Mi rendo sempre più conto che a scuola la metà dei problemi derivano dal fatto che i professori non si parlano: si fa da soli, o perché ci si crede migliori degli altri o perché si teme di essere giudicati. Mi sono fatto un esame di coscienza. Non posso pretendere concordia(dal latino: cum+cor-cordis, avere un cuore comune, che batte all'unisono) tra gli studenti...
del 03 febbraio 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 
          Ho fatto il proposito, per il 2012, di pranzare ogni settimana con un collega diverso. La sfida sta dando frutti sorprendenti. Mi rendo sempre più conto che a scuola la metà dei problemi derivano dal fatto che i professori non si parlano: si fa da soli, o perché ci si crede migliori degli altri o perché si teme di essere giudicati. Mi sono fatto un esame di coscienza e ho provato a capire in cosa potevo migliorare io, in prima persona. Non posso pretendere concordia (dal latino: cum+cor-cordis, avere un cuore comune, che batte all’unisono) tra gli studenti, se non c’è tra colleghi o lo esigo solo a parole.  Mi è allora tornato in mente un articolo scritto qualche tempo fa e che mi ero dimenticato di pubblicare sul blog. Eccolo qui.
Questo lo posso fare. Propositi per il nuovo anno. 
“La speranza non è ottimismo. Non è la convinzione che qualcosa andrà bene, ma la certezza che una cosa ha senso in ogni caso”.
Credo che questa frase del recentemente scomparso V.Havel possa essere un buon motto per un anno che comincia.
          Spesso vengo criticato per il mio ottimismo. Lascio il pessimismo e il cinismo agli altri, soprattutto quelli che se ne nutrono come sottile forma di comodità. Guardate le foto con cui ci presentiamo su Facebook: sono tutte sorridenti. Forse perché vogliamo essere così. E poi è dimostrato che chi sorride di più vive di più… Bando alle ciance. Non sono ottimista nel senso becero di chi non vede i problemi, sono ottimista perché spero. E non di quella malintesa speranza miracolistica “che tutto andrà bene”, anche senza il mio impegno. Spero perché so cosa è alla mia portata. Spero perché mi sforzo di accettare ciò non è alla mia portata. Di ciò che è alla mia portata dovrò rendere conto, perché i talenti ricevuti vanno trafficati.
          È alla mia portata: preparare una lezione; dedicare qualche minuto ad un alunno in difficoltà fuori dall’orario scolastico; sorridere in classe evitando di far scontare i miei problemi ai ragazzi; correggere i compiti in tempo utile perché le correzioni servano a migliorare il loro lavoro; resistere e punire quando c’è da farlo; chiudere un occhio e distinguere tra persona e cosa fatta male; scambiare qualche parola con un collega stanco; proporre un percorso interdisciplinare ad un altro collega la cui materia mi risulta spesso oscura; parlare con i colleghi di ogni singolo ragazzo per provare ad attuare strategie educative armoniche e condivise; ascoltare i ragazzi e scoprire che hanno molti più interessi di quello che sembra (l’ultima ora prima delle vacanze mi sono stupito a scoprire che hanno un vero e proprio desiderio di capire come va il mondo, le ragioni di una crisi, i significati di parole come recessione, debito pubblico, spread e via dicendo); preparare un colloquio con i genitori e non improvvisarlo distinguendo linee di miglioramento nella materia e obiettivi educativi da raggiungere; leggere libri che possano catturare la loro attenzione e non limitarmi a dar loro ciò che già conosco; portarli a teatro quando ci vado io, portarli ad una mostra quando ci vado io, portarli a vedere le stelle quando ci vado io; svolgere un tema che ho dato loro e leggere ad alta voce come lo avrei fatto io, così giusto per dare il buon esempio, invece di limitarmi a correggere i loro errori; chiedere più spesso quanto hanno raccolto di una lezione e non illudermi che tutto quello che dico sia chiaro; andare a dormire ad un’ora decente così da non essere nervoso e prendermela con loro anche se non c’entrano niente o semplicemente potermi permettere di stare in piedi mentre spiego così da tenere più viva l’attenzione; usare di più oggetti e immagini per far rimanere impressi i concetti; dare tra i compiti per casa anche dei film da guardare; raccontare i libri che leggo indipendentemente dalla scuola; lasciare loro la possibilità di giudicare anonimamente il mio operato, accettando consigli su aspetti da migliorare (quando l’ho fatto sulle prime ho sofferto, ma poi sono veramente migliorato); accettare di avere limiti come ce li hanno loro e non pretendere di essere infallibile; ogni tanto lasciarsi prendere dalla follia e lasciare che la lezione prenda una piega imprevista e si trasformi in un pezzo di vita vera e indimenticabile, come quando un mio alunno ha interrotto la lettura di un brano dell’Ortis di Foscolo e ha detto che tutta la letteratura è un combattimento corpo a corpo contro la solitudine dell’uomo.
Tutto questo è alla mia portata. Per questo sono ottimista.Non devo salvare il mondo. Per questo spero.Ma le mie ore e ciò che ci sta dentro, quello sì che dipende da me.
Alessandro D'Avenia
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