'Ma prof., se Dio non ci fosse, io sarei veramente in classe?'.Che la ragione possa perseguire la verità, che la libertà possa essere posta in relazione alla verità: questo avvicina le generazioni, restituisce fascino al compito educativo e conferisce ai soggetti la dignità e lo spessore che la modernità, il materialismo e lo scetticismo dominante, hanno sottratto.
del 03 maggio 2008
Molti, sia genitori che insegnanti, pensano ancora che il compito della scuola si esaurisca nell’istruzione mentre l’educazione, intesa come formazione della persona nella sua integralità e completezza, spetterebbe all’ambito familiare o ad altre agenzie qualificate. Una simile posizione non considera il crescente gap tra offerta e domanda d’istruzione, in un momento in cui la consapevolezza del valore della conoscenza, assai frammentata, è debole. Sono sempre meno i ragazzi che hanno vero desiderio di imparare, la maggior parte subisce la scuola e si annoia sui banchi. Pensare che il compito dell’insegnante si esaurisca nell’istruzione, significa dichiarare il fallimento di una delle professioni più nobili.
Parlare di educazione implica, invece, riconoscere sia il bisogno di affermare una verità ultima su di sé e sulla storia, sia il valore della persona come libertà che aspira alla soddisfazione delle esigenze originarie del proprio cuore. Non può esserci educazione senza che i due soggetti, maestro e allievo, si riconoscano in un percorso comune di tensione alla verità in cui la libertà di ciascuno sia attivata. Nella scuola italiana oggi sembra dominare lo “sgomento per il significato”: non c’è nulla che resti più estraneo di questo bisogno inestirpabile dell’uomo estromesso dall’approccio didattico da tanta pedagogia e sociologia dell’educazione. Docente e alunno si trovano su piani inavvicinabili, condannati dallo scarto generazionale. Ma che serve sapere se non si arriva al senso, al tesoro racchiuso nella conoscenza? Manca l’apertura della ragione tesa al riconoscimento del fattore ultimo presente nella realtà. “Ma prof., se Dio non ci fosse, io sarei veramente in classe?” si è sentito domandare un amico insegnante.
Non credo che quel ragazzo conoscesse Dostoevskij, ma la stessa cosa lo scrittore russo la fa dire a un suo personaggio: “Se Dio non esiste, io sono ancora capitano?”. È il cuore dell’uomo che si esprime in questa domanda, un cuore che non può essere tradito nella sua esigenza di un significato totale che lo abbracci come amore, che assicuri consistenza alle azioni, ai desideri. La categoria ultima della ragione, la categoria della possibilità, deve ritrovare posto tra i banchi. A chi vive la passione per la verità e ha scoperto che “nel mistero del Verbo fatto carne diventa chiaro il mistero dell’uomo”, spetta un compito, quello che Benedetto XVI in America ha chiamato “carità intellettuale”. Come ha spiegato il Papa, vivere verso i giovani un atto d’amore quale è la responsabilità di condurli alla verità.
Che la ragione possa perseguire la verità, che la libertà possa essere posta in relazione alla verità: questo avvicina le generazioni, restituisce fascino al compito educativo e conferisce ai soggetti la dignità e lo spessore che la modernità, il materialismo e lo scetticismo dominante, hanno sottratto.
Elena Pagetti
Versione app: 3.26.4 (097816f)