IL FIGLIO PAROLA DEL PADRE 1. La Parola mediatrice

«Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare». «Nessuno ha mai visto Dio: il Figlio di Dio unigenito, che è nel seno del Padre, egli ce lo ha rivelato, autos exegésato, ce ne ha dato l'esegesi». «Nessuno ha visto il Padre se non colui che viene dal Padre: egli ha visto il Padre. In verità, in verità vi dico: lo sono il pane della vita»

IL FIGLIO PAROLA DEL PADRE 1. La Parola mediatrice

da L'autore

del 01 gennaio 2002

«Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Mt 11,27). «Nessuno ha mai visto Dio: il Figlio di Dio unigenito, che è nel seno del Padre, egli ce lo ha rivelato, autos exegésato, ce ne ha dato l'esegesi» (Gv 1,18). «Nessuno ha visto il Padre se non colui che viene dal Padre: egli ha visto il Padre. In verità, in verità vi dico: lo sono il pane della vita» (Gv 6,46 ss.).

Non siamo noi che estorciamo con tecniche apprendibili la conoscenza dell'Assoluto: Dio si rivela liberamente da se stesso nel suo Figlio, ci dona una parola che sazia l'anima affamata. Apprendiamo che l'uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio (Gen 1,27) affinché un giorno Dio possa porre in lui la perfetta immagine (2 Cor 4,4; Col 1,15), la piena impronta (Ebr 1,3) di se stesso, dell'Invisibile. L'uomo Gesù Cristo non è innalzato successivamente a questa immagine divina, dall’inizio si è saputo tale. L'affermazione «Ma io vi dico» - che supera l'autorità di Mosé - può essere solo l’Io stesso di Jahwe e della sua parola. «Prima che Abramo fosse io sono» (Gv 8,58) è lo scandalo insopportabile per il popolo abituato ai profeti. Si attentava alla vita di Gesù «perché chiamava Dio suo padre e così si uguagliava a Dio» (Gv 5,18). Lo si vuole lapidare «per la bestemmia, perché tu che sei uomo ti fai Dio» (Gv 10,33).

La pretesa di Gesù è senza analogie in tutta la storia delle religioni. Egli esige amore assoluto per se stesso, trascurando ogni amore interpersonale per quanto santo sia, anzi ogni amore di sé, per quanto ordinato (Lc 14,26). Egli accusa di furto e di latrocinio chi non si avvicina a Dio attraverso di lui, l'unica porta (Gv 10,8). Chi non lo ascolta e non lo comprende come Parola di Dio e non lo ama in quanto Parola di Dio non può reclamare per sé alcun rapporto con Dio: «Se Dio fosse vostro padre certo mi amereste. Perché non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete ascoltarmi come la Parola» (Gv 8,42 ss.). «Chi non mi ama non osserva la mia parola, la parola che voi ascoltate non è mia ma del Padre che mi ha mandato» (Gv 14,24). «Il Padre vi ama perché voi avete amato me» (Gv 16,27). Condizione per il vero amore reciproco tra Dio e l'uomo, per il vero amore d'alleanza, è dunque, secondo l'esigenza di Gesù, l'amore per lui, per il Dio-Uomo, per il perfetto incarnatore dell'Alleanza: doppia via di Dio all'uomo e dell'uomo a Dio.

Cosi dunque la meditazione cristiana può essere nel suo nucleo solo contemplazione amorosa, riflessiva e obbediente di questo uomo che è l'autoaffermazione di Dio. Egli è la spiegazione di Dio e la sua dottrina per noi: «Chi va oltre non possiede Dio, ma chi si attiene alla dottrina possiede il Padre e il Figlio» (2 Gv 9). Questo attenersi significa credere e a questa fede sono donati gli occhi per scorgere attraverso l'umanità di Gesù la (sua) divinità. «Chi vede me vede il Padre» (Gv 14,9). Alla meditazione cristiana è dato di scoprire non solo nelle parole ma in tutte le situazioni e gli atti di Gesù l'atteggiamento e la condizione di Dio. Quando Gesù si adira (cosi spesso in Marco), quando impugna la frusta, noi apprendiamo come e perché Jahwe, il Dio geloso, si adira. Quando egli piange su Gerusalemme «che non ha voluto», a ora egli rivela la tristezza del Signore dell'Alleanza che inutilmente ha sprecato il suo amore. Quando egli si fa pregare - in Cana dalla madre, in Cafarnao dal centurione romano, in Siria dalla donna pagana e da questa preghiera è 'mutato', allora egli mostra come una preghiera insistente strappa infine al cuore di Dio quanto desiderato (Lc 18,1-7). Quando non esita a non rispondere e apparentemente lascia in asso le due donne amate a Bethania, allora anticipatamente egli preannuncia che sulla croce si sentirà abbandonato da Dio, sebbene già prima sapesse: «L'ora è già qui in cui voi mi lascerete solo, ma io non sono solo, perché il Padre è con me» (Gv 16,32; cfr. 8,29): Dio non abbandona neppure, e ancor meno, proprio quando sembra agli occhi del mondo che egli abbandoni.

Tutto in Gesù è parola. Anche il suo silenzio davanti ai tribunali degli uomini. Il suo essere coperto di colpi e di sputi. Soprattutto lo è la sua morte dopol'alto grido inarticolato cui segue il gelido mutismo del cadavere: nessuna parola di Dio è più eloquente di questa estrema condizione dell'uomo mortale. Infatti: se non avessimo questa parola, questa autoespressione di Dio, non sapremmo che, oltre ogni tenebra, «Dio è amore», una frase che nessun'altra religione del mondo ha osato esprimere. Nulla più di questa frase necessita della prova: eccola. «Chi lo ha visto lo testimonia e la sua testimonianza è vera. Egli sa che dice il vero perché anche voi crediate» (Gv 19,35). Ciò che poi è raccontato del Risorto è ancora più trasparente su Dio - paradisiaco è una parola troppo debole al riguardo - e appunto per questo nulla nel Vangelo è più umanamente delicato del colloquio con Maria Maddalena al sepolcro e con i discepoli nel Cenacolo, del rimprovero amoroso a Tommaso e della soddisfazione della sua richiesta, della scena sulla strada di Emmaus, del gesto benedicente all'Ascensione, e questo vale fin dentro l'apparizione gloriosa a Paolo, cui ancora Cristo appare consolatore e fortificatore nelle ore più difficili (At 18,9-10; 23,11; 27,24). Anche nella trasfigurazione gloriosa tutto rimane corporeo e concreto, nulla del mondo creato è rinnegato nel mondo redento. Così tutta la natura è inclusa nelle parabole di Gesù per illustrarci l'essenza del Regno di Dio: il tesoro trovato nel campo; la scoperta della perla preziosa, per la quale si vende tutto; la seminagione del contadino, di cui molta va persa e tra cui il nemico semina la zizzania. La grazia è una sorgente traboccante; l’amore un incendio che deve diffondersi nel mondo; e poi di nuovo una semente che cresce da sola, «non si sa come». Avvenimenti naturali, come il prato meravigliosamente fiorito, gli uccelli nel cielo che non seminano e non raccolgono, sono insegnamento visivo per i discepoli. Così il rapporto tra vite e tralcio mostra loro che senza Gesù non posso nulla, ma innestati in lui portano molto frutto. I miracoli di Gesù mostrano entrambi gli aspetti: che la guarigione o il nutrimento corporale rimandano alla cura di Dio per la guarigione e il nutrimento dell'anima, ma anche la corporalità rimane la sua genuina immagine e la sua vera espressione. «Che cos'è più facile: dire 'I tuoi peccati sono rimessi' o dire 'Alzati e cammina'?» (Mc 9,5). Le esemplificazioni sarebbero infinite, tutto il Vangelo contiene parola concreta dopo parola concreta, immagine dopo immagine; ognuna è limitata se vista con occhi terreni, ma aperta all'illimitatezza di Dio, rivelatrice della sua natura inesauribile e onnitraboccante. Ma questa apertura del finito verso Dio si trova già da sempre in Gesù Cristo, nella misura in cui come uomo rivolge ogni sua parola diretta al mondo contemporaneamente come preghiera al Padre. Chi medita lo dimentica spesso. Egli non deve dare alla parola rivelatrice di Dio una risposta trovata nel proprio intimo: quale fallimento sarebbe e quanto inferiore all'esigenza della Parola! Bensì egli possiede la risposta vera già presente nella Parola stessa: « Chi è in cammino verso il Signore è inserito nel suo colloquio col Padre, nella sua preghiera. Ogni forma della sua sofferenza, ogni assunzione di peccato avviene all'interno del suo colloquio col Padre.

E altrettanto per ogni guida di uomini: chi viene a Lui viene al Padre, perché tutti egli conduce al Padre. I discepoli che lo ascoltano sentono due cose: la sua chiara parola rivolta a loro e al mondo. Ma contemporaneamente sentono ciò che egli dice loro nella sua preghiera al Padre» ( ADRIENNE VON SPEYR). Egli riceve offerta, insieme con l'ascolto, quella fede che non è semplice atto interiore dell'uomo, ma un aprirsi a Dio, ossia preghiera. Non certo nel senso che all'uditore venga suggerito qualcosa di già confezionato che potrebbe e dovrebbe riconsegnare a Dio tale e quale. Ma con lo schiudersi a Dio presente nella Parola gli viene donata piuttosto una propria disponibilità, grazia come libertà. Che questa libertà donata è lo Spirito Santo di Dio ci dovremo riflettere più avanti. Qui dovrebbe solo diventare visibile il fatto che Gesù Cristo, come perfetta alleanza tra Dio e uomo, nel suo essere Parola è essenzialmente dialogico, ma che il dialogo divino-umano che egli media nel suo essere, avviene già da sempre oltre il semplice dialogare tra due persone separate.

Hans Urs Von Balthasar

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