È una delle figure spirituali più amate del Novecento. Innamorato dell'Eucaristia e insieme, nel cuore del Sahara, già un secolo fa in dialogo profondo con l'Islam. Domenica Charles de Foucauld, l'ex militare ed esploratore trasformato dall'incontro coi tuareg, sarà proclamato beato.
del 11 novembre 2005
Domenica 13 novembre la beatificazione di Charles de Foucauld. «Si confrontò con la religiosità dei berberi e ne fu colpito. Fu un dialogo senza nessuna ambiguità. Oggi è diverso, dobbiamo fare i conti con l'islam politico». «Era eremita, ma aveva poco tempo per sé perché le visite si susseguivano»
È una delle figure spirituali più amate del Novecento. Innamorato dell'Eucaristia e insieme, nel cuore del Sahara, già un secolo fa in dialogo profondo con l'Islam. Domenica Charles de Foucauld, l'ex militare ed esploratore trasformato dall'incontro coi tuareg, sarà proclamato beato. Personalità poliedrica, la sua: abbiamo chiesto di aiutarci a inquadrarla a qualcuno che la conosce davvero bene. Perché il cardinale Georges Cottier, il domenicano pro-teologo della Casa pontificia, da ormai più di cinquant'anni si sente a casa nella famiglia spirituale di de Foucauld. Amico di René Voillaume e suor Magdeleine, fondatori dei Piccoli fratelli e delle Piccole sorelle di Gesù, fu proprio attraverso questo fiume spirituale che da teologo giunse al Concilio Vaticano II.
Eminenza, quando si parla di de Foucauld si cita la frase «come Gesù a Nazareth». Che cosa vuole dire?
«La spiritualità di de Foucauld è l'imitazione, il più vicino possibile, della vita di Gesù. Lui era un uomo molto concreto e dunque per realizzare questo programma va in Terra Santa. A Nazareth lavora per tre anni come domestico per le Clarisse. E qui resta colpito dal pensiero che Gesù trascorse ben trent'anni della sua vita nascosto, come un umile lavoratore. È l'intuizione che rimarrà per sempre in de Foucauld: l'offerta di sé in una vita nascosta. Insisteva sull'ultimo posto indicato da Gesù: lui voleva essergli vicino in questa presenza silenziosa e orante».
Ma non c'è il rischio di un certo intimismo?
«No, non è intimismo. Prima della conversione aveva viaggiato come esploratore in Marocco; un viaggio nascosto, perché allora questa terra era totalmente chiusa agli europei. Aveva sperimentato una realtà in cui non si può predicare in una maniera aperta. E così ha avuto l'idea della missione attraverso una presenza nascosta. Non è intimismo, perché è una presenza con al centro l'Eucaristia. Nell'adorazione o nel dire Messa da solo, il suo sarà sempre un c uore apostolico e missionario. La presenza di Gesù eucaristico sarà la sua testimonianza».
È un nuovo stile per la missione?
«Lui è stato un missionario geniale. Alcuni non lo capiscono: ho sentito anche critiche contro de Foucauld. Il suo è uno stile opposto a quello di certi gruppi evangelici, che vivono la missione in una maniera anche provocatoria. Per de Foucauld è la vita di intensa unione con Gesù a mostrare il Maestro. Attraverso il suo servitore umile si deve poter vedere la vita di Gesù. A quel punto la testimonianza non è più un'amicizia superficiale o banale, ma quella di cui parla Gesù quando dice 'non vi chiamo più servi, ma amici'».
Fortissimo in de Foucauld è il tema del rapporto con l'islam.
«L'islam che conobbe lui è quello dei nomadi tuareg del Sud Sahara. Popolazioni poverissime, dalla vita semplice; non pensiamo al fondamentalismo di oggi. Prima di arrivare nel deserto lui aveva avuto uno stile di vita dissoluto, che gli aveva provocato difficoltà anche nell'esercito. Ebbene: de Foucauld è attratto dal senso della presenza di Dio che trova in queste popolazioni. Va subito a procurarsi il Corano. In un certo senso sono loro che lo riporteranno al cristianesimo. Poi lavorerà a lungo a un dizionario della lingua dei tuareg, un'opera di grande valore scientifico. Vuole capire l'altro, rispettare l'altro».
Può essere un punto di riferimento oggi, che sperimentiamo la fatica del rapporto con l'islam?
«Ne sono sicuro. Certo, oggi dobbiamo fare i conti con l'islam politico, che è un'altra cosa. Ma le popolazioni poverissime che de Foucauld ha conosciuto, rappresentano ancora la gran parte del mondo dell'islam. E lui ha saputo trovare in loro dei valori umani. Senza nessuna confusione: lui era cristiano, loro erano musulmani. Aveva una grande fiducia nell'opera della grazia nelle anime. La sua non era una testimonianza a scapito della parola. Se la testimonianza di vita era al primo posto, era perché la situazi one lo esigeva. Ma accanto c'era la testimonianza con la preghiera, questa fiducia nel lavoro della grazia nelle anime».
Lui voleva essere il «fratello universale». Che cosa voleva dire?
«È un altro aspetto legato alla pietà eucaristica, all'idea che Gesù ama tutti gli uomini. De Foucauld lo sperimenta nel mondo dei tuareg: l'amore di Gesù si deve proclamare non attraverso parole che in questo momento potrebbero non essere recepite, ma con la testimonianza dell'amicizia e della preghiera. Perché Gesù vuole la salvezza di tutti».
Che cosa rappresentava per de Foucauld il deserto?
«Era il luogo della sua vita contemplativa e della purificazione. Ma viveva comunque vicino a un villaggio, aveva tanti contatti. L'amicizia, appunto. Era eremita, ma in una lettera scritta alla fine della vita raccontava di avere poco tempo per sé perché le visite si susseguivano. Non era una fuga nell'isolamento come quella dei padri dell'Egitto dei primi secoli».
Aveva scritto una regola, aveva persino costruito un eremo dove ospitare dei compagni. Ma si ritrovò sempre solo. Come visse questa sconfitta?
«Il discepolo che desiderava non arrivò mai. Ma lui aveva il senso acuto della croce. Citava la frase evangelica del chicco di grano caduto in terra che se non muore non porta frutto. Probabilmente per lui è stato un cammino di purificazione. Ma i frutti sono venuti dopo. Basta vedere il gran numero di famiglie religiose che oggi si ispirano al suo carisma. E poi i suoi testi, specialmente le lettere, che si continuano a pubblicare. Sono una miniera di spiritualità, attualissima da esplorare».
 
 
 
“Gridare il Vangelo” con una vita di silenzio e di contemplazione: le testimonianze dei figli spirituali di Charles de Foucauld, iscritto tra i Beati da Papa Benedetto XVISebbene Charles de Foucauld (1858-1916), che verrà annoverato tra i Beati domenica 13 novembre, non abbia mai fondato alcun ordine religioso, e anzi abbia condotto una vita eremitica nel deserto sahariano, oggi sono numerosi i gruppi religiosi e laici presenti in diversi continenti, che si richiamano alla sua figura ed al suo insegnamento. Abbiamo raccolto di seguito alcune testimonianze dalle situazioni più diverse.
Sr. Marie Dominique, delle Piccole Sorelle di Gesù, appartiene alla comunità di Azrou, in Marocco, dove la fraternità è presente da oltre 50 anni. Lavora all’ospedale, insieme alle colleghe musulmane. “Io trovo che ci siano dei valori che possiamo vivere insieme, che esistono nel cristianesimo e nell'Islam: per esempio il perdono e l'incoraggiamento a fare il bene. Riconciliarsi sul lavoro quando avviene un piccolo litigio, è qualcosa che noi possiamo vivere insieme, come l’incoraggiamento a fare il bene. Tutto quello che vivo sul lavoro lo porto nella mia preghiera e quindi loro sono integrati nella mia preghiera, anche se non lo sanno.”
“Il nostro modo di vivere cerca di non discostarsi dal mondo in cui viviamo - afferma fratel Lorenzo Chavelet, dei Piccoli Fratelli di Gesù -. Per questo le nostre fraternità non hanno dei segni esteriori particolari. Tuttavia non ci nascondiamo: diciamo chi siamo, dei frati che vivono insieme in una comunità religiosa, ma non abbiamo segni particolari, come Gesù era vestito normalmente. Cerchiamo lavori semplici: operaio in una fabbrica, operaio delle pulizie, giornaliero nelle campagne, lavoratore in un ospizio per anziani, piccolo artigianato, cioè tutti i lavori che fanno le persone semplici per riuscire a guadagnarsi la vita. Non molto tempo fa è morto un fratello che aveva vissuto per molti anni in un villaggio nel Sud dell'Egitto, dove aveva una piccola attività ed aiutava le persone ad apprendere il lavoro. Prima di morire ha detto ai suoi amici: in fondo non vi ho portato molto, l’unica cosa che voglio dir! vi è che vi ho amato molto, ed è la sola cosa che dovevo fare e che credo noi dobbiamo fare, amare coloro tra cui ci troviamo.”
Suor Casimira de Jesus, delle Piccole Sorelle di Gesù, vive in Portogallo, in un agglomerato abusivo costruito da immigrati venuti da Capo Verde, Angola, Sao Tomé e Principe. “Sono venuti per cercare una vita migliore e hanno trovano solo capanne o hanno fatto delle capanne per poter sopravvivere - racconta la religiosa -. Noi abbiamo deciso di vivere con loro da alcuni anni. Abbiamo la nostra capanna come tutti gli altri: sono stati loro, gli africani, che ci hanno aiutato a costruirla. Siamo venute a vivere qui per aiutarli a conquistare una vita migliore. La nostra missione è vivere con le persone, stare con loro, aiutarle a costruire una vita più degna, più umana, normale. Loro sono venuti per guadagnare dei soldi per le loro famiglie, perché nelle loro terre stanno molto male, vogliono solo aiutare i loro cari ad avere una vita migliore”.
“La nostra vita è un segno della tenerezza di Dio per ognuno di noi, che si può testimoniare nelle piccole cose, con l’essere attente al prossimo - dice suor Agnes Noele, dal Burkina Faso -. La nostra vita non ha niente di straordinario, è una vita piena di preghiera, di amicizia e di amore per il prossimo come è, cioè qualsiasi persona, piccola, povera o ricca. Questa tenerezza ogni uomo può averla solo tramite la preghiera. E il centro della nostra vita è la cappella, dove viviamo questa amicizia e cerchiamo di vivere questa tenerezza.” Per suor Yvonne Valette, anche lei del Burkina Faso, l’accoglienza è molto importante: “Cerchiamo di accogliere tutti coloro che bussano alla nostra porta, per ascoltare, condividere le sofferenza, parlare, pregare nella nostra cappella, dare consigli. Visitiamo anche le famiglie che ce lo chiedono. Accanto a noi vive una signora anziana che è rimas! ta paralizzata, e a lei piace che io passi da lei anche soltanto per darle il buongiorno”.
Suor Odile Fessler e suor Jacub Salwa vivono in un quartiere popolare del Cairo. “Ho lavorato in una fabbrica di cucito per tre anni, in un contesto di poveri emarginati - racconta suor Odile -. L'età media delle lavoratrici era sotto i venti anni, lavoravano cinque giorni alla settimana dalle nove fino alle cinque del pomeriggio, le ragazze arrivavano anche fino alle undici, mezzanotte. Durante il Ramadan ho invitato a cena alcune mie colleghe, e abbiamo parlato della divinità di Dio, dell'importanza della preghiera nella nostra vita. Nelle nostre fraternità la preghiera è il momento più forte: viviamo nella preghiera, la preghiera entra nella nostra vita, scopriamo che Dio esiste anche dove non credevamo che potesse esistere. Ci rendiamo conto che possiamo vivere la preghiera anche in fabbrica, perchè scopriamo che neanche il chiasso dei mezzi meccanici ci impedisce l'intimità con Dio”.
Avvenire, Agenzia Fides
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