Ci sembra che non ci si renda conto fino in fondo della gioia che Dio ci vuole gratuitamente donare... Forse perché riteniamo questa gioia come dovuta o frutto di qualche nostro sforzo?!
del 01 novembre 2003
«…Perché la vostra gioia sia piena» è lo “slogan evangelico” che sta accompagnando questo nostro anno formativo: alcuni articoli di questo giornalino ci aiuteranno a sviscerare queste parole e a calarle nel nostro carisma salesiano.
 
Ci sembra che non ci si renda conto fino in fondo della gioia che Dio ci vuole gratuitamente donare... Forse perché riteniamo questa gioia come dovuta o frutto di qualche nostro sforzo?! Forse ha ragione Kierkegaard in un frammento del suo Diario:
“Capisco sempre più che il Cristianesimo è in fondo di troppa felicità per noi uomini. Si pensi soltanto a quel che significa l’osar credere che Dio è venuto al mondo anche per me: sembra l’empietà più blasfema. Se non fosse stato Dio stesso a dirlo, se fosse stato un uomo ad inventarlo per mostrare l’importanza che ha un uomo agli occhi di Dio, sarebbe stata la più orrenda di tutte le bestemmie.
Non è neppure stata inventata per mostrare l’im-portanza che ha un uomo per Dio, ma per mostrare quale infinito amore è l’amore di Dio. Perché certo è una degnazione infinita che Egli si prenda cura di un passero [Mt 6,26]; ma l’esser Egli nato e aver voluto morire per i peccatori (e un peccatore è ancor meno di un passero)…!”
Noi uomini, abili calcolatori e matematici, abbiamo a che fare con una cifra che non è né definita né definibile entro i nostri schemi e ragionamenti a tal punto che non ci rendiamo conto che la nostra fede è di “troppa felicità” per noi uomini. La capacità di stupore e di meraviglia dinanzi allo scorrere di ogni attimo della nostra vita ci possono aiutare a cogliere quella che sembra “l’empietà più blasfema”: un Dio che si fa uomo per amore un Dio che non sa calcolare, un Dio che rischia.
Dio, per primo, ha vissuto quanto Madre Teresa diceva a coloro che si recavano da lei animati da buone intenzioni: “Dona fino a provarne dolore”.
Camminare nella santità significa lasciarci quotidianamente afferrare e destrutturare da questa “troppa felicità” che trapassa la storia, significa lasciarci stupire da un Dio che ama facendosi uomo “fino a provare dolore”, significa scoprirsi incapaci di accogliere e contenere tale “empietà”.
É forse… troppa felicità?
 
                                                                              La Redazione 
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