√â cambiato il mondo: quello degli adolescenti ma prima ancora quello degli adulti, se il professionista cinquantenne non si accontenta più di una o più amanti ma cerca la tredicenne, e se un grande calciatore si giustifica davanti a un giudice dicendo di non essersi accorto di avere imbarcato tre transessuali, come se il passare una sera con tre prostitute donne, mentre la propria fidanzata è incinta, fosse invece una cosa normale. È la normalità, oggi, a generare i mostri.
del 15 maggio 2008
È tutto così fuori posto nelle cronache della fine di Lorena Cultraro: non c’è parola che non sia scombinata con l’età dei protagonisti, con le tappe della crescita di ragazzi e ragazze, non c’è parola che possa dirsi contemporanea, coesistente con un mondo che dovrebbe essere quello di chi ha quattordici, quindici, sedici e diciassette anni.
 
Lorena, leggiamo, accetta di seguire il «fidanzato». Ma fidanzarsi vuol dire «promettere sulla fede che una ragazza sarà concessa per moglie ad un uomo», ci si fidanza a vent’anni, venticinque, oggi perfino a quaranta, ma mai ha avuto un senso dirsi fidanzati a quattordici, quando non c’è vera promessa, non c’è vera fede, non c’è neppure donna e neppure uomo. E poi Lorena, raccontano ancora le cronache, dice «sono incinta»: una nuova vita che arriva così presto da sembrare perfino una rivolta contro la natura, che pure una nuova vita può già permettere. Era «consenziente», dicono i giovanissimi assassini ai carabinieri, come se a quattordici anni si potesse davvero essere «consenzienti». E così precoci i ragazzi di Niscemi si mostrano anche quando scatenano il peggio di sé: si può essere violenti e cattivi anche da adolescenti, ma «cedere» la propria ragazza ad altri è un gesto di arroganza e prepotenza, è l’atto di un mammasantissima, di un capobastone. Dei mafiosi i tre assassini hanno già assimilato e digerito pure le tecniche di eliminazione: la sparizione del cadavere, la lupara bianca, gli scioglimenti nell’acido. Perfino quando leggiamo che i tre, con Lorena spogliata, volevano «spassarsela», abbiamo un senso di irrealtà: sarà anche vero che oggi si fa tutto prima, ma a quell’età il sesso è solo una medaglia da esibire nei discorsi con gli amici, non conosce né gioia né piacere.
 
È dunque tutto così anticipato - il bene e il male, le frivolezze e la ferocia - in questa tragica storia di Lorena, descritta come una ragazza «allegra» ma così melanconica nelle foto che ora vediamo. E sembra un paradosso che un simile balzo in avanti nel tempo sia potuto avvenire in un paese di diciassettemila anime dove il prete si chiama Di Dio di cognome e Rosario di nome, dove qualcuno forse organizza ancora la fuitina per combinare nozze riparatrici, dove gli adolescenti lavorano nei campi, così come lavoravano quei tre. «Abbiamo perso la testa», hanno detto, «quando lei ci ha rivelato di essere incinta». Come dire che tutto quello che era avvenuto prima non era un perdere la testa: né il rapire una ragazza, il farle fare la donna, il cederla agli amici. Il lato tragico di questi ragazzi che buttano via la propria vita è anche lo choc che provano quando apprendono che arriva la vita di un altro. Chissà se era davvero incinta, Lorena: ce lo dirà l’autopsia. Ma cambia poco per capire la testa dei giovani assassini: per loro, era quello e solo quello l’inaccettabile.
 
Le violenze e le ragazzine ingravidate, l’irresponsabilità e la prepotenza del maschio ci sono sempre stati. Ma mai fino a questi punti. Franca Viola, la donna di Alcamo che aveva diciotto anni nel 1965 quando diventò un caso nazionale perché rifiutò di sposare (come tradizione imponeva) l’uomo che l’aveva violentata, insomma una donna che è stata antesignana delle battaglie femministe, una donna che ha per sacra la libertà, ieri ha detto che oggi «i ragazzi hanno troppa libertà, le bravate ci sono sempre state ma noi eravamo all’opposto, magari con l’idea di arrivare vergini al matrimonio». È davvero cambiata l’Italia se ieri i genitori di due degli arrestati hanno detto che «il dolore di chi ha perso una figlia è immenso, mentre il nostro dolore è relativo», come se il diventare assassini non fosse una morte perfino peggiore di quella cui va incontro la vittima.
 
L’incoscienza non è solo dei figli ma anche dei padri, e le violenze di gruppo non sono un prodotto della «cultura siculo-pakistana» come direbbe un ex ministro: anche nel Bresciano abbiamo visto storie così. È che è cambiato il mondo: quello degli adolescenti ma prima ancora quello degli adulti, se il professionista cinquantenne non si accontenta più di una o più amanti ma cerca la tredicenne, e se un grande calciatore si giustifica davanti a un giudice dicendo di non essersi accorto di avere imbarcato tre transessuali, come se il passare una sera con tre prostitute donne, mentre la propria fidanzata è incinta, fosse invece una cosa normale. È la normalità, oggi, a generare i mostri.
Michele Brambilla
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