Messaggio di Chiara Lubich, fondatrice del Movimenti dei Focolari - di Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio - di Kiko Arg√ºello, fondatore del Cammino Neocatecumenale - di Don Juli√°n Carr√≥n, Presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione - di Lu√≠s Fernando Figari, fondatore del Movimiento de Vida Cristiana - di Patti Gallagher Mansfield, testimone degli inizi del Rinnovamento Carismatico Cattolico.
del 03 giugno 2006
MESSAGGIO DI CHIARA LUBICH, FONDATRICE DEL MOVIMENTI DEI FOCOLARI, A NOME DEI MOVIMENTI ECCLESIALI E DELLE NUOVE COMUNITÀ
 
Beatissimo Padre,
mi rivolgo a Lei a nome di tutti i Movimenti e delle Nuove Comunità ecclesiali rappresentati in questa Piazza.
E' innanzitutto la nostra viva e profonda gratitudine che Le vogliamo esprimere, Santità, per averci nuovamente convocati e radunati tutti insieme qui al Soglio di Pietro, attorno a Lei.
Come non ricordare in questo giorno l'amatissimo Suo Predecessore, il Santo Padre Giovanni Paolo II e il nostro memorabile incontro con Lui la vigilia della Pentecoste 1998?
In quel giorno Egli ci aveva preannunciato che si apriva dinanzi a noi 'una tappa nuova: quella della maturità ecclesiale'. 'La Chiesa - aveva detto - si aspetta da voi frutti 'maturi' di comunione e di impegno' .
Queste Sue parole, con le altre, mediante le quali Egli aveva definito il nostro posto nella Sposa di Cristo come un’espressione significativa della dimensione carismatica della Chiesa, co-essenziale a quella istituzionale , erano state per noi di comprensione e riconoscimento, ma anche di grande responsabilità. Vogliamo essere degni di una tale fiducia.
In quell'occasione, d'accordo con altri fondatori, avevo promesso al Santo Padre Giovanni Paolo II che ci saremmo impegnati per incrementare la comunione tra i Movimenti e le Nuove Comunità.
Oggi possiamo dire che l'amore vicendevole e l'unità tra tutti sono cresciuti oltre ogni nostra previsione.
Le nostre Comunità, infatti, e i nostri Movimenti ci appaiono come tante reti di amore che Dio sta tessendo nel mondo, quasi ad anticipare - a livello di laboratorio - in continuità con l'opera mirabile degli Ordini e delle Congregazioni religiose, l'unità della famiglia umana.
E la nostra gratitudine incommensurabile va a Colui che avvertiamo essere il vero Protagonista della fioritura dei nostri Movimenti: lo Spirito Santo che ci ricolma sempre dei Suoi doni.
Egli è all'opera nella nostra epoca e continua la Sua azione nei secoli a favore della Chiesa che, edificata 'sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti' (Ef 2,20), è lievito della civiltà dell'amore.
A Lei, Santità, vogliamo assicurare che la collaborazione e la comunione tra i Movimenti e le Nuove Comunità continuerà, affinché, nella piena comunione ed obbedienza con Lei e con i Pastori della Chiesa, si lavori per l'attuazione degli stessi scopi voluti da Gesù, prima di tutto: l'unità.
E la nostra amata Chiesa sarà più una, più famiglia, più accogliente, più bella nella sua varietà. Ella testimonierà Cristo nelle sue molteplici prerogative e Maria, la Madre di Dio, la carismatica per eccellenza.
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1. Agli appartenenti ai movimenti ecclesiali e alle nuove comunità nella vigilia di Pentecoste, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XXI (1998) 1, Città del Vaticano 2000, 1120-1122.
2. Cf. Messaggio di Giovanni Paolo II ai partecipanti al congresso mondiale dei movimenti ecclesiali (Roma, 27-29 maggio 1998).
 
 
COMMENTO AL SALMO 112 DEL PROF. ANDREA RICCARDI, FONDATORE DELLA COMUNITÀ DI SANT'EGIDIO
 
Padre Santo, Padri ed amici tutti,
pregare con i Salmi alla Veglia di Pentecoste presso la tomba dell’apostolo Pietro è un’occasione spirituale di cui Le siamo tanto grati, Padre Santo. I Salmi sono preziosi per noi che non sappiamo pregare: dono di un alfabeto con cui rivolgersi al Signore. Egli, con la sua Parola, ci insegna a pregare: “Lodate, servi del Signore, lodate il nome del Signore”. Laudate pueri: chi prega, a qualunque età, trova il cuore del bambino. Grida il nome del Signore, come un bambino che, al buio, cerca sua madre. In questo c’è un insegnamento per noi, nuove Comunità e Movimenti: “se non vi convertirete e non diventerete come bambini…” (Mt 18,3). Un carisma fruttifica con la preghiera e con il cuore da bambini. Perché è dono!
“Dal sorgere del sole al suo tramonto”. L’apostolo esorta: “pregate incessantemente” (1 Tes 5,17). Senza sosta: com’è possibile? Siamo laici, immersi nelle cose del mondo: attratti e distratti da esse. Ma la preghiera non solo è possibile, ma necessaria. Dice Gesù: “senza di me non potete far nulla” (Gv 15, 5). E’ vero. Rivedo tanti momenti: le tempeste, le fragilità, la disperazione, la banalità stolida del peccato, il male o miserie troppo grandi. Senza la preghiera ci saremmo rassegnati. Posso dirlo almeno per me, per i miei amici di Sant’Egidio.
Più passa il tempo e più sentiamo di dover pregare. La vita comunitaria è scuola di preghiera per tutti, giovani e anziani: “Sia benedetto il nome del Signore, ora e sempre”. La preghiera è il tessuto in cui il carisma non si spegne né si svuota nell’orgoglio, ma fruttifica. Perché il carisma è un dono, non un’utopia, un’ideologia, un progetto di potere.
Lungo gli anni abbiamo visto accendersi e spegnersi le stelle delle utopie che promettevano un mondo nuovo; abbiamo visto crescere, d’altra parte, la rassegnazione, indifferente al dolore altrui, arrendevole ad un mondo vecchio. Ma la Parola di Dio, la liturgia, la preghiera ci hanno formato ad altro sentire: un amore tenace e paziente. E’ l’amore di Gesù, dono di Pentecoste, fondamento di ogni carisma, che si comunica ai nostri cuori grazie allo Spirito.
Il Salmo canta Dio, “eccelso su tutti i popoli”. I pii ebrei lo immaginavano oltre i cieli: “più alta dei cieli è la sua gloria”. Distante dalle miserie della terra. Nel nostro mondo crescono le distanze (tra grandi e piccoli, tra popoli e civiltà): grandi distanze preparano nel disprezzo i conflitti. Invece Colui che è veramente distante dal nostro mondo meschino, è il più vicino: “Chi è pari al Signore nostro Dio che siede nell’alto e si china a guardare nei cieli e sulla terra?”. L’Eccelso si china. E’ scritto in tante pagine della Scrittura: “In luogo eccelso e santo io dimoro, -dice Isaia (57,15)- ma sono anche con gli oppressi e con gli umiliati, per ravvivare lo spirito degli umili e rianimare il cuore degli oppressi”.
Le vite umane non scorrono dimenticate, solo sotto gli sguardi indifferenti della gente. Dice il Salmo 11: “Le sue pupille scrutano ogni uomo”. Dio non è distratto o indifferente. I suoi occhi squarciano l’indifferenza. Gesù, tante volte, guarda gli uomini nel loro dolore, perfino Pietro dopo che lo ha rinnegato. L’Eccelso si china e guarda. Questo non lascia uguale la vita degli uomini e delle donne. Il Salmo lo canta in due piccoli ma efficaci quadri: il povero e la sterile.
Il povero. Chi conosce le periferie del mondo, ha visto spesso mucchi di immondizia, su cui talvolta giocano i bambini. Ha camminato per vie polverose. Penso all’Africa. Ma ho in mente anche i poveri la cui casa è un mondezzaio; gli anziani abbandonati; chi vive nelle carceri. Così è una buona parte del mondo. Ma gli uomini non vedono né si chinano. Dio invece non è indifferente: “Solleva l’indigente dalla polvere, dall’immondizia rialza il povero, per farlo sedere tra i principi, tra i principi del suo popolo”. Il povero, rialzato, siede con dignità tra i principi. Questi, se non tengono conto del povero, possono diventare un’assemblea di malvagi.
E’ un mondo capovolto dall’amore. Avviene: lo abbiamo visto. Non è un’utopia. Nasce dall’amore paziente e tenace che Dio effonde nei cuori. Dio ascolta il lamento dei poveri: “Tu sei sostegno del misero, sostegno al povero nella sua angoscia, riparo dalla tempesta, ombra contro il caldo…” (Is 25,4).
La sterile. Non siamo condannati alla sterilità del vivere per se stessi. La sterile del Salmo ricorda le vite sterili: donne della Bibbia, ma anche uomini di oggi, ricchi di risorse, ma incapaci di dare vita. C’è un mondo di gente ricca e sterile. Anche su di loro si china il Signore: “Il Signore dal cielo si china sugli uomini” (14,2). Si china su di noi. Lo si vede in Gesù: “Non un inviato né un angelo, ma egli stesso li ha salvati; con amore e compassione, li ha riscattati” (Is 63,9). E’ la Pasqua che abbiamo celebrato.
Oggi cantiamo la fecondità della vita nello Spirito: “fa abitare la sterile nella sua casa quale madre gioiosa di figli”. Vale per tanta gente ricca e sterile. E’ ora la gioia di questa sera, di noi ricchi e sterili, resi umili e fecondi, padri di figli in questa bella casa senza mura, eppure stranamente tanto fraterna e intima.
Noi, Comunità e Movimenti, siamo gente sterile che, grazie all’amore del Dio che si china, abbiamo ricevuto un carisma fecondo. Ora abitiamo gioiosi con figli nella Chiesa. Oggi con Lei Padre Santo, con i Vescovi, con voi tutti. Oltre i presenti, ci sono altri in questa piazza stasera: un grande “popolo di umili e di poveri” –dice Sofonia (3,12). Ci sono tanti poveri risollevati dall’amore di questi umili che siamo noi.
E’ l’originale alleanza dei poveri e degli umili, che vive nella Chiesa, frutto dello Spirito. Si celebra quanto Lei, Padre Santo, ha scritto nella sua enciclica: “amore di Dio e amore del prossimo si fondono insieme”.
Giovanni Crisostomo, vescovo in tempi difficili, diceva: questo Salmo invita all’accordo della preghiera. Infatti esige carità e stima tra noi. Siamo diversi, ma non distanti: chiamati da Lei, Padre Santo, a comunicare con più amore e forza questo Vangelo. Così ringraziamo il Signore con l’Alleluja che apre e chiude il Salmo. Nella nostra debolezza, siamo rivestiti da una forza dall’alto. Per questo diciamo: “chi è pari al Signore nostro Dio?”.
 
 
COMMENTO AL SALMO 146 DI KIKO ARG√úELLO, FONDATORE DEL CAMMINO NEOCATECUMENALE
 
Carissimo Padre,
grazie per l’occasione che mi si offre di dire una parola.
Abbiamo ascoltato il Salmo 146 nel quale siamo invitati a lodare Dio perché “Il Signore ricostruisce Gerusalemme”.
Gerusalemme e sopratutto il suo Tempio, è stato ricostruito da Zorobabele e Giosuè, un laico e un sacerdote.
Prima, Mosè e Aronne, poi Pietro e Paolo che sono i due testimoni di cui parla l’Apocalisse, possiamo dire: carisma e istituzione. Carisma e istituzione, uniti sono co-essenziali alla missione della Chiesa, ha detto papa Giovanni Paolo II nella Pentecoste del 1998.
In riferimento alla festa di Pentecoste che oggi celebriamo, Papa Giovanni Paolo II, al Simposio dei vescovi Europei, nell’anno 1986 ha detto: “Per realizzare un'efficace opera di evangelizzazione dobbiamo ritornare a ispirarci al primissimo modello apostolico. Tale modello, fondante e paradigmatico, lo contempliamo nel Cenacolo: gli apostoli sono uniti e perseveranti con Maria in attesa di ricevere il dono dello Spirito. Solo con l'effusione dello Spirito comincia l'opera di evangelizzazione. Il dono dello Spirito è il primo motore, la prima sorgente, il primo soffio dell'autentica evangelizzazione. Occorre, dunque, cominciare l'evangelizzazione invocando lo Spirito e cercando dove soffia lo Spirito (cfr. Gv 3,8). Alcuni sintomi di questo soffio dello Spirito sono certamente presenti oggi in Europa. Per trovarli, sostenerli e svilupparli bisognerà talora lasciare schemi atrofizzati per andare là dove inizia la vita, dove vediamo che si producono frutti di vita «secondo lo Spirito»...”.
Questo lo ha detto ai vescovi europei dopo aver parlato della distruzione della famiglia e della secolarizzazione dell’ Europa, affermando che lo Spirito Santo ha già dato la risposta. Sta dando la risposta: eccoci Santo Padre, ecco i nuovi carismi, le nuove realtà che lo Spirito Santo suscita in aiuto ai preti, alle parrocchie, ai vescovi, al papa. “Il Signore ricostruisce Gerusalemme”.
La Chiesa è sempre in combattimento contro la bestia. Solo una fede adulta, nei cristiani che portano nel loro corpo il morire di Gesù, salverà il mondo. Ma quanto è difficile, Santo Padre, che le istituzioni capiscano che hanno necessità dei carismi! Ecco che abbiamo bisogno che si attui la ecclesiologia del Vaticano II, una ecclesiologia di comunione, della Chiesa come corpo. In definitiva è l’attuazione del Concilio Vaticano II che ci urge oggi più che mai, così si capisce come il Papa Giovanni XXIII nella Costituzione Apostolica “Humanae salutis” (1961) con cui indiceva il Concilio esordiva dicendo: “La Chiesa oggi assiste ad una crisi in atto della società. Mentre l’umanità è alla svolta di un’era nuova, compiti di una gravità e ampiezza immensa attendono la Chiesa, come nelle epoche più tragiche della sua storia. Si tratta di mettere a confronto con le energie vivificanti e perenni dell’evangelo il mondo moderno”. Il Papa Giovanni XXIIImo seppe profetizzare quello che ci sommerge oggi “una era nuova”, la postmodernità, l’ateismo visibile. Noi dovremmo capire che solo l’Agnello sgozzato vince la bestia e perchè i cristiani diventino questo agnello hanno bisogno dei carismi, hanno bisogno di una fede adulta, della iniziazione cristiana: ecco la missione del Cammino neocatecumenale.
Termino Santità dicendo che il Cammino neocatecumenale, insieme a tanti altri che oggi sono qui presenti in questa piazza, sono il segno della attuazione di questo Salmo: “Il Signore ricostruisce Gerusalemme”.
Spero che tale fatto, in questo vespro mirabile della Pentecoste del 2006 sia per Lei e per tutti noi di grande consolazione.
 
 
 
INTERVENTO DI DON JULIÁN CARRÓN, PRESIDENTE DELLA FRATERNITÀ DI COMUNIONE E LIBERAZIONE
 
«Il vero protagonista della storia è il mendicante: Cristo mendicante del cuore dell’uomo e il cuore dell’uomo mendicante di Cristo». Con queste parole don Giussani terminò, otto anni fa, il suo intervento proprio qui, in Piazza San Pietro, inginocchiato davanti a Giovanni Paolo II. Noi oggi ritorniamo come mendicanti, ancora più desiderosi di Cristo, stupiti di come Cristo ha continuato a mendicare il nostro cuore.
 
1. ¬´Grandi e mirabili sono le tue opere,
o Signore Dio onnipotente;
giuste e veraci le tue vie, o Re delle genti!» (Ap 15,3)
Anche noi possiamo dire, come i martiri dell’Apocalisse dopo aver visto la Sua vittoria: «Grandi e mirabili sono le tue opere, o Signore Dio onnipotente». Quali sono le opere che ci fanno cantare? La risurrezione di Cristo che, per opera dello Spirito Santo, ci ha afferrato nel battesimo, facendoci diventare “suoi”.
La vittoria di Cristo ci fa esultare di gioia e di gratitudine nel vedere come Lui, prendendo tutta quanta la nostra umanità, la porta a una pienezza senza paragone, spingendoci a non vivere più per noi stessi, ma per colui che è morto e risorto per noi (cfr 2Cor 5,14-15). È nella carne, in mezzo alle vicende della vita, che a noi viene data la grazia di vivere questa novità: «Pur vivendo nella carne, io vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,20). Lo stupore dell’amore di Cristo per ognuno di noi domina la nostra vita, perchè «non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). È così che abbiamo sperimentato «la potenza della sua risurrezione» (Fil 3,10).
Questa è la sconfitta del nulla che sempre incombe su ogni uomo, e che tante volte gli fa dubitare ci sia una risposta che corrisponda alle esigenze di verità, di bellezza, di giustizia, di felicità del suo cuore, perché niente è in grado di affascinarlo totalmente per molto tempo. Infatti, «senza la resurrezione di Cristo c’è solo un’alternativa: il niente». In Cristo risorto, invece, vediamo la vittoria dell’Essere sul nulla, e perciò il ridestarsi in noi dell’unica speranza che non delude (Rm 5,5).
L’incontro con il carisma di don Giussani, nel grande alveo della Chiesa, ci ha fatto diventare Cristo sempre più familiare, più che nostro padre e nostra madre, fino a far sorgere in noi la domanda: «Chi sei Tu, Cristo?», secondo lo stesso metodo che ha condotto i discepoli dall’esperienza dell’incontro con l’umanità di Cristo alla grande domanda circa la sua divinità. In questo modo noi, battezzati, ci siamo immedesimati con Cristo (cfr Gal 3,27). Questo è il fascino inattaccabile del cristianesimo: esso ci fa partecipare a un avvenimento che prende tutto il nostro io e ci riprende ogni volta che veniamo meno, come è accaduto ai discepoli di Emmaus, che dicevano commossi: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino?» (Lc 24,32). Così, alla luce dei doni dello Spirito, la realtà intera e tutta la vita testimoniano la ragionevolezza della fede in Cristo, destino e salvezza del mondo.
 
2. «Chi non temerà il tuo nome,
chi non ti glorificherà, o Signore?
Tu solo sei santo!» (Ap 15,4)
È l’imponenza del Suo amore che risplende nelle Sue opere a rendere facile il riconoscimento del Signore. Come fu per il popolo d’Israele, che davanti alla mano potente di Dio, «temette il Signore e credette in lui» (Es 14,31). Basta che la nostra libertà ceda e, come Sua Santità ci ha mirabilmente ricordato nella Sua enciclica, si lasci coinvolgere da Cristo nella «dinamica della sua donazione» a noi (Deus caritas est, n.13). Questa donazione arriva nella persona di Gesù Cristo a un «realismo inaudito» (n.12): il Dio incarnato diventa un’attrattiva così vincente che «ci attrae tutti a sé» (n.14). L’uomo che lo incontra lo trova talmente corrispondente all’attesa del cuore, che non esita a esclamare davanti al manifestarsi della bellezza della sua santità: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6,68-69).
Ma, come lo stesso Pietro, tante volte noi avvertiamo anche tutto il dramma della umana libertà che, invece di aprirsi fiduciosa nel riconoscimento stupito e grato del Signore presente, può chiudersi nella pretesa orgogliosa di autonomia o nello scetticismo, fino alla disperazione, di fronte alla propria impotenza e all’imponenza del male. Ma come Sua Santità ci ha ancora richiamato nell’enciclica, la santità di Dio si mostra come amore appassionato per il suo popolo, per ogni uomo, amore che nello stesso tempo perdona (cfr Deus caritas est, n.10). Tutta la fragilità dell’uomo, il suo tradimento, tutte le brutte possibilità della storia sono attraversate da quella domanda posta a Pietro in quell’alba sul lago: «Mi ami tu?» (Gv 21,17). Attraverso questa domanda, semplice e definitiva, la santità unica di Dio rivela nell’umanità di Cristo la sua inconcepibile e misteriosa profondità: Dio è misericordia. In essa l’uomo, ciascuno di noi, è ricreato nella verità della sua dipendenza originale, e la libertà rifiorisce come adesione umile e lieta, piena di domanda: «Sì, Signore, tu sai tutto, tu sai che ti amo» (Gv 21,17). In questo “sì” libero della creatura, dentro a ogni circostanza della vita, si riverbera e opera la gloria di Dio: «Gloria Dei vivens homo» (Sant’Ireneo, Adversus Haereses, IV,20,7)). La gloria di Dio è l’uomo che vive.
 
3. ¬´Tutte le genti verranno, Signore,
davanti a te si prostreranno,
perché i tuoi giusti giudizi si sono manifestati» (Ap 15,4)
Il giudizio dell’Apocalisse ci svela la verità dell’ultimo giorno, quando tutti verranno e si prostreranno nel riconoscimento che Gesù è il Signore, e Cristo sarà definitivamente «tutto in tutti» (Col 3,11). Questo giudizio luminoso non è contraddetto da un mondo che sembra allontanarsi da Dio. Ma la drammatica situazione in cui viviamo rende più bruciante la struggente domanda di Cristo: «Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,8).
Rispondere a questa domanda ci fa diventare più consapevoli della portata di questo incontro. Il nostro radunarci oggi intorno a Pietro ci rende certi che quel compimento finale vive nell’appartenenza alla Chiesa, al «piccolo gregge», anticipo e caparra della manifestazione finale. Ma, allo stesso tempo, ci strugge l’urgenza del compito a cui siamo chiamati. Come nella prima Pentecoste, anche noi siamo stati scelti, chiamati per diventare testimoni della bellezza di Cristo davanti a tutte le genti. Che semplicità di cuore ci vuole per lasciarci plasmare da Cristo così da far splendere di novità tutta quanta la nostra vita quotidiana, dal lavoro alla famiglia, dai rapporti alle iniziative! Soltanto una cosa potrà destare in coloro che incontreremo il desiderio di venire con noi a prostrarsi davanti al Signore: il vedere realizzarsi in noi la promessa di Cristo che chi lo segue avrà il centuplo quaggiù (Mc 10,29-30).
 
 
INTERVENTO DI LUIS FERNANDO FIGARI, FONDATORE DEL MOVIMENTO DI VITA CRISTIANA
 
In questa festa di fede vorrei condividere, Beatissimo Padre, l’intensa esperienza suscitata in me dalla meditazione del passo della Scrittura che dice: “Sono alla porta e busso, se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre, entrerò nella sua casa e cenerò con lui e lui con me” (Ap. 3,20). Il Signore Gesù si presenta come colui che chiede di essere accolto, bussa rispettosamente alla porta del cuore e chiede di essere ammesso per entrare nell’ambito dell’esistenza personale. Che umiltà quella del Signore! Il suo amore misericordioso non conosce limiti! Chiama insistentemente l’intimità di ciascuno e chiede di essere ascoltato. Che fedele perseveranza! Si scopre una finalità escatologica, però la sua dinamica inizia qui in questa terra con la chiamata di Gesù. Ascoltare e aprire al Signore è incontrare Lui, è serbare la Parola, è farsi partecipe del suo amore trasformante. Colui che risponde secondo quello che dice la Vergine Maria a Cana “Fate quello che Lui vi dirà”, ascolta e obbedisce a Cristo, e si apre anche al Padre, che viene a dimorare in lui. La cena ci parla della comunione alla quale siamo invitati, però anche del cammino in comunione e amicizia con Gesù. Penso che questa sia una di quelle magnifiche sintesi che ci offre la Scrittura per incoraggiarci a percorrere il sentiero verso l’incontro pieno e definitivo.
Il Verbo eterno fatto uomo nell’immacolata Vergine Maria per redimere gli esseri umani viene ad incontrare ognuno di noi per introdurci nel meraviglioso dono della riconciliazione con Dio, con se stesso, con il prossimo, con la creazione tutta. Egli ci chiama con amorevole insistenza a vivere la vita cristiana in ogni momento, ci insegna con la sua luminosa presenza tra di noi ad essere persone secondo il piano di Dio, in Lui si rivela la nostra identità più profonda, risponde alle domande esistenzialmente più urgenti che l’essere umano si pone.
Oggi siamo di fronte a un mondo che si chiude alla voce e alla luce di Cristo. La Chiesa, Ecclesia Sua, cerca con amore di illuminare e dare calore agli esseri umani. Come le fiamme di fuoco di Pentecoste, anche oggi il fuoco dello Spirito cerca incessantemente di illuminare le menti, infiammare i cuori, irradiare la vita. Perciò il Signore Gesù bussa alla nostra porta ed invita gli uomini e le donne di oggi ad una risposta libera.
Ogni epoca ha le sue oscurità; sono le sfide di quella epoca. Le crisi personali, la rottura tra la fede e la vita, il secolarismo asfissiante, il relativismo, l’agnosticismo funzionale, la perdita dell’identità cristiana, l’egemonia della superficialità e della routine, l’incomprensione di ciò che significa la realizzazione umana secondo Dio, nuove e vecchie ideologie e psicologismi che allontanano l’uomo dalla sua strada, la massificazione, le ingiustizie, il flagello della povertà, la violenza, sono tutte voci che molte volte senza saperlo aspettano una risposta autentica di amore, che porti pace e riconciliazione alle persone e ai popoli. Questo è un grido al Signore Gesù! Perché soltanto Egli è la risposta alle rotture e inquietudini dell’essere umano!
Lo Spirito che adombrò la Vergine nell’annunciazione-incarnazione, Colui che con la manifestazione di ardenti lingue di fuoco toccò le menti e i cuori a Pentecoste, è lo stesso che ha suscitato una ondata di movimenti ecclesiali e altre comunità di fedeli per vivere la vita cristiana, per annunziare al mondo che Cristo è reale, che riconcilia l’uomo e gli mostra la sua identità, invitandolo all’amore e alla comunione, a partecipare della natura divina. E’ Dio che viene in ausilio degli esseri umani e, come in tante altre occasioni della nostra bimillenaria storia, suscita nel seno della Chiesa movimenti che, mostrando la ricchissima pluralità ecclesiale, contribuiscono nella comunione con Pietro e sotto Pietro alla grande missione della chiesa: annunciare il Signore Gesù al mondo, invitando alla trasformazione dell’uomo e delle realtà terrene secondo il piano divino.
Beatissimo Padre con immensa gratitudine e coraggio, i membri dei movimenti ecclesiali e nuove comunità dobbiamo sentirci, malgrado la nostra fragilità, spinti ad un impegno più grande nella Nuova Evangelizzazione, ravvivando l’impeto per la coerenza e per l’ardore di testimonianza nella Chiesa, cercando nuovi e audaci metodi ed espressioni per annunciare Cristo e i suoi insegnamenti, attraverso l’esperienza di chi ha ascoltato la sua chiamata, ha udito la Sua voce e si è aperto a Lui in un incontro vitale, dando testimonianza, secondo ci sia concesso dallo Spirito, della fede, della speranza e della carità fino ai confini della terra in tutte le realtà dell’umanità.
 
 
PAROLE DI RINGRAZIAMENTO AL SANTO PADRE DI PATTI GALLAGHER MANSFIELD, TESTIMONE DEGLI INIZI DEL RINNOVAMENTO CARISMATICO CATTOLICO
Address of Patti Gallagher Mansfield to the Holy Father
 
Dear Holy Father,
With all our hearts we thank you for inviting us to meet with you on this glorious feast of Pentecost. We are your sons and daughters; we are sons and daughters of the Church, children of Mary, and we are the fruit of the Second Vatican Council.
Holy Father, I was given the grace, in February 1967, at a retreat for students from Duquesne University, to experience the baptism in the Holy Spirit, which is at the origin of the Charismatic Renewal.
Every movement and community has its own special history, but in each one exists this same reality: “The love of God has been poured into our hearts through the Holy Spirit who has been given to us” (Rm. 5:5).
Holy Father, thank you for loving us. Thank you for your constant support and encouragement. Thank you for saying that you are a friend of the movements and that we are a sign of the New Springtime. We want to return love for love. Jesus said, “If you love me, keep my word” (cf. Jn. 14:23), and we stand ready to receive your word, Holy Father, and to follow your direction.
We love you, Holy Father. St. Catherine of Siena called the Pope of her day, “Daddy, the sweet Christ on earth.” We echo her tenderness and affection today by calling you, Pope Benedict XVI, “the sweet Christ on earth” for us. We place ourselves in full availability to your service in the New Evangelization. For it is not ourselves that we preach - not our movements, our communities, nor our works - no, it is not ourselves that we preach, but Jesus Christ as Lord and ourselves as your servants for Jesus’ sake (cf. II Cor. 4:5).
You have cried out to the Church and the world: “Deus Caritas Est!” May we join you in proclaiming that Jesus Himself is indeed the pearl of great price and the treasure hidden in the field worth giving up everything else to possess (cf. Mt.13:46).
Thank you, Holy Father, for calling us here to the heart of the Church, for it is here that we discover the vocation we share as ecclesial movements and new communities. Our vocation is love! Today we make our own the words of St. Thérèse of Lisieux, “In the heart of the Church, our Mother, we will be love!”.
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