Il popolo degli spritz

Riportiamo integralmente il testo del messaggio che l'arcivescovo di Padova mons. Antonio Mattiazzo ha rivolto alla città in occasione della Festa di S. Antonio, patrono della città. Una riflessione, crediamo, utile a tutti, giovani, meno giovani...

Il popolo degli spritz

da Quaderni Cannibali

del 24 giugno 2006

Sant’Antonio è stato evangelicamente sensibile alle condizioni di vita del popolo, vicino alle sofferenze e ai drammi degli uomini e donne del suo tempo. Ha mostrato in Gesù e nel Vangelo il riferimento necessario ed essenziale per la soluzione dei problemi personali e sociali. Volgiamoci al nostro santo patrono perché ci ispiri e ci aiuti a fare della nostra città un luogo di convivenza civile, di elevazione umana e spirituale, di concordia e di pace.

 

Nel messaggio di quest’anno vorrei toccare il tema degli adolescenti e dei giovani. Da qualche tempo, gli adolescenti e i giovani della nostra città – ma il fenomeno è esteso a molte città d’Italia e d’Europa – hanno preso a incontrarsi nelle piazze del centro. Sono tanti; la loro età va dai quindici ai trent’anni; qualcuno li chiama “il popolo dello spritz”; hanno siti internet con cui stare in contatto, comunicare, lanciare messaggi. Alcune espressioni, peraltro riconducibili all’influsso di frange ben caratterizzate, sono contraddistinte per la loro trasgressività, la loro valenza ideologica o semplicemente la loro inciviltà. Il fenomeno – che ha suscitato molte discussioni – in sé, tuttavia, non può essere liquidato con poche battute. Si può dire che è un sintomo che interpella in modo forte la nostra comunità civile ed ecclesiale: Perché questi giovani si comportano così? Cosa cercano? Cosa vogliono dirci? Perché scelgono la piazza? È necessario, anzitutto, cercare di comprendere e di interpretare il fenomeno.

 

1. La piazza, nell’antichità classica, era idealmente il luogo del dialogo, del confronto, dello scambio di opinioni. Ancor oggi, la piazza nella sua versione positiva, si presenta come una grande “arena umanistica”, espressione della multiculturalità, luogo in cui vengono abbattute le barriere etniche, di appartenenza ai diversi gruppi, e vengono superate le riserve derivanti dall’età anagrafica; allo stesso tempo, non possiamo nascondercelo, essa è anche lo spazio di ambiguità per soddisfare la sete di trasgressione o per sfogare rabbie inespresse.

 

Mi sembra, tuttavia, che oggi tanti giovani scelgano la piazza perché la percepiscono come singolare occasione per sentirsi vivi, luogo privilegiato dove incontrare lo sguardo di un conoscente, spazio vitale per sentirsi pienamente se stessi, ambiente amico in cui esorcizzare la paura del vivere, facile possibilità di uscire da una solitudine spersonalizzante e intrecciare con immediatezza la propria esistenza con quella degli altri. Ritrovarsi in piazza, dunque, al di là di taluni toni sopra le righe e di certe forme scomposte, incivili e trasgressive, esprime la voglia di vivere, la ricerca di libertà, il desiderio di aggregazione e di amicizia, la volontà di vivere da protagonisti e di non essere un numero nel calcolatore del mondo.

 

In questa prospettiva, i giovani dello spritz non rappresentano forse una denuncia implicita, forse inconsapevole, ma non per questo meno forte e incisiva, delle forme alienanti e disumane che caratterizzano certi modelli e stili di vita? Con il loro andare in piazza, essi denunciano quegli ambienti di lavoro, scuole, case, spazi di aggregazione, istituzioni che non sono a misura d’uomo; denunciano l’efficientismo e il tecnologismo che lascia ai margini la verità sul senso dell’esistenza umana; denunciano una società informatica che dilata la comunicazione virtuale, ma lascia rattrappire quella reale e interpersonale. Ma più ancora di una denuncia, i ragazzi delle piazze costituiscono un grido, il grido di una generazione che non trova cibo per saziare la sua fame e la sua sete, che sperimenta con angoscia il disagio dell’anima, che cerca in modo spasmodico una pienezza di vita, di amore, di gioia. La cifra a cui si può ricorrere per interpretare il fenomeno è anche quella del dio Dioniso. L’uomo è sete di infinito e cerca la sua acqua là dove pensa di trovarla. Ivi costruisce un altare al suo dio. Dioniso è, nella mitologia greca, il dio dell’ebbrezza, del vitalismo disinibito, dello sballo. Dioniso muore, travolto dal suo stesso estro, poi ritorna in vita. Sarebbe “l’eterno ritorno della natura”, il ritorno all’identico, che eterno non è. Si muore una volta sola; non c’è ritorno all’identico. Nietzsche ha opposto Dioniso al Crocifisso. Mentre Dioniso è una proiezione illusoria del desiderio, il Crocifisso è reale, risorge veramente e colma il desiderio infinito di vita. La verità è profonda e costa cercarla e trovarla; ma è l’unica che appaga.

 

2. Di fronte al grido dei giovani, noi, comunità civile ed ecclesiale, cosa facciamo? Le risposte possono essere e sono diverse. È diritto-dovere dell’autorità civile di intervenire perché siano rispettate le norme di giustizia, di rispetto delle persone e del bene comune. I commercianti e i baristi hanno pure delle responsabilità e non sarebbero a posto in coscienza se guardassero solo al profitto, disattendendo la salute e il bene degli adolescenti e dei giovani. I cristiani e le comunità e associazioni cristiane hanno un’ispirazione e riferimenti particolari. Il Vangelo racconta che, quando il cieco di Gerico si mise a gridare, tutti lo scambiarono per un indemoniato, lo sgridarono, lo fecero tacere; non però Gesù, che ascoltò quel grido! Forse, anche noi siamo tentati, come i discepoli che camminavano davanti a Gesù, di intimare a quelli che gridano di tacere perché non disturbino e non sconvolgano il tran tran della vita ordinaria. Invece, seguendo l’esempio di Gesù, non possiamo non ascoltare il grido di questi nostri fratelli più giovani, anche e soprattutto se a volte si tratta di un grido scomposto.

 

La prima cosa da fare, allora, è andare incontro a questi giovani là dove essi si danno appuntamento, si cercano e si ritrovano. Là, per le strade e sulle piazze, siamo chiamati ad andare, istituzioni civili e comunità ecclesiali; là ci è richiesto di metterci in ascolto ed, eventualmente, di offrire alternative sane di animazione, proposta e divertimento. Del resto, il Vangelo è nato in strada; Gesù ha predicato, ascoltato, incontrato, fatto miracoli camminando per le strade. Per le strade e sulle piazze ci è possibile anche oggi venire incontro a necessità concrete, accogliere e trasmettere valori, mostrare un volto diverso della comunità civile e della Chiesa, proporre l’incontro decisivo con Colui che ha detto «Chi ha sete venga a me e beva» (Gv 7,37).

 

3. La pedagogia sempre attuale è quella di Emmaus, pedagogia della compagnia e della strada. È pedagogia della compagnia, perché ci richiede di stare insieme ai giovani, di ascoltare il loro disagio, le loro attese e la loro speranza, di cogliere la novità di vita che portano dentro, di farci carico dei loro drammi e dei loro sogni. È pedagogia della strada, perché ci spinge a farci loro compagni di viaggio e a camminare con loro. Lungo la strada, i giovani domandano dell’amore tra ragazzo e ragazza, confidano le loro paure, parlano della difficoltà di una condotta retta, dei problemi concreti: lavoro, casa, denaro, dipendenze, di come vivere i rapporti con una famiglia che spesso non c’è più, di quanta delusione si prova quando la persona che ami ti tradisce o gli amici che credi di avere non sono poi così amici. Il camminare insieme permetterà ai giovani di avvertire che c’è qualcuno che li stima, li accetta, li vuole amare; si apre così il dialogo, il confronto, il progetto; si vincono le paure e rinasce la speranza.

 

4. L’attenzione ai giovani, tuttavia, non può limitarsi al momento delle piazze, ma deve esserci in tutte le espressioni della convivenza civile ed ecclesiale. A questo riguardo, sono interpellate in modo specifico le famiglie, la scuola, l’università, le parrocchie, le diverse agenzie dello sport e del tempo libero. Per tutti, l’obiettivo primario dovrà diventare il bene della persona e della comunità; per tutti, l’impegno comune dovrà essere quello di favorire e creare autentici spazi educativi, possibilmente in sinergia tra di loro. Ciò potrà anche richiedere da parte di qualcuno scelte coraggiose. Diversamente, che ne sarà di una società opulenta e ricca di mezzi che però abbia perduto di vista i fini e non sappia più trasmettere ai figli il senso profondo e i valori fondamentali della vita?

 

5. Un compito particolare nei confronti dei loro coetanei spetta ai giovani che hanno incontrato il Signore Gesù e hanno già assaporato l’acqua viva che sgorga dalla fede. Sono più numerosi di quanto non appaia dalla cronaca giornaliera, pronta a informare più sul male che sul bene. Vorrei incoraggiare questi giovani a farsi compagni di strada dei loro coetanei, a trovare il modo di trasmettere la vita nuova che hanno ricevuto in dono. La nuova evangelizzazione, la riscoperta della fede, una rinnovata Pentecoste sono espressioni vitali di ogni Chiesa; probabilmente, anche attraverso il grido dei nostri giovani, la Provvidenza divina sta interpellando la nostra Chiesa di Padova perché dica al mondo con rinnovato vigore che c’è salvezza solo in Gesù Cristo sempre pronto a incontrarci presso il pozzo dove andiamo per attingere l’acqua che disseti, che solo fondati in Lui è possibile costruire la “civiltà dell’amore”. L’evangelizzazione di strada, le fraternità giovanili, le missioni giovani, le scuole di preghiera sono forme nuove che hanno già mostrato riscontri positivi; altri ne troveranno se si radicheranno ancor di più nel tessuto vivo della nostra città e riceveranno l’appoggio e il sostegno di tutti.

 

Sant’Antonio, che da giovane ha fatto la scelta coraggiosa di seguire il Cristo, accompagni i giovani d’oggi nella ricerca della via del bene e all’incontro con Gesù Salvatore «sorgente d’acqua viva che zampilla per la vita eterna» e aiuti gli adulti – e noi cristiani in particolare – a proporre esperienze e atteggiamenti positivi, occasioni educative e la testimonianza di una vita coerente e impegnata per il bene. Nella comune speranza di costruire una città accogliente, sorridente, fraterna.

mons. Antonio Mattiazzo

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