Una lettera aperta, in presa diretta sulle periferie del mondo, ecco che cos'è quest'uomo. Una lettera aperta che arriva con scelta di tempo perfetta, esatta, millimetrica. Frère Charles de Foucauld, le petit frère Charles, è lui una lettera aperta ai molti uomini e donne...
del 12 novembre 2008
Una lettera aperta, in presa diretta sulle periferie del mondo, ecco che cos'è quest'uomo. Una lettera aperta che arriva con scelta di tempo perfetta, esatta, millimetrica.
Frère Charles de Foucauld, le petit frère Charles, è lui una lettera aperta ai molti uomini e donne, apparentemente invisibili, che hanno conservato la fede - molto speciale - nel lavoro evangelico del seme. Quella dedizione che si consuma nella passione per l'umano fin dentro le viscere della terra abitata dalla nostra specie, così tenera quando è tenera, così dura quando è dura. Si tratta del gusto per quella miracolosa tenacia - non plateale, non arrogante, non violenta, eppure invincibile - del filo vivo che è l'origine divina dell'umano capace di filtrare il deserto, l'asfalto, le macerie, le immondizie persino. Le parti più popolate dell'odierna città dell'uomo.
Una sorta di lettera, questa beatificazione, che portando l'immagine di Charles de Foucauld all'attenzione del pubblico, arriva nel momento in cui la rassegnazione e il risentimento, per le mancate promesse della storia, lasciano ormai filtrare i segni non dissimulati della paura vera e propria di ogni futuro. La paura è cattiva consigliera dell'azione, si dice. Certo. Però è grande regista delle passioni. Narratrice insuperabile di storie, la paura dà anche corpo ai fantasmi, dissimula ottusamente la realtà.
La tensione che si avvia a diventare dominante, nell'epoca della grande disillusione, più che quella della ragione e della religione, mi sembra quella della paura e della fede. La paura non è una buona alleata. Corrompe. L'umanesimo e anche la religione. E mentre i palazzi e le accademie discutono, l'immensa periferia delle generazioni del mondo già brucia. De Foucauld porta in primo piano la lezione del seme evangelico della fede che sfida la paura. È la prima e più possente verità dell'incarnazione di Dio, la sfida di Nazareth. Nazareth è l'habitat appassionato e lunghissimo del Figlio (trent'anni!), che si sprofonda all'infima e immensa periferia della storia, dove la contesa tra la paura e la fede si gioca in presa diretta con l'umanità dell'uomo. Nazareth è il luogo in cui la verità dell'umano si apprende fuori dalle retoriche della libertà, dell'eguaglianza, del progresso. Sono però i luoghi dove si imparano anche le entusiasmanti infiltrazioni - invisibili al confortevole riparo del salotto e della sacrestia - del filo vivo della fraternità che sfida il deserto del senso, quello dove la nostra civiltà si gioca l'anima dei figli che sono da poco arrivati.
Non commentate con troppo leziosa profusione di gergo devoto, fratelli credenti, la lettera che viene da Nazareth per l'odierna lotta della fede e della paura. Il beato Charles de Foucauld non apprezzerebbe. E voi non alzate con troppa ironia il sopracciglio, amici diffidenti della potenza evangelica del seme. Frère Charles è un signore che ha molto vissuto. Sapeva di politica, e di scienza, e di sociologia dell'habitat quanto voi. Semplicemente, un giorno, volle andare a vedere le carte di Dio e seguì il filo che porta a Nazareth. Si piantò nel deserto, e rese credibile, ad un tempo, l'umanesimo dello spirito e la verde tenacia dell'evangelo che lo riscatta. Senza eccezione di persona. Fino al limite della vita. E oltre.
 
Pierangelo Sequeri
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