Non bisogna essere carichi di anni e di esperienza di vita per essere testimoni della fede. E' questa la storia di Rolando Rivi, il seminarista di 14 anni ucciso in odio alla fede, beatificato il 5 ottobre nel corso di una celebrazione nel palazzo dello sport di Modena.
Non bisogna essere carichi di anni e di esperienza di vita per essere testimoni della fede, anche un ragazzo può dimostrare il suo radicamento in Cristo fino al martirio. E' questa la storia di Rolando Rivi, il seminarista di 14 anni ucciso in odio alla fede, beatificato il 5 ottobre nel corso di una celebrazione nel palazzo dello sport di Modena.
Fervido nella preghiera, attento a coinvolgere i compagni e molto generoso con i poveri di passaggio, ai quali donava con larghezza, dicendo: «La carità non rende povero nessuno. Ogni povero per me è Gesù». E' il ricordo degli amici di Rolando (Avvenire 4 ottobre 2013) che nato nel 1931, a 11 anni, mentre l’Italia è in guerra, entra nel seminario di Marola (Reggio Emilia). Dopo l’occupazione del seminario a opera dei tedeschi, nel 1944 Rolando torna a casa, a San Valentino di Castellarano, sulle colline reggiane, continuando tuttavia ad indossare la talare da seminarista. Sarà proprio quella veste a concentrare su di lui l'odio dei suoi uccisori.
"Finisce nel mirino di un gruppo di partigiani comunisti – racconta l'editorialista Luigi Accattoli sul suo blog - , qualcuno butta là dei sospetti e il 10 aprile 1945 viene sequestrato con l’accusa di essere una spia dei tedeschi, portato prigioniero a Piane di Monchio, nel Comune di Palagano sull’Appennino modenese, rinchiuso in un casolare per tre giorni, brutalmente picchiato e torturato".
I suoi aguzzini vogliono che confessi di essere una spia ma il povero ragazzo non può confessare qualcosa che non esiste e così viene decisa la sua esecuzione. "Il venerdì 13 aprile 1945, alle tre del pomeriggio, spogliato a forza della veste talare, viene trascinato in un bosco di Piane di Monchio e ucciso con due colpi di pistola. Quando Rolando capisce che quegli uomini armati non avranno pietà di lui, chiede solo il tempo necessario per una preghiera per il suo papà e per la sua mamma. Questo particolare fu narrato dai partigiani della “Dolo” contrari all’esecuzione" (blog di Luigi Accattoli).
Nel 1951 gli assassini di Rolando Rivi saranno condannati a 23 anni di reclusione. Il 27 marzo 2013 Papa Francesco ha autorizzato la Congregazione per le Cause dei Santi a promulgare il decreto riguardante il martirio del servo di Dio Rolando Rivi, che viene rubricato con queste parole: “ucciso in odio alla fede”. Il 5 ottobre seimila persone parteciperanno alla liturgia della beatificazione presieduta dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le cause dei santi, in rappresentanza di papa Francesco. Con Amato concelebreranno l’arcivescovo di Modena-Nonantola, Antonio Lanfranchi, il vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, Massimo Camisasca, e altri vescovi dell’Emilia-Romagna. Con loro oltre 200 sacerdoti, un centinaio di diaconi e ministri straordinari dell’Eucaristia.
La vicenda di Rolando Rivi si colloca in un periodo storico molto complesso, quello della guerra di resistenza al nazifascismo: lo descrive Emilio Bonicelli, giornalista e autore de Il sangue e l’amore (Jaca Book), un romanzo sulla storia di Rolando Rivi, in una intervista a Tempi (28 marzo 2013). La resistenza, per Bonicelli, "ha avuto più volti nel nostro paese, e nella sua grandezza ha vissuto tutti i problemi legati all’irrompere, al suo interno, dell’ideologia comunista". Da movimento unitario con varie componenti anche cattoliche, si arrivò a una frattura tra "le brigate garibaldine, comuniste, da una parte, e le fiamme verdi, cattoliche, dall’altra, e ben diverso era il modo con cui le une e le altre concepivano e vivevano la guerra di liberazione". Chi sparò a Rolando fu il commissario politico di una formazione garibaldina, cioè "la persona incaricata di indottrinare gli altri all’ideologia comunista" e la motivazione data fu “domani un prete di meno”. "La lotta partigiana – spiega Bonicelli - , per alcuni, era diventata cioè l’inizio della rivoluzione proletaria per affermare nel nostro Paese la dittatura del proletariato in cui non ci sarebbe stato posto per la testimonianza pubblica della fede cristiana".
Questo spiega perchè Rolando, con la talare che non abbandonava mai, fu preso di mira nonostante fosse un ragazzo. A causa della sua "irriducibile identità cristiana e per la sua instancabile testimonianza che attirava gli altri ragazzi all’esperienza della fede. Era Rolando che organizzava i giochi e poi invitava tutti in chiesa. Era un fatto inammissibile per chi voleva cancellare Cristo dall’orizzonte dell’uomo (Tempi 28 marzo)".
La testimonianza del giovane seminarista diventa così tanto più importante nel nostro tempo. «Onorare Rolando Rivi – ha sottolineato in diverse occasioni l’arcivescovo Antonio Lanfranchi – è importante sia per la Chiesa sia per la società civile: un atto di riconciliazione prezioso, perché il Signore ci converta e ci aiuti a costruire una civiltà dell’amore, fondata sulla giustizia» (Avvenire 4 ottobre 2013).
Chiara Santomiero
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