Molte volte il suicidio sanziona semplicemente e drammaticamente la rottura di un dialogo: è la risposta ad una realtà ostile, un'estrema protesta, un gesto punitivo o vendicativo nei confronti di chi è stato (o si ritiene che possa essere) la causa dei propri mali. Offriamo una riflessione per sollecitarci alla responsabilità educativa.
Ho chiesto a Gabriele Raschi, autore di un poderoso studio su «Le condotte suicidarie negli adolescenti» [ISB] un contributo per riflettere più seriamente sull'argomento, per evitare da un lato facili e terribili strumentalizzazioni e dall'altro per sollecitarci alla responsabilità educativa (e di questo in ultima analisi si tratta).
Molti adolescenti, più di quanto si possa immaginare, non sono soddisfatti, non sono felici; soffrono di una solitudine profonda nonostante la “serenità” che offrono gli agi della vita quotidiana con la sua molteplicità di relazioni sociali. Questo è purtroppo testimoniato dal fatto che tra le prime cause di morte fra gli adolescenti e i giovani vi sia proprio il suicidio.
Se il suicidio e il tentativo di suicidio hanno, come eventi, una fisionomia ben definita ed un significato univoco – quello di togliersi la vita – essi sono invece, dal punto di vista psicologico, sociale ed etico, eventi assai complessi sia nella fenomenologia che nelle dinamiche.
Il problema del suicidio da parte degli adolescenti può essere adeguatamente compreso soltanto se viene posto in relazione con le caratteristiche della loro personalità che, d’altronde, è caratterizzata da tratti non sempre omogenei. Osservando il modo in cui si manifesta l’adolescenza da una generazione ad un’altra, da una cultura all’altra, da un ambiente sociale all’altro, si perviene facilmente alla conclusione che come non esiste l’adolescenza in quanto fase universale ed uniforme, ma esistono piuttosto gli adolescenti, così le cause, le dinamiche, le caratteristiche degli atti suicidari nell’adolescenza si presentano come una realtà variegata e tutt’altro che omogenea.
La condotta suicidaria non può essere isolata dal contesto individuale, familiare e sociale nel quale avviene e atti apparentemente simili possono nascondere significati e motivazioni non univoci.
Per comprendere il contesto in cui può germogliare un’idea suicida, innanzi tutto dobbiamo tener conto di fattori legati alla personalità dell’adolescente e alla sua peculiare condizione, contraddistinta da una identità incompiuta e fragile, in cui sono carenti le dimensioni portanti dell’identità, come lo sviluppo morale e la dimensione relazionale, sotto l’influsso del quadro valoriale di oggi, alquanto sbiadito per la caduta di valori forti e per l’accumulo di disvalori. Gli adolescenti vivono un senso di precarietà psicologica causata da appartenenze plurime, ma spesso incerte; sono sommersi da messaggi e valori contrastanti; devono fare i conti con visioni culturalmente condizionate dei ruoli maschili e femminili che appaiono ancora scarsamente aperte alle dimensioni della reciprocità e della complementarità. Il bisogno di sostegno e di modelli di riferimento precisi e autorevoli si fa diffuso e si rende ancora più forte nel caso della marginalità e della trasgressività sociale.
Oltre che con il proprio particolare mondo interiore, l’adolescente è confrontato anche con un insieme di rapporti esterni.
Il fattore più incisivo nel processo di sviluppo adolescenziale è il rapporto con la famiglia, che risulta il modello fondamentale e strutturale nell’ambito dei rapporti interpersonali. Quando un membro della famiglia entra nell’adolescenza, viene rimesso in questione l’intero equilibrio familiare e il successo o il fallimento dello sviluppo adolescenziale dipendono dai cambiamenti che adolescenti e genitori sono in grado di compiere. Se non si raggiunge tale equilibrio, aumentano nelle famiglie di adolescenti quelli che gli specialisti considerano come fattori di rischio per l’equilibrio del ragazzo e quindi per il comportamento suicidario: mancanza di coesione e integrità del nucleo familiare e soprattutto separazioni dei genitori; ostilità o indifferenza reciproca tra i genitori e nei confronti dei figli; atteggiamenti affettivi ambivalenti dei giovani verso i genitori; problemi di comunicazione all’interno della famiglia; alta proporzione di elementi conflittuali e incapacità di risolverli in maniera costruttiva; scarso appoggio e sostegno dei genitori nei confronti dei figli; confusione o rigidità dei confini tra le persone; cancellazione delle differenze generazionali; antecedenti in famiglia di alcolismo e soprattutto di atti suicidi nella famiglia, genitori o ascendenti. In realtà, come numerose ricerche sottolineano, l’adolescente suicida, appare spesso prigioniero di situazioni familiari anomale e patogene, e il comportamento suicidario può costituire un messaggio inviato alla famiglia per esprimere il proprio disagio e per tentare di indurre un cambiamento nelle relazioni.
A questi fattori individuali e familiari che incidono sulle condotte suicidarie degli adolescenti vanno aggiunti infine quelli legati alla società odierna, tutta concentrata su pseudovalori e sul conseguimento del benessere e del successo, in una esasperata ricerca di gratificazione di bisogni insostenibili, che alla fine fanno piombare l’adolescente nella frustrazione e nel vuoto esistenziale.
Tutti questi fattori di natura personale, relazionale e sociale concorrono a generare negli adolescenti di oggi un particolare atteggiamento di fronte alla morte e ai cosiddetti pensieri di morte.
Le varie teorie, tutte ancora bisognose di ulteriori ricerche, hanno in genere assolutizzato uno o più elementi o fattori causali che interagiscono nel suicidio adolescenziale. È probabile tuttavia che il fattore psicosociale, soprattutto quello familiare, costituisca un elemento di primaria importanza nell’ermeneutica del gesto suicida, in quanto si configura come il terreno di incrocio delle varie serie causali. Resta infine vero che ciascun suicidio si presenta come un caso a sé e che, pertanto, comporta di volta in volta la necessità di una ricerca empirica che convalidi le diverse interpretazioni.
Molto spesso i motivi che portano l’adolescente a uccidersi o a cercare la morte sembrano poco importanti, sproporzionati rispetto alla gravità dell’atto, talvolta addirittura futili, anche se non mancano all’adolescente situazioni realmente disperate (come per esempio la morte di una persona cara o la separazione dei genitori). E quasi sempre si tratta di motivazioni che si ripetono in maniera monotona e che tutti gli autori riportano infatti con le stesse parole: un brutto voto a scuola o la perdita del lavoro, una discussione in famiglia o un rimprovero dei genitori, un rifiuto, un penoso senso di colpa, la perdita di un’amicizia, la paura di essere punito, un torto subito, l’esclusione dal gruppo, la fine o l’impossibilità di una relazione affettiva.
Sorge una domanda: la frequente apparenza di scarsa importanza dipende soltanto dalla prospettiva in cui si pone l’adulto, oppure in realtà per l’adolescente si tratta in ogni caso di motivi molto seri?
La ricerca ci ha portato ad osservare che di solito, dopo il tentativo di suicidio, l’adolescente stesso, per primo, denuncia la sproporzione tra la sua reazione e i motivi apparenti. Non è dunque vero che tutti, ad eccezione del giovane, s’ingannano sul carattere contingente delle situazioni scatenanti. Se le più piccole circostanze sono sufficienti a scatenare un gesto auto-distruttivo, è perché questo è potenziale e il soggetto non attende che l’occasione propizia per metterlo in atto, e non già perché l’avvenimento esteriore lo susciti in maniera determinante. Si potrebbe quasi dire che l’evento esterno è solo l’occasione, attesa e in certo modo anticipata, in cui il ragazzo trova la conferma della sua infelice situazione personale, a cui non è possibile portare altro rimedio. Considerati isolatamente gli avvenimenti possono non rivestire grande importanza; è la loro sommatoria che conferisce un significato, nel senso che ad ogni sbocco che si chiude, l’adolescente vede gradualmente cadere le soluzioni alternative e venir meno le risorse. Ad un certo momento sorge una sorta d’impazienza, nulla è più sopportabile perché nessun ritardo è più ammissibile: sembra quasi che il tempo vissuto sia ristretto alle dimensioni dell’avvenimento immediato e prenda, allora, il carattere dell’irrimediabile.
Non va dimenticato che nell’adolescenza vengono a mancare i motivi di sicurezza infantili prima che si siano affermate le certezze dell’adulto.
Sotto l’aspetto psicopatologico, al suicidio possono essere attribuite diverse funzioni. Molte volte esso sanziona semplicemente e drammaticamente la rottura di un dialogo: è la risposta ad una realtà ostile, un’estrema protesta, un gesto punitivo o vendicativo nei confronti di chi è stato (o si ritiene che possa essere) la causa dei propri mali.
Ma prima di rompere un dialogo si cerca di ristabilirlo. Uno degli aspetti essenziali del tentativo di suicidio è il suo carattere di appello, generalmente inconscio: se dovessimo rappresentare con un simbolo pittorico il tentativo di suicidio, lo rappresenteremmo come un Giano bifronte, con una faccia rivolta verso la distruzione e la morte, l’altra verso il contatto umano e la vita. Non è dunque il bisogno di incontro che è venuto meno, bensì la capacità di realizzarlo. L’atto manifesta al tempo stesso la propria impotenza e il desiderio di un rapporto.
C’è sempre del resto una certa ambiguità del desiderio di morte. Ci si può chiedere se colui che pone in atto una condotta suicidaria percepisca veramente la morte come fine irrimediabile della vita; se si uccida per non più esistere o per esistere in altro modo. Il suicidio insomma può essere soltanto una fuga dalla vita più che una ricerca della morte. Il suicido può essere quindi visto dall’adolescente come l’unica affermazione ancora possibile della propria personalità, l’unico modo per essere ancora un protagonista, nonostante la condizione di fallimento e il sentimento d’impotenza.
Proprio per questo i pronunciamenti più recenti del Magistero della Chiesa, segnano un affinamento nella valutazione morale del suicidio: benché il gesto continui ad essere considerato oggettivamente grave e sbagliato, ne attenuano la responsabilità soggettiva.
L’attenuazione della responsabilità morale soggettiva, non toglie però il fatto che il suicidio, specie se compiuto da un adolescente, resta una tragedia che esige un comune e massimo impegno per essere superata. Tale impegno si concentra soprattutto nella prevenzione. Poiché il suicidio dell’adolescente è strettamente collegato ad un inadeguato sviluppo della personalità dell’individuo, la prevenzione si propone innanzi tutto di promuovere la formazione delle nuove generazioni, che non potrà limitarsi al semplice inserimento occupazionale o alla creazione di rapporti sociali stabili, ma alla costruzione concreta dell’identità personale e sociale capace di affrontare il nuovo della vita e pianificare abitualmente le proprie scelte. In tal senso possono avere grandissima utilità la scuola, che ha sott’occhio ogni giorno preadolescenti ed adolescenti ed è in grado, attraverso opportuni messaggi e sollecitazioni, di monitorare le condizioni di rischio; i medici di base, perché numerosi studi hanno dimostrato che i giovani suicidi o i loro familiari si sono rivolti al medico di famiglia nel periodo precedente il gesto autolesivo; la comunità ecclesiale e in particolare la parrocchia come luoghi di aggregazione giovanile e di trasmissione di modelli e di valori. Il lavoro di tali entità darà i suoi frutti più efficaci se condotto, per quanto possibile, in équipe e l’opera di prevenzione deve essere attuata tenendo presenti la personalità dell’adolescente e i fattori di rischio e la loro effettiva influenza nel suo suicidio. I problemi sempre più estesi del rischio e del disagio evolutivo richiedono che l’adolescente venga maggiormente seguito e aiutato nel superare i suoi momenti critici, mentre l’allungamento dell’arco di anni dei processi di identità dilata sempre più i tempi del sostegno alla crescita e quindi della prevenzione.
Nell’ambito della prevenzione è importante che ogni minaccia da parte dell’adolescente venga presa sul serio, anche se non deve essere enfatizzata, essendo sempre poco adatta, e talvolta foriera di drammi, una risposta carica di angoscia. C’è spesso la tendenza da parte dell’adulto a banalizzare il tentativo di suicidio dell’adolescente, per l’inconsistenza dei motivi e per l’apparente valore ricattatorio. Ogni tentativo di suicidio è l’espressione di una domanda d’amore, domanda di essere riconosciuto come persona, compreso e desiderato. Tale domanda deve essere tempestivamente accolta, se non vogliamo che l’adolescente cerchi di cambiare con il suicidio la propria situazione, non potendo cambiare quella del mondo.
L’esigenza della formazione ad accogliere imprevisti, precarietà e cambiamento fa entrare in crisi i modelli pedagogici tradizionali, che tendevano all’integrazione dell’individuo nel patrimonio preesistente di conoscenze, valori e comportamenti. Ormai l’aiuto educativo va rifocalizzato sulla condizione del ragazzo o della ragazza che cercano il proprio posto in un mondo in continua evoluzione. Perciò, più che alla semplice proposta dei valori, gli interventi vanno orientati a incrementare le esperienze dei valori da parte dell’adolescente perché egli li acquisisca ed interiorizzi in modo più personale. Solo così potrà entrare in un clima di costruttività etica in cui saprà affrontare il pluralismo culturale, la varietà delle agenzie formative e informative, restando coerente con le proprie scelte e motivazioni.
Concludendo questa sintesi di un lavoro ben più ampio, possiamo affermare che la tragedia del suicidio dell’adolescente, così strettamente collegata alla sua personalità e ai diversi fattori esterni che su essa influiscono, pone molteplici problemi di ordine morale ed educativo, ma pone anche l’esigenza ineludibile che le diverse istanze familiari, sociali, scolastiche ed ecclesiali compiano uno sforzo comune per prevenirla, aiutando l’adolescente a maturare la sua personalità, ancorché spesso ferita, perché sappia cogliere o riacquistare il senso e il gusto della bellezza della vita.
Gabriele Raschi
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