Il rischio di un mondo “invivibile” nasce proprio dalle nostre paure: ci si chiude a doppia mandata nelle nostre case. La Chiesa di Cristo non è il luogo della paura, ma dell'apertura, dell'accoglienza...
del 24 agosto 2009
 
Era uno dei cantautori preferiti dai noi giovani, un francese, un prete: Aimè Duval. Cantavamo le sue canzoni in francese, dove si parlava di speranza, di amore, mentre altri seguivano Jacques Brèl o Juliette Greco, espressione di un altro mondo, quello di periferia o degli allievi di Sartre, di chi non credeva in Dio.
 
Il bambino che giocava con la luna
Aimè Duval poi è sparito, entrato nel mondo di chi è schiavo dell’alcool, emergendo poi anni dopo con un libro autobiografico, “Il bambino che giocava con la luna”, dove, tra l’altro, osserva con chiarezza quanto sia importante per la propria maturazione raggiungere un grande equilibrio tra l’amore di sé, l’amore degli altri e l’apertura alla Trascendenza, a Dio. Sono frasi da meditare da chi lavora con i giovani e gli adolescenti, che cercano, anche quando non sembra, l’incontro con un adulto che ha acquisito uno sguardo positivo su di sé e sulla propria vita, un senso adeguato del proprio valore e dei propri limiti personali. Un adulto in grado di accogliere, perché si è accolto, in grado di amare perché si ama, contento del suo ruolo nella società e nella Chiesa. Un adulto credibile, che sia prete o laico, sposato o no ma equilibrato nel suo vivere.
 
L’amore per il prossimo nasce da Dio
Scrive appunto Aimè Duval: “Amare Dio senza amare gli altri crea un mondo invivibile per i migliori e la violenza strangolerà i sopravvissuti. Amare gli altri senza amare se stessi è una malattia che può condurre all’alcool. Adesso che sono sobrio da quattordici anni, so che la mia felicità è dovuta all’equilibrio tra questi tre amori”. Amare Dio senza amare gli altri, è possibile? Secondo l’apostolo Giovanni è falso, bugiardo chi nella sua vita ama Dio ma poi esclude il prossimo, ha paura di incontrarlo, lo allontana, lo rifiuta: perché straniero, clandestino, perché la pensa diversamente, perché ritenuto comunistello di sacrestia o spirito troppo libero invece di essere un “utile idiota”.
 
Chiesa, luogo di apertura
Il rischio di un mondo “invivibile” nasce proprio dalle nostre paure: ci si chiude a doppia mandata nelle nostre case, apriamo solo a pochi e siamo sempre in difesa contro il nemico, vero o presunto, soprattutto se scomodo. La Chiesa di Cristo non è il luogo della paura, ma dell’apertura, dell’accoglienza. Ce lo ha ripetuto più volte il nostro Cardinale Dionigi, ce lo ha detto all’Angelus in varie domeniche, papa Benedetto! Il guaio è che spesso si ascoltano più volentieri le voci dei nostri “laicisti” che quelle dei nostri Vescovi le voci del Vangelo, che non annientano il povero, l’emarginato, l’immigrato, lo straniero, perché non lo sentono un aggressore, ma cercano di scoprire in lui, negli altri il volto di Cristo. Le leggi dello Stato devono tutelare la vita dei propri cittadini ma non devono servire all’irrigidimento e alla incrostazione dei rapporti tra le persone. Amare gli altri senza amare se stessi conduce ad altre forme di violenza: alcool, disturbi dell’alimentazione quali anoressia e bulimia, fuga dalla vita nelle sostanze. Come amare il prossimo, senza amare se stessi? Anche qui il Signore viene in nostro aiuto quando ci invita ad amare gli altri come amiamo noi stessi. E’ la misura dell’amore, l’accettarci per quello che siamo, con la storia che abbiamo, i talenti che ci sono stati donati!
 
Apertura alla Trascendenza
Un amico laico, noto avvocato civilista, che si definisce “anarchico rosso”, mi manda ogni tanto brani di autori russi per un dialogo insieme. L’ultimo è tratto dai “Fratelli Karamazov” di Dostoevskij. Parla di un giovane, di Alesa, che appena si era convinto, “dopo una seria riflessione, dell’esistenza di Dio e dell’immortalità, egli si era subito detto, istintivamente: Voglio vivere per l’immortalità, non accetto compromessi… ad Alesa sembrava persino strano e impossibile continuare a vivere come prima”. Dio non è solo memoria del passato, ma è un camminare in avanti, non è la conservazione di un rito, ma una novità, un rischio, un coraggio, una speranza, una profezia, qualcosa di forte, che entusiasma i giovani a scelte anche radicali, di cui abbiamo bisogno per ridare fiato alla civiltà dell’amore, di cui parlava Giovanni Paolo II. Non è facile ritrovare l’equilibrio,di cui parla Duval, ma è possibile!
don Vittorio Chiari
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