Il padre, figura decisiva nella vita di fede

L'autore, che insegna Etica generale all'Istituto Aloisianum di Padova e Psicologia all'Università Gregoriana di Roma, svolge una riflessione sul ruolo del padre. Anche se oggi la funzione paterna è spesso in crisi, egli ha tre compiti insostituibili nell'educazione del figlio: deve aiutarlo a liberarsi dalla tendenza narcisistica e dalla stretta relazione con la madre, a entrare con coraggio nella realtà spesso ostile e a maturare nell'ambito della pratica religiosa. Anche se in un contesto del tutto particolare, la presenza di san Giuseppe nella famiglia di Nazaret conferma l'importanza del ruolo paterno per l'inserimento ordinato del figlio nel mondo.

Il padre, figura decisiva nella vita di fede

da Quaderni Cannibali

del 18 agosto 2009

Il padre è ancora necessario?

 

Il ruolo del padre sembra essere profondamente in crisi nelle odierne società occidentali, tanto da essere considerato come del tutto accessorio nello sviluppo del bambino; non a caso esso viene sempre più spesso allevato da madri single. Questo costume, per quanto diffuso e apparentemente accettato anche da molti padri, non sembra tuttavia trovare conferma nella ricerca psicologica.

 

La psicologia dello sviluppo riconosce che il ruolo del padre diventa sempre più importante a partire dai sette anni di vita del bambino, come attuazione della sconfitta edipica, ingresso nel mondo e punto di riferimento per l’esperienza religiosa; fino a quell’età la madre rimane il punto di riferimento predominante (1). Per Freud il sentimento religioso emerge in questa fase critica della vita del bambino e in relazione al padre, in quanto la sua figura risponde al bisogno di padroneggiare il pericolo e la paura: «Il motivo del desiderio ardente del padre coincide pertanto col bisogno di protezione contro le conseguenze della debolezza umana; la difesa contro l’insufficienza infantile si riflette, con i suoi caratteri, nel modo di reagire dell’adulto contro la propria fatale impotenza, si riflette cioè nella formazione della religione» (2). Questa intuizione di Freud circa l’importanza del ruolo paterno in ordine allo sviluppo del senso religioso, nel bene come nel male, è stato ampiamente confermato dagli studi successivi.

 

Un’indagine compiuta su un campione di giovani che si erano riavvicinati alla vita di fede e alla pratica religiosa mostrava come l’80% dei convertiti avevano avuto una relazione molto difficile con il proprio padre (contro il 23% dei non convertiti), da essi descritto come aggressivo e violento, assente, passivo, inaffidabile o urtante. Un terzo del campione studiato non aveva mai conosciuto il proprio padre biologico dall’età di 4-5 anni, una percentuale tre volte più alta della media statunitense del 1970 (9%) (3). Soltanto il 18% dei convertiti parlava in termini positivi della propria relazione con il padre (contro il 47% dei non convertiti). L’influsso affettivo, negativo, tribolato o assente, del padre emerge con insistenza nei racconti e indica che «questa relazione spesso gioca un ruolo importante nel tipo di trasformazioni religiose qui esaminate» (4).

 

Altre ricerche compiute su casi di conversione religiosa riportano risultati simili. Allison (5) riscontra i medesimi risultati in 4 dei 7 soggetti studiati; Deutsch, intervistando 14 convertiti, nota come gran parte di essi descriva il proprio padre in modo ostile e critico, nel contesto di un matrimonio infelice (6); in almeno 4 dei convertiti il padre era del tutto assente. La situazione si pone sostanzialmente negli stessi termini anche per le donne, riscontrando una forte connessione tra religiosità e relazione con il padre: molte esperienze di conversione religiosa presentano una sorta di attaccamento e innamoramento con una figura di padre assoluta e forte, capace di proteggere e di rassicurare (7).

 

La figura del padre per Freud è essenziale perché legata alla sconfitta edipica, da intendersi soprattutto come sconfitta dell’onnipotenza narcisistica, l’illusione di credersi il centro del mondo e che tutto sia al servizio del sé: «Il bimbo che entra nella relazione col padre, con l’uomo adulto, portatore della norma, sperimenta di non essere onnipotente, di essere vincolato a regole, a volte penose, che deve rispettare. Quest’accettazione, dolorosa, libera però dall’ansia» (8). Tutto questo era stato espresso dalle popolazioni di ogni epoca con i riti di iniziazione, l’ingresso nella fase adulta della vita e il rapporto con il trascendente, messo in evidenza simbolicamente dall’atto che il padre compie di alzare verso il cielo il proprio bambino (9).

 

La presenza del padre è dunque legata a una sofferenza, che tuttavia comporta, come nella nascita, l’unica maniera di entrare nella vita: «Questo colpo, doloroso, rende più forte chi lo riceve: quando verrà la perdita, esperienza non evitabile nella vita umana, essa non lo distruggerà psicologicamente e spiritualmente. Anzi, egli saprà trarne il succo più prezioso: l’amore. Amore per sé, amore per gli altri: entrambi si temprano nell’esperienza della perdita, non nella vanità del successo, e neppure nell’illusoria sicurezza del possesso» (10). Il padre viene chiamato a operare questo distacco, questa ferita, dalle tradizioni di ogni epoca e luogo; questo è il suo compito da sempre: se ciò non avviene, per l’assenza del padre o perché incapace di adempiere a tale compito, il bambino cresce con la tipica dinamica del bambino viziato: la mancata ferita diventa depressione, incapacità di contenimento delle proprie paure e dell’aggressività, perfino, nei casi più gravi, giunge a sprofondare nel caos della psicosi (11).

 

In tal modo il padre abilita il figlio a poter diventare a sua volta padre, proprio perché taglia simbolicamente il cordone ombelicale che lo teneva stretto alla madre (12); egli ha il compito educativo fondamentale di correggere il figlio, in modo che non si faccia del male, e ciò richiede insieme all’affetto e alla tenerezza, autorità e normatività. Si tratta di una funzione che riconduce alla relazione con Dio, come ricorda la lettera agli Ebrei (Eb 12,5-11).

 

L’importanza del padre per lo sviluppo del bambino

 

Il padre riveste dunque un ruolo fondamentale, anzitutto per la madre!, in vista della crescita e di un corretto sviluppo del bambino: «Ricerche sullo sviluppo collegano l’assenza del padre a problemi in aree della personalità come l’orientamento sessuale, l’inibizione dell’aggressione e la capacità di procrastinare la gratificazione. In questi casi ciò indica un’aumentata probabilità di conseguente delinquenza, depressione e tentativi di suicidio» (13). Gli studi compiuti in proposito riconoscono l’importanza di questo apporto anzitutto in negativo, dalle conseguenze nefaste che un padre inadeguato, assente, violento esercita sui figli: «Padri autoritari venivano associati a una bassa motivazione al successo nei figli, mentre d’altra parte una grande disponibilità e calore affettuoso del padre sembrava sostenere il rendimento accademico, l’adattamento sociale, la formazione dell’identità e l’adattamento al ruolo sessuale sia nei ragazzi come nelle ragazze» (14).

 

La psicologa Ch. Ullmann riconosce in particolare tre funzioni, non esclusive, ma certamente specifiche, del padre, per un corretto sviluppo del bambino. Egli è anzitutto espressione della norma e della regola, «nella misura in cui tende ad essere percepito dai bambini come la figura adulta più forte, il padre pone leggi e costringe con autorità, inibendo impulsi e imponendo una struttura significativa al comportamento» (15). Il padre, introducendo il limite, aiuta il bambino a padroneggiare la sua aggressività, come si è visto altrove (16).

 

Se invece il padre abbandona improvvisamente l’ambiente familiare, specie in quella fascia di età in cui il bambino tende a viversi come responsabile di ogni possibile accadimento, interno o esterno, ciò può avere pesanti ripercussioni per un sano senso della realtà, come la capacità di differenziare tra sé e l’altro da sé e soprattutto circa i limiti da porre alle sue fantasie potenzialmente infinite. Quest’ultimo elemento in particolare può diventare nocivo, portando a idealizzare il padre assente, a vivere la sua scomparsa come una punizione per le sue colpe, fino all’incapacità in età adulta di impegnarsi in scelte e relazioni stabili, a causa dell’angoscia di poter essere di nuovo abbandonato. In tal modo il padre tende a essere associato a una «onnipotenza negativa», legata alla crudeltà e alla vendetta.

 

Questi fattori, pur importanti, non vanno tuttavia intesi nel senso di una causalità determinante. Ricerche compiute sulle conversioni religiose, come abbiamo visto sopra, riscontravano maggiori percentuali di conversione religiosa proprio in persone con alle spalle relazioni problematiche e conflittuali a livello familiare, e una stima di sé molto bassa. Tutto questo non ha impedito una differente scelta quando si è avuta la possibilità di conoscere positive figure di riferimento (si pensi in proposito a sant’Agostino) (17).

 

Il secondo fondamentale compito del padre è di proteggere il bambino nel suo ingresso nella realtà esterna e di infondere fiducia così che possa affrontare e superare difficoltà confidando nelle proprie capacità. Tutto ciò è decisivo in vista di una sana ed equilibrata stima di sé. Se questo manca, sorge nel bambino la sensazione di trovarsi solo di fronte a un mondo ostile, una sensazione molto diffusa nelle esperienze dei convertiti. La figura di un padre forte ma benevolo protegge soprattutto da due pericoli: associando autorità e bontà, egli può mostrare al bambino il significato presente nelle cose; in secondo luogo insegna a riconoscere e gestire la propria aggressività. Un padre assente, inefficace o rifiutante non consente al bambino di essere all’altezza di questi due aspetti della socializzazione, spingendolo alla ricerca di strutture e protezioni. La conversione religiosa può essere un’espressione e un tentativo di soluzione di queste conseguenze di una paternità inadeguata. L’esperienza religiosa può fare questo perché fornisce norme al comportamento, inibisce gli impulsi e li inserisce in strutture adeguate.

 

Mettere limiti agli impulsi del bambino non è certamente compito soltanto del padre: molte madri lo fanno, poiché nella vita quotidiana varie funzioni possono essere svolte da entrambi i genitori. È tuttavia difficile svolgere in maniera efficace il compito di madre e padre nello stesso tempo; l’importanza della coppia si mostra anzitutto in questo aiuto dato all’altro/a a vivere la propria identità di coniuge in modo integrato, così da poter essere un buon genitore e guardarsi dal rischio, tutt’altro che infrequente, della confusione dei ruoli. Da questo punto di vista l’importanza del padre emerge ovviamente ben prima del settimo anno della vita del figlio: «Una madre può diventare tutt’uno con il figlio e a volte si sente confusa e sopraffatta quanto lui dalle emozioni. In questi momenti il padre ha un compito essenziale, che è quello di aiutare la compagna a rimanere se stessa, senza lasciarsi travolgere dalle sensazioni infantili. La può proteggere inserendosi fra lei e il bambino da cui non riesce a staccarsi, dandole il tempo di riprendersi, di riposare e di ritrovare un po’ di spazio per sé» (18).

 

Questo aiuto vicendevole evita il rischio di riversare sui figli le proprie ansie o richieste di comprensione e tenerezza, dando origine a quelle perverse diadi in cui il figlio o la figlia sono chiamati a diventare rispettivamente «vicemarito» o «vicemoglie» del proprio genitore, impedendosi di vivere la tappa infantile e di figliolanza della propria vita, due condizioni essenziali per la maturità psichica, cognitiva e affettiva. Il celebre studio di A. Miller sul costo pesante che a livello affettivo paga il bambino «dotato», cioè sensibile a cogliere i bisogni del genitore, reprimendo i propri, si inserisce in tale perversa dinamica relazionale, in cui i ruoli sono stati scambiati. Questa affettività riemerge nell’età adulta al livello in cui era stata congelata, di un adulto, diventato genitore, con una serie di richieste disattese.

 

Spesso tale situazione è all’origine dell’attrazione verso professioni legate all’ascolto e all’aiuto come la psicoterapia. La Miller descrive questa situazione problematica, riscontrata costantemente nel corso di 20 anni di professione terapeutica, ponendo in evidenza tre elementi ricorrenti: «1) era sempre presente una madre profondamente insicura sul piano emotivo, la quale per il proprio equilibrio affettivo dipendeva da un certo comportamento o modo di essere del bambino. Questa insicurezza poteva facilmente restare celata al bambino e alle persone del suo ambiente, nascosta dietro una facciata di durezza autoritaria o addirittura totalitaria; 2) a questo bisogno della madre o di entrambi i genitori corrispondeva una sorprendente capacità del bambino di percepirlo e di darvi risposta intuitivamente […]; 3) in tal modo il bambino si assicurava l’“amore” dei genitori. Egli avvertiva che di lui si aveva bisogno, e questo legittimava la sua vita a esistere» (19).

 

Mancando il padre c’è il rischio che la madre investa in maniera spropositata nella relazione con i figli, soffocandoli e perdendo le distanze, chiedendo loro di riempire l’affetto che non può ricevere da un uomo. La mamma tende così a diventare ansiosa e protettiva verso i figli, soprattutto maschi, non consentendo loro di staccarsi dal nido familiare e di iniziare a loro volta una vita autonoma. Quanto più la relazione marito-moglie è sana e affettuosa, tanto più è possibile svolgere bene il compito di padre/madre, mantenendo una distanza ottimale.

 

In caso di abbandono o separazione, la madre, specie se delusa o arrabbiata, rischia di scaricare sul figlio le proprie ferite e frustrazioni, gettando sulle sue spalle un peso troppo grande per lui (20). Il ruolo insostituibile del padre può essere in tal caso svolto da una figura vicaria; anche se la madre ha allevato da sola il figlio, per i motivi più diversi, una figura maschile rimane importante per la madre come per il figlio, per poter vivere una relazione all’insegna della non possessività affettiva, riconoscendo il bene di cui l’altro ha bisogno: «Molti bambini vengono allevati da una madre single: sono convinta che anche in tale contesto ci sia un grande bisogno di una terza persona, un adulto, in modo che la coppia madre-figlio non formi un legame troppo stretto, che rischi di ostacolare lo sviluppo» (21).

 

Il terzo fondamentale compito riconosciuto dalla Ullman, legato alla sconfitta edipica, è mostrare al bambino un’altra modalità di figura genitoriale, e ciò è importante per la capacità di vivere le relazioni all’insegna del riconoscimento della diversità, distinguendo tra sé e l’altro, senza cercare di assorbirlo a sé come nelle dinamiche proprie dell’autismo o del narcisismo. Lo sviluppo inizia con una stretta relazione con la madre, da cui il bambino è chiamato a separarsi, e per il maschio si tratta di una doppia differenziazione, dalla persona e dall’identità di genere, per questo è molto più esposto della femmina alla maggioranza delle perversioni. Il padre offre in tale processo una presenza insieme significativa e differente, favorendo il processo di separazione da un sicuro ma restrittivo legame con la madre. Il padre, avendo una relazione con il bambino meno frequente ma più varia, può favorire la consapevolezza di un corpo separato e insieme di un sé differenziato (22). Il padre rimane una figura cruciale nello sviluppo dell’identità di genere sia per il ragazzo sia per la ragazza, ma la sua presenza è di particolare importanza per il ragazzo, che ha bisogno di «disidentificarsi dalla madre» (23), imparando a viverne l’assenza in modo non angosciante.

 

L’influsso della figura paterna sulla vita di fede

 

La frequenza religiosa della famiglia gioca nel tempo un ruolo molto importante e stabile nei confronti dei figli. Alcune ricerche mostrano il legame tra la frequenza religiosa dei genitori e l’atteggiamento verso la scuola da parte dei figli, soprattutto nel periodo dell’adolescenza: «I sociologi hanno mostrato che una regolare frequenza ecclesiale da parte dei genitori è correlata con un alto senso civico, un atteggiamento caritatevole, la disponibilità a intraprendere attività di volontariato e altri gesti pubblici di grande valore nei figli. Il livello di frequenza ecclesiale è dunque oggetto di interesse civico, non meramente religioso» (24). Una situazione simile può essere riscontrata a proposito della futura pratica religiosa dei figli. Uno studio in proposito mostra che il 61% degli adulti statunitensi che frequentava la chiesa da bambini continua tuttora a frequentarla, mentre il 45% dei bambini non praticanti continua a disertarla nell’età adulta (25).

 

Questi dati sono molto vicini a un’analoga ricerca compiuta in Svizzera circa il possibile legame tra paternità e educazione religiosa: «Secondo i dati estratti dai censimenti del governo svizzero sulla popolazione della Confederazione, il fattore decisivo nel determinare il passaggio della religione alla generazione successiva è la pratica religiosa del padre di famiglia. Da essa dipende, in modo pressoché totale, se i suoi figli frequenteranno o meno la chiesa. Se il padre non va in chiesa, soltanto un bambino su cinquanta frequenterà la chiesa da adulto, indipendentemente da quanto ci va la madre. Se il padre la frequenta regolarmente, da due terzi a tre quarti dei loro figli andranno regolarmente in chiesa, indipendentemente da quanto fa la madre» (26). Va anche precisato che la crisi del padre si ripercuote naturalmente anche sulla madre, la quale spesso deve rinunciare ad alcune funzioni essenziali, di sposa, professionista o madre; la storia passata, pur con squilibri e difficoltà anche gravi, ha mostrato il ruolo essenziale della famiglia circa l’educazione e lo sviluppo cognitivo e affettivo della persona.

 

L’importanza fondamentale della famiglia anche in ordine alla rappresentazione di Dio viene ribadita a livello psicologico dagli autori più diversi, come si è visto dalle ricerche sopra ricordate: «Winnicott, interpellato sul tema dell’evangelizzazione in famiglia, rispose quasi esclusivamente parlando dell’importanza decisiva delle modalità con cui il bambino appena nato viene tenuto in braccio e viene guardato dalla sua mamma. È questione di una sorta di imprinting originario, che non verrebbe comunicato attraverso parole o pensieri ma semplicemente attraverso il modo con cui una madre tiene in braccio il proprio bambino, alla maniera in cui lo guarda, gli sorride e lo accarezza. Come a dire che una equilibrata umanità e una religiosità sana non si coltivano anzitutto attraverso chissà quali insegnamenti catechistici, ma attraverso relazioni affettivamente intense e sincere» (27).

 

Giuseppe, padre putativo di Ges√π

 

Non si può infine non ricordare quanto nella stessa Bibbia il padre risulti decisivo per la vita di fede del bambino. Si pensi, tra i molti esempi possibili, alla situazione della famiglia di Gesù; in fondo, si potrebbe obiettare, poiché Maria aveva concepito verginalmente, uno sposo e un padre non risultavano a maggior ragione inutili? Il motivo della necessità di un padre per la famiglia di Nazareth, anche se putativo, non può essere individuato soltanto dalla consuetudine del tempo o dalla garanzia di una tranquillità esteriore, elementi d’altronde ben poco presenti in questa famiglia. Il motivo è di altro tipo, e viene sottolineato con chiarezza dall’esortazione apostolica di Giovanni Paolo II dedicata alla figura di san Giuseppe. Il Papa vede in lui quel compito da sempre affidato al padre di introdurre il bambino nella realtà del mondo: «Nei Vangeli è presentato chiaramente il compito paterno di Giuseppe verso Gesù. Infatti, la salvezza, che passa attraverso l’umanità di Gesù, si realizza nei gesti che rientrano nella quotidianità della vita familiare, rispettando quella “condiscendenza” inerente all’economia dell’Incarnazione. Gli evangelisti sono molto attenti a mostrare come nella vita di Gesù nulla sia stato lasciato al caso, ma tutto si sia svolto secondo un piano divinamente prestabilito […]. Maria è l’umile serva del Signore, preparata dall’eternità al compito di essere madre di Dio; Giuseppe è colui che Dio ha scelto per essere “l’ordinatore della nascita del Signore”, colui che ha l’incarico di provvedere all’inserimento “ordinato” del Figlio di Dio nel mondo, nel rispetto delle disposizioni divine e delle leggi umane. Tutta la vita cosiddetta “privata” o “nascosta” di Gesù è affidata alla sua custodia» (28).

 

In questo testo si ritrova l’intuizione centrale che ha attraversato le riflessioni fin qui svolte a proposito del ruolo del padre all’interno della famiglia: Giuseppe esercita la sua vocazione di padre, di «assicurare la protezione paterna a Gesù» (n. 7), di «inserire il Figlio nel mondo», di custodirlo perché possa crescere, apprendere un lavoro ed essere educato nella fede. E, in quanto padre, Giuseppe è chiamato da Dio a proteggere il figlio dai pericoli. È infatti a lui che l’angelo in sogno comanda di portare il bambino lontano da Erode (cfr Mt 2,13).

 

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1 Cfr E. L. Abelin, «Some further comments on the earliest role of the father», in International Journal of Psychoanalysis 56 (1975) 293-301; W. Damon, Social and Personality Development, New York, Norton, 1983; M. E. Lamb, «Fathers: Forgotten contributors to child development», in Human Development 18 (1975) 245-266; Id., The role of the Father in Child Development, New York, Wiley, 1981; J. M. Ross, «A review of psychoanalytic contributions on paternity», in International Journal of Psychoanalysis 60 (1979) 317-326.

2 S. Freud, L’avvenire di un’illusione, in Id., Opere, vol. X, Torino, Boringhieri, 1978, 454.

3 Cfr D. B. Lynn, The Father; His Role in Child Development, Monterey, Brooks - Cole, 1974.

4 Cfr Ch. Ullman, The Transformed Self. The psychology of Religious Conversion, New York - London, Plenum Press, 1989, 45.

5 Cfr J. Allison, «Adaptive regression in intense religious experiences», in Journal of Nervous and Mental Disease 145 (1968) 452-463; Id., «Religious conversion: Regression and progression», in Journal for the Scientific Study of Religion 8 (1969) 23-28.

6 Cfr A. Deutsch, «Observations on a sidewalk ahsram», in Archives of General Psychiatry 32 (1975) 166-175.

7 Cfr Ch. Ullman, The Transformed Self, cit., 49.

8 C. Risé, Il padre. L’assente inaccettabile, Cinisello Balsamo (Mi), San Paolo, 2003, 25; su questa tematica cfr H. K. Fierz, The Father Archetype, in Junghian Psychiatry, Einsiedeln, Daimano Verlag, 1991; R. Bly, Per diventare uomini, Milano, Mondadori, 1992; D. Lenzen, Alla ricerca del padre. Dal patriarcato agli alimenti, Bari, Laterza, 1991.

9 Cfr M. Eliade, La nascita mistica, riti e simboli d’iniziazione, Brescia, Morcelliana, 2002.

10 C. Risé, Il padre, cit., 13.

11 Cfr ivi, 20-21.23.

12 Cfr G. Ventimiglia, Se Dio sia uno. Essere, Trinità, inconscio, Pisa, Ets, 2002.

13 Ch. Ullman, The Transformed Self, cit., 50.53. Cfr anche le ricerche compiute da H. Biller - D. Meredith, Father Power, New York, McKay, 1974; D. B. Lynn, The Father: His Role in Child Development, cit.

14 Ivi, 50. Cfr R. D. Enright et Al., «Parental influences on the development of adolescent autonomy and identity», in Journal of Youth and Adolescence 9 (1980) 529-546; M. Leonard, «Fathers and daughters: The significance of fathering in the psychosexual development of the girl», in International Journal of Psychoanalysis 47 (1966) 325-334; E. M. Hetherington, «Effects of father absence on personality development in adolescent girls», in Developmental Psychology 7 (1972) 313-326.

15 Ch. Ullman, The Transformed Self, cit., 50.

16 Cfr G. Cucci, Il fascino del male. I vizi capitali, Roma, AdP, 2008, 51-58.

17 Cfr le ricerche di A. Deutsch, «Observations on a sidewalk ashram», cit., 166-175; L. Kirkpatrick, «A longitudinal study of changes in religious belief and behaviour as a function of individual differences in adult attachment style», in Journal for the Scientific Study of Religion 36 (1997) 207-217; Id., «God as a substitute attachment figure», in Personality and Social Psychology Bullettin 24 (1998) 961-973; S. Atran, In God we Trust. The Evolutionary Landscape of Religion, New York, Oxford University Press, 2002, 167-169.

18 A. Philip, I no che aiutano a crescere, Milano, Feltrinelli, 1999, 47 s.

19 A. Miller, Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sé, Torino, Boringhieri, 1999, 16 s; corsivo nel testo.

20 Cfr Ch. Ullman, The Transformed Self, cit., 54 s.

21 A. Philips, I no che aiutano a crescere, cit., 48.

22 Cfr M.-E. Lamb, «The development of parent-infant attachments in the first two years of life», in F. A. Pederson (ed.), The Father-Infant Relationship, New York, Praeger, 1980; K.-A. Clark-Stewart, «And daddy makes three: The mother-father-infant interaction», in Child Development 49 (1978) 466-478; E.-L. Abelin, «Some further comments on the earliest role of the father», in International Journal of Psychoanalysis 56 (1975) 293-301; J.-M. Ross, «A review of psychoanalytic contributions on paternity», ivi, 60 (1979) 317-326.

23 Cfr R. Greenson, «Disidentifying from mother», ivi, 49 (1968) 370-374; Ch. Ullman, The Transformed Self, cit., 56.

24 J.-G. Stackhouse Jr., «Where Religion Matters», in American Outlook, Fall 2002, 40-44. Cfr C. Smith, «Research Note: Religious Participation and Parental Moral Expectations and Supervision of American Youth», in Review of Religious Research 44:4 (2003) 414-424. Cfr www.youthandreligion.org

25 G. Barna, «Adults Who Attended Church As Children Show Lifelong Effects», in www.barna.org

26 C. Risé, Il padre, cit., 34-35. Questi dati si possono trovare nelle seguenti documentazioni: W. Haug - P. Warner, «The demographic characteristics of linguistic and religious groups in Switzerland», in W. Haug et Al., Population Studies No. 31 (vol. 2): The Demographic Characteristics of National Minorities in Certain European States, Strasbourg, Council of Europe Directorate General III, Social Cohesion, 2000.

27 M. Diana, Ciclo di vita ed esperienza religiosa. Aspetti psicologici e psicodinamici, Bologna, Edb, 2004, 43 s.

28 Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Redemptoris custos, 15 agosto 1989, n. 8. Cfr Origene, Om. XIII in Lucam, n. 7.

 

© La Civiltà Cattolica 2009 III 118-127         quaderno 3818

 

Giovanni Cucci S.I.

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