre che non dimentica nessuno dei suoi figli.
La nostra preghiera diventa anche, per tutti noi, una straordinaria professione di fede nel significato, misterioso sì ma consolante, che per i credenti in Cristo ha la morte. Essa, in realtà, non spezza i legami, non cancella la comunicazione, non spegne il dialogo dei pensieri e degli affetti tra quanti si trovano sulle due diverse sponde dell’unico grande fiume della vita!
 
3. La morte di Dante è motivo di riflessione, di riflessione seria e responsabile che ci viene a piene mani, dalla Parola di Dio, luce e forza della sua vita, nei suoi gesti grandi e piccoli, noti e sconosciuti. È l’eredità attinta soprattutto dal Vangelo, da quel Vangelo vivente e personale che è Gesù Cristo stesso, Gesù crocifisso che dona tutto se stesso per amore. Quella croce che lui, con semplicità e fierezza ha sempre voluto mostrare a tutti! Non è forse il segno più eloquente e forte che è lì, soltanto lì, nel Corpo dato e nel Sangue sparso del Signore sulla croce, la sorgente e la forza per una vita di dedizione instancabile e disinteressata quale è stata la vita di Dante?
Abbiamo ascoltato le parole dell’evangelista Giovanni: «Da questo abbiamo conosciuto l’amore: il Figlio di Dio ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli»
E ancora: «Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità» (1 Giovanni 3, 16,18). Soprattutto ci ha raggiunto la parola autorevolissima, affascinante e tremenda ad un tempo, di Gesù: «Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito?» (Matteo 25, 44)
Mi pare che la testimonianza di Dante sia inconfutabile: lui ha creduto a queste parole, e le ha rese “carne della propria carne e sangue del proprio sangue”. «In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me». Non li ha solo “accolti”. Li ha anche “cercati”, cercati per amore e per fede, come immagini vive e palpitanti del Figlio di Dio fattosi uomo e resosi misteriosamente presente in ogni povero e sofferente, in quanti hanno fame e sete, sono forestieri e nudi, malati e carcerati (cfr. Matteo 25, 35ss).
Ci congediamo da te, caro Dante, con nel cuore una consolazione che ci viene dalla Parola del Signore: «Essendo ormai intervenuta la morte di Gesù in redenzione delle colpe commesse sotto la prima alleanza - scrive l’autore della lettera agli Ebrei - coloro che sono stati chiamati ricevano l’eredità eterna». (Eb 9.15)
Sentiamo profondamente vere queste parole: Dante chiamato alla vita religiosa salesiana («Io ho bisogno di aiutanti. - diceva don Bosco- Vi sono cose che i preti e i chierici non possono fare e le farete voi, coadiutori» MB XVI pg 313), ha risposto un sì  fedele e generoso per tutta la  vita, ora riceve l’eredità eterna”.
Don Bosco diceva ai suoi salesiani: “La Chiesa ci fa conoscere la potenza e la benignità di Maria con quell'inno che incomincia: Si caeli quaeris ianuas, Mariae nomen invoca. Se cerchi le porte del cielo, invoca il nome di Maria. E noi ricorriamo a lei, specialmente perché ci aiuti nel punto della morte” (MB 13,409).
Maria è stata per Dante “modello di preghiera e di servizio” e lo ha educato alla pienezza della donazione al Signore e al servizio dei fratelli.
É Lei che lo accoglie in Paradiso insieme alle persone care che lo hanno amato.
 
don Franco Fontana
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