Il nemico più insidioso

A distanza di cinque anni dall'attentato alle Twin Towers dell'11 settembre 2001 ripubblichiamo un'acuta riflessione sul tema, che coglie le radici della vulnerabilità dell'Occidente: non tanto una debolezza 'militare', quanto una crisi spirituale.

Il nemico pi√π insidioso

da Quaderni Cannibali

del 10 settembre 2006

L’arrabbiata e sferzante invettiva lanciata d’oltreoceano da Oriana Fallaci non è stata certo politically correct, ma ha avuto il merito di risvegliare da molte ipocrisie e di sferzare le coscienze. Il rischio di perdere l’orgoglio della propria identità è reale e divora l’anima nella maniera più insidiosa, servendosi del relativismo come di una lebbra che divora ogni certezza. Il relativismo, infatti, fomentando lo scetticismo verso la Verità, è giunto a negarne l’esistenza e a diffondere la convinzione che ogni opinione ed opzione sia perfettamente legittima e rispettabile come tutte le altre, con la logica conseguenza che “se tutti i valori hanno lo stesso valore, il solo numero in grado di esprimere quel valore è zero” (come ha acutamente annotato qualche giorno fa Angelo Panebianco). Ma con ciò si perde ogni gusto di riconoscere un’identità, un volto specifico costruito da una storia, e si diviene ostaggio di chiunque, sempre succubi dell’accusa di razzismo se appena si osa parlare delle proprie diversità.

 

Guai allora a dire che l’Occidente ha una superiorità sull’Islam nella tutela effettiva dei diritti umani: subito si agita lo spauracchio della guerra santa o della crociata (termini per vero usati solo da Bin Laden). E’ vietato ricordare di essere figli della cultura cristiana, e ci si sente pericolosi oscurantisti se appena si prende sul serio il richiamo della Fallaci che, da perfetta atea, si preoccupa di chi vuole conquistare le nostre anime prima che i nostri territori, negando quella libertà religiosa che da noi è ormai un dato acquisito.

 

Ma questo complesso di inferiorità deriva dalla smemoratezza e dalla scarsa stima di sé che il relativismo ha favorito: a furia di identificare il libero pensiero con la negazione di ogni certezza per cui vivere (ed anche lottare), l’Occidente si è reso così vulnerabile da smarrire la dimora della propria autentica appartenenza, scambiando la tolleranza con la trascuratezza, l’uguaglianza con l’eliminazione delle differenze, il rispetto con l’incapacità di cercare ciò che unisce nell’umanità (che, guarda caso, è proprio la ricerca religiosa come originaria fonte dell’unità, non della divisione). Autocensurandosi sulla ricerca della Verità, una certa cultura alla moda ha finito per non vedere più lo specifico dell’Occidente come ricchezza e risorsa per tutti gli uomini, facendo smarrire quella stima e quel sacrosanto orgoglio delle proprie radici che sono l’antidoto alla violenza e ad ogni tipo di prevaricazione.

 

Contrariamente a quanto si sente dire, dialogo non vuol dire entrare in relazione con l’altro senza aver cura di difendere la propria identità come bene prezioso, perché il cuore della relazione è il gioco delle differenze. Esiste dialogo, infatti, solo se apprezzo bene ciò che sono, senza pretendere di assimilare l’altro a me, ma anche esigendo che non voglia lui espropriarmi di ciò che mi è più caro. Sarebbe, infatti, improvvido chi, in nome dell’ospitalità, rinunciasse alla casa per sé e per i propri figli per darla ad uno sconosciuto; mentre è lodevole chi, avendo coscienza delle proprie risorse, le offre all’altro, senza umiliarlo ma chiedendo la reciprocità. Una relazione equilibrata nasce, infatti, dalla responsabilità che valorizza sia la propria identità che l’altrui differenza.

 

Per questo il relativismo è un nemico insidioso, perché mettendo tutto sullo stesso piano, annebbia la coscienza e toglie forza alla Verità, che è forza di includere, non di escludere; di integrare e valorizzare, non di distruggere; di aprire alla Trascendenza non di chiudere nel fanatismo; di rispondere alla ragione non di imporre una forma o uno schema. Disprezzare quanto l’Occidente ci ha consegnato su questo sarebbe un’insana smemoratezza.

Giampaolo Cottini

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