Timore non è paura, ma rispetto, umiltà, riconoscimento grato della nostra condizione di creature. Nasce nel cuore di chi dice a Dio: dipendo da te e sono anche contento di dipendere da te, non voglio dipendere da me e neppure dipendere dagli altri, farli diventare degli idoli. Il mirabile esempio di Maria.
del 23 agosto 2007
Il rapporto con Dio è la condizione fondamentale per rapportarci con tutto il resto: se fosse difettoso, tutto rimane difettoso. Viviamo in una società nella quale il rapporto con Dio oscilla tra due estremi, ateismo disperato e amore appassionato. Cito due esempi.
 
Un esponente del rapporto negato, fallito – e quindi disperato – con Dio fu Hemingway, il grande romanziere americano che, sebbene fosse di matrice religiosa, scivolò in un ateismo senza speranza. Quando si accorse che era ammalato non resistette. Si uccise col suo stesso fucile da caccia che gli aveva dato delle emozioni magnifiche. In uno dei suoi romanzi fa dire a un personaggio quello che lui stesso pensa, che è una parodia blasfema del Padre nostro: O nada – “nada” in spagnolo è “nulla” – nostro che sei nel nada, sia nada il tuo nome, nada il tuo regno”. Siamo di fronte ad un enorme grido al nulla. Nulla di nulla di nulla dice il personaggio, e poi ancora c’è nulla di nulla e nulla di nulla. Non è una frase, è una vita. L’esito suicida conferma appunto che Hemingway visse aggrappato all’esperienza immediata, la più sensibile e la più inebriante possibile, ma, fatta di questa concezione di vita un punto fisso, dopo non rimane altro che l’abisso. Non tutti saranno così espliciti nel dichiarare il proprio rapporto negativo con Dio, ma sicuramente un filo di ateismo disperato c’è anche nella nostra società in cui stiamo vivendo.
 
A questo estremo negativo si contrappone l’estremo positivo. Un altro grande uomo, Giovanni della Croce, ha parlato del nulla ma per il Tutto. In Giovanni della Croce c’è un magnifico itinerario che passa dalla pochezza, dal nulla della creatura, e si perde nella grandezza di Dio. “Fuoco soave” lui chiama Dio. “Piaga deliziosa” dell’amore di Dio che ti tocca il cuore e poi non puoi più dimenticarla. “Luce radiosa, fai vivere d’amore”. Sono espressioni appassionate che si trovano frequentissimamente in questo grande campione del cristianesimo.
 
Quindi da un lato l’ateismo disperato, dall’altro l’amore appassionato e poi tutta una gamma di sfumature in cui ci troviamo in qualche maniera anche noi.
 
Oggi il rapporto con Dio è molto vario: rifiuto, indifferenza, ricerca, amicizia, fedeltà, testimonianza. Ti costruisci nel tuo rapporto con Dio precisamente nella misura che vuoi: questo è molto bello perché esalta la responsabilità, è bello poter dire che sono in rapporto con Dio perché lo voglio essere, dato che nessuno mi obbli­ga. Questo Dio, a cui non ci si può sottrarre, ci chiama, e la nostra grande saggezza è costruire con lui un rapporto indistruttibile, infrangibile: qualunque cosa capiti, nulla mi separerà da te, mio Dio. In ogni caso l’uomo “aspira a fare il dio”, con o senza di lui (Blondel). Non c’è dubbio che la storia recente del nostro mondo ha visto uomini che volevano fare il dio, tenere in mano tutto e tutti, giocare sulla vita e sulla morte. Ecco perché Timor di Dio e Pietà sono effetti dello Spirito estremamente forti.
 
 
Timore di dio non vuol dire paura
 
Per noi timore vuol dire paura, invece no. Dal punto di vista biblico e teologico timore vuole soltanto dire “rispetto”, che è un sentimento positivo. Quando le società diventano più superficiali perdono il senso dei valori, la prima cosa che capita è che si incomincia a mancare di rispetto a tutto e a tutti. Invece davanti a Dio l’uomo in primo luogo ha un senso di profondissimo rispetto: tu sei Dio e tutto quello che è lo tieni in piedi tu e non io, allora mi viene questo senso di rispetto profondo che non mi impaurisce per nulla.
 
Un senso di dipendenza profonda: ecco cosa diventa il rispetto profondissimo, poiché sono ragionevole, dipendo da Dio e lo so. Il mio rispetto diventa dinamico, vivo, personale: dipendo da te e sono anche contento di dipendere da te, non voglio dipendere da me e neppure dipendere dagli altri, farli diventare degli idoli. Non è che tu ti abbassi al senso servile perché sei una creatura.
 
Oggi abbiamo abbastanza perduto il sentimento della creaturalità. L’uomo, che è simile a Dio, ha una doppia faccia: per un lato è creatura e per l’altro lato è creatore. I due termini evidentemente non si equivalgono perché Dio ha fatto essere ciò che non era, noi invece non facciamo essere ciò che non è, trasformiamo ciò che è in ciò che può anche essere, pensiamo alla scienza, all’arte. Ma oggi l’uomo si sente soprattutto creatore, non gli piace ricordarsi che è creatura, diciamo che ne ha rimosso addirittura l’idea.
 
Il linguaggio dei Salmi è molto istruttivo in proposito, continuamente ti ricordano che sei creatura, ti fanno contemplare il Creatore, ti fanno sentire la tua pochezza, ti fanno dire dal profondo: grido a Te. Ti fanno dire insomma continuamente che sei di Dio e da Dio e quindi dipendi da lui.
 
Senza il dono del timore di Dio facilmente si cade nella sicurezza, nell’arroganza oppure nella tristezza, ti trovi perso, un piccolo atomo nell’universo. Invece dipendere da Dio dà anche un senso di fiducia grande e si capisce bene il sentimento fondamentale di Gesù stesso di realizzare, fino alla croce, il suo “Faccio sempre le cose che sono gradite al Padre” (Gv 8,29). Gesù non ha altro senso che dipendere facendo solo quello che al Padre piace. L’ha detto lui: “Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera” (Gv 4,34). E questo è anche il nostro pane: poco per volta, se siamo saggi e cristiani, capiamo come è giusto vivere facendo la volontà di questo Padre. Qualunque cosa faccia mi sono ispirato a quello che piaceva a te: non è una utopia, è possibile, siamo figli di Dio anche noi, lo stesso Spirito di Cristo è anche in noi e dobbiamo anzi avere fiducia, senza alcun pessimismo.
 
 
Gli effetti del timore di Dio
 
Il Timore di Dio in concreto ci conserva umili dinanzi alla grandezza di Dio e alla sua volontà (Gv 5,30). La prima umiltà non nasce dal pensiero dei nostri peccati, ma dal confronto con la grandezza di Dio. Maria non conosce peccato, eppure è la più umile delle creature, “ha fatto in me cose grandi colui che era onnipotente”. Se la tua preghiera ti fa stare un momento adorante davanti alla grandezza di Dio, tu ti alzi più umile.
 
Il Timore di Dio ci evita la superficialità e la disinvoltura morale. Umili davanti alla grandezza di Dio e alla sua volontà. Perché siamo così disobbedienti? Perché ci lamentiamo dei comandamenti di Dio? Perché facciamo tutto quello che ci pare e piace? È perché abbiamo perso il senso della sua grandezza. Perdendo il senso della grandezza è chiaro che tutto scompare. Dì quel che vuoi, io faccio quel che voglio: ormai è l’unico comandamento di gran parte dei nostri contemporanei.
 
Nel salmo 49,16-21 Dio rimprovera il peccatore: tu vai con gli adulteri, tu rubi, tu mentisci; e poi c’è una domanda molto penetrante: te la ridi di me, ma credi che io sia come te, che io ti approvi? Ti sbagli, io non sono come te e allora rientra in te stesso, diventa saggio e impara di nuovo a non essere tanto disinvolto con la mia legge, obbedisci come ha fatto mio Figlio. Ecco, il timore di Dio è questo.
 
Il Timore di Dio ci impedisce di farci una religione a nostra misura (Mt 23,23-24). Di fronte alla disinvoltura morale il timor di Dio impedisce di farsi una religiosità comoda, a propria misura. Ricordiamo i rimproveri di Gesù ai farisei i quali erano osservantissimi di un tipo di religiosità che però, anche se impegnava nelle piccole cose, non disturbava molto. Si erano fatti una religiosità che li rassicurava: nessuno è religioso come me perché faccio questo, faccio quello, faccio quell’altro, ma erano tutte cosette. Una religione comoda che in realtà non penetra nel profondo della tua coscienza e non ti santifica.
 
Il Timore di Dio ci impedisce tutto questo perché ci rende limpidi, onesti con Dio. Con questo dono bellissimo il rapporto con Dio è garantito, è ben fondato, e da qui si parte per accogliere l’altro effetto speciale dello Spirito, il dono della pietà.
mons. Giuseppe Pollano
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