C'è una forte relazionalità, secondo me, nelle culture giovanili attuali. C'è una grande attenzione a chi sono io, ma anche a quali sono le relazioni che io posso stabilire con gli altri. C'è questa idea del tempo che è un insieme di storie che si intrecciano, che in qualche maniera hanno bisogno di conciliarsi, di rendersi complementari...
del 04 ottobre 2005
 
 
 
 
 
Offrirò in questo articolo degli spunti di riflessione sulla condizione giovanile, leggendo le principali ricerche sui giovani attraverso il tema del tempo libero. Non presenterò delle statistiche, anzi vorrei prescindere dai dati e dalle percentuali. Il primo flash che vorrei proporre è l'importanza quantitativa del tempo libero. Mi soffermo poco su questo, perché in fondo la quantità non è poi così rilevante. Nelle società tecnologicamente avanzate come la nostra, il tempo di lavoro in linea di massima si contrae. Il tempo che così risparmiamo confluisce o nei cosiddetti tempi «morti» (le attività domestiche, i trasporti, ecc.) o nel tempo libero. E' evidente che, per una serie di ragioni, il tempo libero aumenta soprattutto per quanto riguarda le fasce giovanili.
In particolare, vista la sua importanza quantitativamente crescente, se ne moltiplicano le offerte e assistiamo così ad una pluralità sempre più ampia di occasioni di tempo libero.
Mi sembra comunque che per i nostri scopi sia pi√π rilevante l'importanza qualitativa del tempo libero. In particolare vorrei porre in rilievo i significati che i giovani sembrano attribuirgli: i significati, o meglio, le attese, le aspirazioni dei giovani nei confronti del tempo libero.
Non analizzo i comportamenti concreti dei giovani, anche perché empiricamente è di grande difficoltà rilevarli. E' un po' più facile riuscire a sondare attese, aspirazioni che in quanto tali mi sembra siano sostanzialmente di natura ottimista: l'attesa è verso un qualche cosa che è migliore rispetto ad una situazione presente.
Quindi io darò un taglio ottimista a questa mia esposizione, perché penso che sia anche la base di una prospettiva educativa. Propongo le mie riflessioni, considerando due dimensioni insite nei termini di tempo libero: la dimensione del tempo e la dimensione della libertà:  quindi i vari significati che queste due dimensioni assumono relativamente al tempo libero.
 
 
La dimensione temporale
 
Un primo significato che mi sembra essere attribuito dai giovani al tempo libero è la sua accezione come tempo del presente. Soprattutto in un momento di crisi delle matrici culturali del passato e anche di crisi dei progetti futuri, nelle culture giovanili si dilata la dimensione del presente. Garelli parla della «generazione della vita quotidiana», già nel libro dell'84. Il presente non viene concepito né come erede del passato né come responsabile del futuro. In queste rappresentazioni giovanili, quindi, viene a smarrirsi una linearità rigida che leghi queste tre fasi, passato, presente e futuro. Non si registra un itinerario fisso che invece, nel passato, si rifletteva di più nella biografia di ciascuno, per cui c'era una prima fase che era la fase del gioco, poi la fase del lavoro, poi la fase del riposo.
Questo anche, in qualche maniera, all'interno di una singola giornata. Queste rigide distinzioni tendono a sfumarsi all'interno di uno scenario nel quale il presente assume una dimensione sempre più rilevante. Sfumandosi questi contorni (gioco, lavoro, riposo), quello che emerge agli occhi dell'osservatore è il fatto che non esistono più questi confini rigidi, per cui vi è un atteggiamento di nomadismo: si passa da un'appartenenza all'altra, si varcano più volte questi confini, vi è una mobilità, una cultura «on the road», senza orario e senza bandiera. Ciò è evidente proprio nella dimensione del tempo libero. La dimensione del tempo libero e del presente, insomma, è una dimensione senza orario e senza bandiera.
Un secondo significato che possiamo attribuire al tempo libero, sempre nella sua dimensione temporale, è il tempo libero come sospensione del tempo (almeno del tempo sociale), cioè dei ritmi imposti dalla società. Allora il tempo libero è il tempo «per me», è il tempo che io posso dedicare, per quanto è possibile, alla riflessività. Tra l'altro, pare che le nuove generazioni siano particolarmente riflessive rispetto al luogo comune per cui, invece, sarebbero tutti «superficialoni». Vi è una riflessività che si esprime soprattutto in questo tempo che viene sospeso, in questa paura, per la quale vi è una forte attenzione nelle nuove generazioni. E' il tempo, inoltre, della preghiera, malgrado altri luoghi comuni (giovani secolarizzati e scristianizzati) sostengano il contrario. Si riscopre che la dimensione della preghiera vissuta quotidianamente, che si ritaglia entro l'ambito del tempo libero, è un'attività, un'iniziativa frequente. Se il tempo viene vissuto con fastidio, come un processo irreversibile, come una risorsa scarsa, cercare di fermarlo costituisce allora un accrescimento delle risorse, una ricchezza esistenziale. Se il tempo nel suo scorrere brucia alcune possibilità, allora bisogna fermare il tempo. Bisogna aprire, in questa maniera, un più vasto orizzonte di possibilità. Solo cercando di fermare il tempo, di sospenderlo, io non sono costretto a scegliere fra yoga, viaggio negli Stati Uniti, corso di chitarra, parrocchia, ecc. In qualche maniera devo riuscire a fare in modo di bloccare questo scorrere quasi irreversibile del tempo per aprire un più vasto orizzonte di possibilità e di occasioni. Se questo è possibile, allora posso fermare l'irreversibilità delle scelte e, quindi, posso far sì che le scelte diventino reversibili. Se non vado negli Stati Uniti oggi, ci posso andare un'altra volta. Non mi blocco, non c'è nulla di irreversibile.
Questa sospensione del tempo fa sì che non ci siano più scelte definitive, e questo naturalmente comporta una serie di rischi. Ad esempio, quello che Alessandro Cavalli diceva a proposito della destrutturazione temporale, per cui tutta la vita quotidiana diventa priva di un'organizzazione temporale e da qui nascono fenomeni di disagio, di disorientamento.
Un ulteriore significato è il tempo come riconciliazione di tutti i tempi, cioè il momento in cui cercare, magari con difficoltà, di non frammentarsi, di non disperdersi, fra tempo fisico-matematico (il tempo delle cose), tempo biologico (il tempo della natura), tempo psicologico e tempo socio-culturale. Ritrovare se stessi significa, da questo punto di vista, cercare di sincronizzare nel proprio vissuto questa molteplicità di tempi. Significa, per esempio, riconciliare la concezione del tempo lineare, che è tipica di una società industriale, che è la società anche della razionalizzazione e dell'utilitarismo, con la concezione del tempo ciclico, che è invece il tempo della società agricola, della ritualità sacrale, ecc. Il tempo della riconciliazione è anche il momento per fare il punto, per scoprire chi sono, per ritrovare un'identità, cioè una continuità tra tempi diversi, una propria permanenza attraverso i vari tempi. Significa riconciliare i miei tempi con i tempi degli altri.
C'è una forte relazionalità, secondo me, nelle culture giovanili attuali. C'è una grande attenzione a chi sono io, ma anche a quali sono le relazioni che io posso stabilire con gli altri. C'è questa idea del tempo che è un insieme di storie che si intrecciano, che in qualche maniera hanno bisogno di conciliarsi, di rendersi complementari.
Ultimo aspetto che si può dare alla temporalità del tempo libero, è il tempo libero come tempo della ri-creazione. E' il momento della creatività personale, della capacità di amare, di riconquistare un proprio equilibrio, è il momento della riscoperta della vita, delle comodità, del non-sacrificio. E' il gusto della buona tavola, il contatto con la natura, è la gioia del sonno prolungato, le cure personali e corporee, ecc. Tutta una serie di aspetti e di attenzioni che richiedono tempo. E questo tempo, allora, viene conteso al tempo sociale, al tempo degli obblighi sociali. Per cui, in fondo, il tempo libero non è semplicemente il tempo irenico della riconciliazione, ma anche il tempo che deve essere conteso. C'è la dimensione dialettica di contraddizione, di conflittualità.
 
 
Il tempo libero come libertà
 
Questo elemento di antagonismo ci introduce nella seconda dimensione: il tempo libero come libertà. E' il tempo libero come evasione, che è anche una irrequietezza, un'ansia senza oggetto, un malessere generale contro il grigiore, l'appiattimento, la routine quotidiana. Secondo me, nelle attuali generazioni c'è una paura forte, malgrado vengano accusate di essere molto conformiste; c'è questo timore di essere massificati, di essere schiavi di un ruolo. Una ragazza, intervistata a proposito, dice testualmente: «Spesso non si sa che cosa fare, ci mancano gli strumenti, mancano nuove idee, ci manca qualcosa da sperimentare, ci manca una spinta. Questa indifferenza e insofferenza insieme, questa impotenza, è tutto un insieme di cose che ti porta qualche volta a scoppiare; qualche volta ti vorresti ribellare e fare le cose più impensate». Non vi è nulla di irenico: è una descrizione della rabbia.
In parte questo si ricollega a una considerazione, che non è tanto dei giovani, quanto di alcuni sociologi, come Touraine, Melucci, ecc. Alcuni aspetti del tempo libero diventano effettivamente terreno di scontro. Perché? Oggi, nella società post-industriale, la produzione non riguarda solo i beni materiali, ma ha sempre più bisogno di intrecciarsi con i grandi apparati di manipolazione, di controllo. I sociologi dicono che non basta produrre l'automobile, bisogna che tutto uno stile di vita renda indispensabile l'automobile. Quindi anche la conflittualità non si limita più al terreno economico, della produzione, ma coinvolge tutto il modello di vita. E siccome all'interno del modello di vita il ruolo del tempo libero acquista un peso sempre maggiore, a loro volta alcuni aspetti del tempo libero diventano aspetti conflittuali. Tutta una serie di tematiche ricollegabili a questo vasto contenitore che è il tempo libero, sono tematiche che almeno da dieci anni a questa parte diventano bandiere di conflitto. Il corpo, la gestione dello spazio nelle nostre città, la gestione di un nuovo rapporto tra tempo libero e tempo di lavoro, la tutela dell'ambiente, della salute fisica e mentale, diventano in realtà un terreno di conflitto.
Il sociologo Schutz diceva che fa parte della vita quotidiana proprio la dimensione della corporeità. Il corpo è così importante perché è elemento di identità, perché è un modo per esprimermi, perché è un mezzo per comunicare con gli altri, mi dà emozioni. Di qui tutta una grande attenzione per la salute, per l'espressione corporea, che poi ha immediati riflessi nel tempo libero (la danza, lo yoga, lo sport, l'alimentazione). C'è una logica abbastanza compatta all'interno delle nuove generazioni, e queste tematiche vi fanno parte in maniera densa, frequente. Questa è una prima logica che possiamo, in maniera molto schematica, iscrivere nell'ambito delle culture giovanili.
Tutte queste tematiche sono minacciate, però, dall'inquinamento, dalla nevrosi della città, dalle manipolazioni genetiche, ecc. che in qualche maniera rappresentano una seconda logica: quella dei grandi apparati di controllo e di manipolazione. Quindi, all'interno di uno stesso campo, ad esempio quello del corpo, noi assistiamo ad uno scontro fra queste due logiche. Assistiamo a nuove forme di conflittualità che, volta per volta, emergono nel corso del tempo e che sono assunte ora dal movimento delle donne, ora dagli ecologisti, ora dalle minoranze culturali, e che sono forme che rivalutano la quotidianità. Quindi il tempo libero e le preoccupazioni che si intrecciano all'interno del tempo libero sono un campo strategico di rilevante importanza.
Un secondo significato del tempo libero è la libertà come movimento, cioè come possibilità di cercare un «altrove». Ad esempio, ho rilevato che non esiste una forte identificazione con lo spazio urbano in cui si vive. Il paese, la città, il territorio contribuiscono molto poco alla definizione della propria identità, e nel tempo libero noi assistiamo ad una specie di migrazione simbolica in altri centri, in altre città. Il sabato pomeriggio si va in città che magari a noi sembrano assolutamente uguali rispetto alla propria città di origine e che invece, agli occhi dei giovani, sembrano una realtà completamente diversa. Agli occhi dei giovani sono diverse perché sono «altro» rispetto allo spazio urbano proprio. Allora sembrerebbe quasi che queste nuove generazioni si identifichino rispetto a due poli opposti: il polo del «micro» e il polo del «macro». Il polo del micro sono le relazioni faccia a faccia, la famiglia, la coppia; poi c'è una forte identificazione nei confronti del macro, luci e messaggi del mondo metropolitano oltre l'orizzonte stretto della routine quotidiana. Però in questa maniera si tende a saltare la dimensione intermedia, rappresentata dal proprio spazio, dalla propria città. Se non sbaglio il popolo anglo-americano parla di «landmark», cioè quegli elementi di forte identificazione nel proprio territorio, che sembrano saltare. La dimensione intermedia viene rappresentata nei giovani forse dal gruppo dei coetanei, con cui si passa il tempo libero, perché è una sintesi fra micro e macro. Del micro noi abbiamo le relazioni, i rapporti paritari; ma lo stile di vita che poi viene incarnano in questi gruppi, cioè le mode, il modello metropolitano, i messaggi, gli interessi, il look, i consumi culturali, tutto questo patrimonio del tempo libero rinvia al macro.
Un terzo significato che si può attribuire alla libertà del tempo libero, è la libertà come sperimentazione. Le nuove esperienze sono possibili soprattutto nel tempo libero, che infatti è il tempo meno costrittivo, quello meno routinario, meno irreggimentato. E' il fare esperienza. Non vengono concepite delle norme che predefiniscano quali esperienze sono positive e quali non lo sono: l'esperienza è positiva in sé, perché arricchisce la soggettività di una persona, la ri-crea.
In questa rapida carrellata, mi avvio ad un altro significato che, mi sembra, i giovani attribuiscono al tempo libero: possibilità di giocare, soprattutto con la comunicazione. Sono generazioni ludiche, forse in senso positivo, che si divertono a plasmare la comunicazione. A me sembra di rilevare in queste nuove generazioni un atteggiamento molto ambivalente proprio verso la comunicazione.
Da una parte c'è la paura di comunicare, la volontà di essere criptici, afasici, non comunicativi, impermeabili ad ogni confronto; di qui il fatto che il tempo libero dei giovani è un tempo specialistico, è dei giovani, non può essere condiviso con le altre generazioni. Dall'altra parte, c'è una voglia matta di comunicare, di avere un ruolo attivo nella comunicazione, di sperimentare nuovi linguaggi. Questa ambivalenza, paura e voglia di comunicare, secondo me, rappresenta il sintomo di una grande abilità di «trafficare», in senso positivo, con la comunicazione. Io ho l'impressione che le generazioni più adulte siano molto più univoche e abbiano meno capacità, meno plasticità nell'usare la comunicazione; i giovani invece riescono a conoscere più forme di comunicazione, e a giocarci.
Prendiamo il cinema: vi è la riscoperta di alcuni personaggi, ad esempio Totò. La riscoperta di un comico surreale, che non accetta di scendere alle regole della realtà, un uso sovversivo, destrutturante della risata. La qual cosa, fra l'altro, è molto sospetta agli occhi sia dei conservatori sia dei rivoluzionari. Oppure pensiamo al mutismo di Michetti, o agli sproloqui un po' imbarazzati di Troisi, il gusto per la frammentarietà, ecc.
Faccio ancora un altro esempio: il divismo. E' ancora fortemente presente, ma che cosa significa? Significa la possibilità di un divo che voglia rimanere in auge di ripercorrere le orme di questa plasticità della comunicazione giovanile. Un divo tramonta nel giro di pochissimo tempo, a meno che non cerchi di riacquistare questa capacità di comunicare in linguaggi diversi volta per volta.
E ancora, la voglia di giocare soprattutto con le forme. E qui forse c'è un varco e una certa critica nei confronti delle nuove generazioni. Usando un linguaggio un po' specialistico si potrebbe dire che queste nuove generazioni sono più attente al significante che al significato. Rendere intercambiabili i segni, i simboli, i linguaggi, non è semplicemente un puro gusto del gioco inteso in senso superficiale: se scaviamo un po' a fondo, scopriamo che c'è dell'altro. Per esempio, in questo giocare con le forme vi è una dimensione dell'estetica: in fondo è il poeta che forza il linguaggio ordinario. E' poesia questa dimensione della creatività, della ri-creazione, cui accennavo precedentemente. Oppure, per esempio, il gioco ha una dimensione che potremmo definire come gioco linguistico nella dimensione etica, una denuncia dei limiti del dicibile in riferimento all'indicibile. Certo pochissimi giovani avranno letto Wittgenstein, però forse il clima è questo.
L'ultimo significato che forse potremmo attribuire alla libertà del tempo libero, è la ricerca di nuovi linguaggi, di una comunicazione che getti ponti fra realtà diverse. E anche la voglia di transitare avanti e indietro lungo questi ponti.
Qualche esempio. Moda, look, musica, danza, la sfera della corporeità, la ginnastica, l'alimentazione, l'uso della produzione di immagini... mi sembra disegnino la possibilità di usare altri linguaggi, di passare trasversalmente, per diversi mondi della vita, di arricchire il proprio vissuto, la propria soggettività, di usare linguaggi non razionali, non freddi, non solo verbali. Mentre, invece, la civiltà occidentale troppo spesso usa linguaggi che funzionano dal mento in su. E ancora il rock, che in qualche maniera credo rappresenti la colonna sonora della vita quotidiana dei giovani, perché ha un archivio aperto, vivente, di un certo tipo di suoni, di uno stile culturale, di una storia nascosta, e che mi sembra, in qualche maniera, costituire un mix di una serie di riferimenti che sono presenti in maniera vivida nelle nuove generazioni: questo mix di Tv, di videogiochi, di pubblicità, di cinema, di rumori di strada, pezzi di vita quotidiana scomposti e ricomposti in mille combinazioni diverse. Il rock fa proprio esplicitamente quest'opera di mix.
Per concludere si potrebbe dire che, se è vero tutto questo, allora l'omogeneità presunta della cosiddetta condizione di massa si sbriciola nella complessità dei desideri, nella complessità degli orizzonti, dei giochi. In sostanza, quest'immagine di una cultura di massa giovanile che troppo spesso viene disegnata usando solo il colore grigio, forse dovrebbe essere rappresentata in maniera diversa. Non è questo rullo compressore, tutto grigio, ma è un «patchwork», una coperta di materiali diversi e soprattutto di colori diversi, che assume forme strane, che si può scomporre e ricomporre. Forse, effettivamente, l'immagine del «patchwork» sintetizza in maniera simbolica, ma più estesa, il tempo libero di queste culture giovanili.
 
 
 
Articolo tratto da: NOTE DI PASTORALE GIOVANILE. Proposte per la maturazione umana e cristiana dei ragazzi e dei giovani, a cura del Centro Salesiano Pastorale Giovanile - Roma.
Paolo Montesperelli
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