Capacità di ascolto, stile cooperativo, strategia di "rete", flessibilità e, soprattutto, passione coinvolgente: sono questi i tratti che hanno fatto dell'apostolo Paolo un grande predicatore, testimone credibile di una buona notizia rivoluzionaria.
del 12 giugno 2009
Capacità di ascolto, stile cooperativo, strategia di 'rete', flessibilità e, soprattutto, passione coinvolgente: sono questi i tratti che hanno fatto dell’apostolo Paolo un grande predicatore, testimone credibile di una buona notizia rivoluzionaria.
 
Paolo, stratega di una comunicazione d’impatto: che dell’Apostolo delle genti siano state da sempre celebrate preclare virtù di intraprendenza operativa è cosa nota; che invece si sia inteso coglierne l’esempio per la formulazione di un identikit del buon comunicatore, è cosa meno ricorrente. Del Paolo missionario, predicatore, viaggiatore, servo e testimone infaticabile vogliamo di seguito carpire un aspetto certamente non inedito, ma non meno edificante: quello del 'comunicatore d’impatto', del testimone la cui parola – in sinergia con una comunità di collaboratori e compagni – si fa voce efficace nel coro di un’armoniosa sinfonia di salvezza.
 
Atleta della comunicazione, l’apostolo di Tarso è all’origine di un movimento di annuncio di larghissime proporzioni. Dell’intraprendenza di Paolo si resta stupiti: uomo dalle vedute larghe e dalle scelte coraggiose, sfida i tempi e gli spazi delle culture per ascrivervi la scomoda eventualità di una proposta alternativa. Paga di persona per ciò che annuncia. Incompreso, continua a comunicare – per dovere e non per vanto, come dirà nelle sue Lettere – quell’unico Vangelo in cui riconosce l’esordio incandescente di una storia di salvezza.
 
Non è un abile parlatore: i suoi avversari ne rimarcano la debole presenza fisica e la parola dimessa (2Cor 10,10). Il successo del suo apostolato – lo ricorda Benedetto XVI – dipende soprattutto «da un coinvolgimento personale nell’annunciare il Vangelo con totale dedizione a Cristo; dedizione che non temette rischi, difficoltà e persecuzioni» (omelia del 28 giugno 2007). Ma non si tratta di una 'consacrazione' solitaria: una vasta schiera di collaboratori ne condivide le ansie e le gioie, le difficoltà e le gratificazioni.
 
Volendo sintetizzare gli elementi attorno ai quali si delinea il profilo del Paolo comunicatore, possiamo indicare cinque tratti vincenti che caratterizzano la sua personalità e il suo annuncio.
 
In primo luogo, va evidenziata la grande capacità di ascolto dell’apostolo, che si è poi tradotta in un continuo processo di incarnazione del Vangelo nelle diverse culture. Lo sforzo di gettare ponti comunicativi presuppone, in Paolo, la base dell’ascolto implicito della cultura giudaica e greco-romana. Tale dimensione ha particolarmente accompagnato la sua partecipazione alla vitalità della Chiesa madre di Antiochia, dove ha vissuto la prima intensa e prolungata esperienza comunitaria cristiana (At 11,19-26) e dalla quale è stato inviato sulle strade della missione (At 13,1-3). Già in precedenza Paolo si era posto in ascolto dell’esperienza di Pietro a Gerusalemme (Gal 1,18-19); la stessa 'teologia' viene elaborata, stando a quanto traspare dall’epistolario, ascoltando le istanze che provenivano dalle Chiese con cui Paolo era in dialogo. Comunicare in ascolto delle proprie comunità, del loro contesto e delle loro realistiche prospettive e problematiche è la garanzia, per Paolo, di una diligente fedeltà al suo mandato di annunciatore del Vangelo. È la condizione imprescindibile per cogliere i segni del suo tempo e operarvi la consegna di quella divina verità che sempre anela alla carne della nostra storia concreta.
 
Un secondo tratto vincente può essere individuato nella disponibilità a costruire interazioni cooperative, coinvolgendo nell’annuncio uomini e donne che, insieme a lui, diventano protagonisti nella costruzione delle comunità. L’apostolo sa opportunamente cogliere il proprio apostolato come una forma di collaborazione all’azione principale di Dio, che agisce attraverso l’opera ausiliare sua (2Cor 6,1) e di altri ministri del Vangelo (1Cor 3,9-10). Ben lungi dall’essere puramente strumentale, il ruolo che rivestono figure come Timoteo, Tito, Sila, Luca, Marco, Aquila, Prisca e tanti altri traduce in termini di corresponsabilità ciò che viene affidato come mandato: la specificità di ciascuno arricchisce la missione di tutti, la armonizza e la orienta al fine di un’unica salvezza. Basta anche solo leggere il capitolo conclusivo della Lettera ai Romani (16,1-24) per farsi un’idea del ricco tessuto di relazioni che accompagna la missione paolina.
 
Va poi riconosciuto a Paolo il merito di aver inaugurato uno stile missionario totalmente nuovo, articolato strategicamente in una 'rete' di Chiese domestiche che, a partire dalle grandi città del mondo mediterraneo, si è agilmente estesa a tutto l’Impero. Nella 'rete' non esiste un centro unico di riferimento (come poteva essere, nel giudaismo, il tempio o Gerusalemme); le Chiese sono piuttosto pensate come un network di comunità, agili, mobili, raccolte attorno a Cristo, crocifisso e risorto, vivo in ogni comunità.
 
In tal senso, la missione cristiana inaugura una strategia comunicativa totalmente nuova (J. Lietaert Peerbolte) dove non esiste più giudeo o greco, schiavo o libero, uomo o donna ma tutti sono «una sola cosa in Cristo» (Gal 3,28). Alla 'rete' delle Chiese fa da sfondo la 'rete' dei rapporti con le realtà locali, tenuti vivi mediante le visite personali, i collaboratori e gli scritti: quando Paolo non può visitare di persona una Chiesa, scrive una lettera: il genere epistolare diviene così una forma di condivisione e comunione che sopperisce all’assenza, accorcia le distanze e non permette alla rete di 'sfilacciarsi'.
 
Il quarto tratto vincente è la flessibilità nel valorizzare ogni situazione, ogni esperienza e ogni mezzo, trasformandoli in occasione preziosa per comunicare il Vangelo. L’esperienza del Cristo fa di Paolo un comunicatore a 360 gradi: tutto viene posto a servizio del Vangelo: i viaggi, gli incontri, le esperienze di prigionia, le pagine di malattia, le strategie retoriche, persino le avversità... Tutto concorre alla diffusione dell’annuncio (Fil 1,18-19) e Paolo si sente libero di servire tutti: per amore del Vangelo si rende solidale con la condizione culturale dei suoi destinatari: giudeo con i giudei, debole con i deboli, sottomesso alla legge con chi è sottoposto a essa... Nel segno della sua stessa libertà, sceglie pertanto anche la condizione di 'schiavitù' spirituale pur di «salvare a ogni costo qualcuno» (1Cor 9,20-22). Del resto, in gioco c’è la piena partecipazione dell’umanità alla comunione con Dio: «Tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe con loro» (1Cor 9,23).
 
Il tratto decisivo del Paolo comunicatore è però l’ultimo: l’esperienza viva del Cristo, crocifisso, morto e risorto, che l’apostolo trasmette non come un insieme di concetti astratti o di ricordi ricevuti, ma come un’esperienza dinamica e coinvolgente che lo inabita. L’annuncio di Paolo, proprio per questo, non si qualifica come mera comunicazione di informazioni, ma come 'immersione' in un’esperienza che ha un preciso obiettivo: fare di Cristo, morto e risorto, il protagonista dell’esistenza di ogni credente. L’azione, la predicazione e le Lettere di Paolo pongono al centro dell’identità cristiana il rivoluzionario principio del «Cristo in noi» (Gal 2,20). Il credente diviene il luogo in cui Cristo prende forma e cresce e il suo vero impegno è lasciare che il Cristo cresca in sé, portando a maturazione i tratti unici della personalità dei singoli in modo che tutto diventi comunicazione vivente del Risorto: parole, azioni, orizzonti, progetti (Gal 4,19).
 
A questa 'spiritualità della conformazione' – ben più ricca di un semplice processo imitativo – fa eco il principio della testimonianza intesa come trasparenza piena del Cristo. Comunicare il (e nel) cristianesimo significa offrirsi come spazio in cui Colui che è Via, Verità e Vita possa nuovamente incarnarsi e donarsi al mondo; significa offrirsi in pienezza come pienezza di vita, verità finita graziosamente informata di Verità inesauribile, sentiero, camminatoio, riflesso diafano e genuina sorgente di una Vita resasi visibile, udibile, tangibile. La fede cristiana trova in questo criterio di credibilità testimoniale la propria ragion d’essere e la propria stessa chiave ermeneutica: la vita si consegna alla vita come segno (e promessa) di altra Vita.
 
Quale può essere la consegna che Paolo lascia al mondo contemporaneo? Di cosa deve essere capace il comunicatore cristiano, sull’esempio paolino e alla luce delle sfide lanciate dalla nuova era digitale? Dai cinque tratti vincenti dell’apostolo, traiamo cinque orientamenti, che possono tradursi in criterio di verifica e di rilancio per un annuncio cristiano che auspichiamo: 1) recettivo: capace di 'abitare il mondo', di sondare le 'sacche antropologiche' della storia, di scandagliarne le prospettive e le attese, in ascolto di Dio e dell’uomo; 2) cooperativo: capace di inventare luoghi di convergenza, ben oltre le logiche della 'delega', per una creatività audace e condivisa; 3) crossmediale: attento al valore concreto da attribuire agli strumenti, ai contesti e alle loro possibili, spesso inedite ibridazioni; 4) connettivo: attento tanto ai 'nodi' e ai 'centri' d’irradiazione tanto quanto ai nessi vitali che li costituiscono come rete, in una relazionalità dinamica sempre aperta; 5) testimoniale: attento alle identità e agli scarti tra mezzo e messaggio, orientato alla conformazione al Modello sorgivo, in modo da rimanere sempre fedele al dono originario. Possa, dunque, il modello paolino, oggi come ieri, infondere nuova linfa all’annuncio e alla prassi del popolo cristiano.
 
Giacomo Perego
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