Noi siamo questi due figli. Il primo, un po' crudo, proprio fuori di testa; frequenta qualche compagnia di sballati che gli cuoce il cervello. Non sa la fortuna che ha avuto; o, meglio, sa di avere un padre che si danna per fargli un gruzzolo che lo metta al riparo da ogni disgrazia e lui...
del 28 febbraio 2006
Stessa famiglia, stessi genitori, stessa educazione, eppure due figli diversi. Ognuno con il suo carattere; è vero, non sono cloni, ma il linguaggio dell’amore dovrebbero capirlo tutti e due. Allora, perché uno se ne va e sbatte la porta e l’altro presenta il conto della spesa anziché sentirsi figlio?
Se abbiamo ancora dubbi sul volto di Dio, questa storia ce ne dà un’immagine al di sopra di ogni sospetto. Ed è guardando a questo Padre, che si fa verità dentro di noi.
Noi siamo questi due figli. Il primo, un po’ crudo, proprio fuori di testa; frequenta qualche compagnia di sballati che gli cuoce il cervello. Non sa la fortuna che ha avuto; o, meglio, sa di avere un padre che si danna per fargli un gruzzolo che lo metta al riparo da ogni disgrazia e lui…: Tu lavora e fa i soldi, tanto è a me che devi lasciarli, anzi dammeli subito! Delle fatiche, dei sogni, delle attenzioni del padre non si cura: dei  soldi di lui, sì.
Quando sarà scattato questo disegno perverso? Quando ha preso la prima bustina di droga? Ma perché l’ha presa, se qui aveva tutto? È il mistero della libertà che Dio rispetta fino in fondo rischiando il dolore di un tradimento, di una perdita, di un’offesa. E gli mette in mano il frutto della sua fatica, sicuro che è una bomba ad orologeria che presto gli scoppierà in mano.
L’altro figlio invece è nei campi, tranquillo. Ma anche lui nasconde un tradimento all’amore del Padre: si sente servo, non figlio. È attaccato all’eredità, non al padre, ai vitelli e al premio, non allo stare con il padre. Quel che passa nel cuore del papà gli è estraneo. Non riesce a capire perché si preoccupi tanto del fratello lontano, perché invecchi precocemente nell’aspettarlo.
Tutto scoppia al ritorno del fratello. Ma che giustizia è questa? Il piccolo torna a spartire di nuovo e il mio sudore, stavolta. Il padre corre da un figlio all’altro: da quello fatto schiavo di ogni cattiveria che si adatta a fare il salariato e non ha ancora capito che il padre è amore, all’altro che si sente solo un salariato, e vuol solo i suoi beni e ha solo rimandato la decisione di prendersi l’eredità. Da una parte si rimargina una ferita, dall’altra si apre una voragine. Non c’è pace per chi decide di amare! L’amore non fa quadrare i bilanci di giustizia, li supera.
Il primo figlio è tornato; il secondo avrà il coraggio di accoglierlo, di scaricare la sua rabbia, ma alla fine di abbracciarlo?
No purtroppo: non lo chiama fratello, ma: “questo tuo figlio”; proprio come i figli talvolta sentono in casa: guarda tuo figlio che ha combinato.
Anche noi per Dio, siamo figli e non servi o salariati. Lo sappiamo quando chiamiamo vigliaccheria i nostri comportamenti improntati alla moda. Quando ci diamo una calmata e ci stacchiamo da una vita viziosa, piena di avventure che fanno male a tutti. Quando abbiamo il coraggio di smascherare i sentimenti di buonismo che nascondono solo idolatria; ma tutto questo lo sapremo fare se scopriremo di avere un padre da accogliere.
mons. Domenico Sigalini
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