È assai difficile avere dati precisi sul «traffico delle donne», che costituisce oggi una nuova forma di schiavitù per milioni di persone. La Nota rileva, anzitutto, che tale traffico è una manifestazione della scarsa considerazione in cui la donna è tenuta. Parla poi del «turismo sessuale» che, in alcuni Paesi asiatici, è divenuto una delle più importanti fonti di guadagno. Infine si sofferma sui «servizi» delle donne oggetto del «traffico», per concludere che di questo drammatico problema oggi si preferisce tacere.
del 14 settembre 2006
È curioso che in tempi di femminismo trionfante, siamo costretti a parlare di una nuova forma di schiavitù delle donne, ben più umiliante e dolorosa di quelle antiche. Eppure non possiamo tacere di fronte al «traffico delle donne», che è la forma di schiavitù femminile dei tempi moderni. Purtroppo su questo drammatico problema si stende oggi una spessa e pesante coltre di silenzio, perché non hanno interesse a parlarne né gli Stati per i quali il «turismo sessuale» è talvolta una delle prime entrate del proprio bilancio, né gli Stati ai quali il traffico delle donne serve per rifornire i centri di «riposo e di divertimento» delle basi militari all’estero, e tanto meno i trafficanti, spesso collegati con la polizia e i sistemi giudiziari, ai quali il traffico delle donne frutta più del commercio illegale delle droghe.
Per tale motivo, è assai difficile avere dati precisi circa la vastità del fenomeno. Tuttavia, per quanto riguarda l’Asia, che è l’epicentro mondiale del traffico delle donne, una buona informazione ci è fornita da un recente articolo di una religiosa salesiana indiana, Philomena D’Souza, teologa e psicologa, dell’arcidiocesi di Bombay, apparso sul bimensile cattolico The New Leader (16-31 agosto 2005) e riportato da La Documentation catholique (5 février 2006, n. 3, 141-145).
 
Un clima sfavorevole alle donne.
Il traffico delle donne nel mondo asiatico — soprattutto, ma non solo: la stessa cosa si può dire di vari Paesi africani — si comprende meglio se lo si vede come una manifestazione della scarsa considerazione in cui è tenuta la donna. Le scelte discriminatorie variano da Paese a Paese. In alcuni la nascita di un bambino è considerata un dono, mentre quella di una bambina una maledizione degli dèi, per cui le bambine sono eliminate con l’aborto e l’infanticidio. Altrove, per frenare la crescita demografica, s’impone ai genitori di avere un solo figlio che si preferisce sia un maschio: se perciò nasce una femmina, dev’essere uccisa. In altri Paesi le cure mediche, quando ci sono, vengono riservate ai fratelli, ai padri, ai mariti e ai figli maschi. In altri Stati, le bambine sono vendute dai genitori per pagare debiti oppure sono cedute a persone ricche per servizio o per uso sessuale in cambio di qualche piccolo introito per mantenere la famiglia. Le giovani spose vengono uccise se i padri, secondo il contratto pattuito, non pagano coloro che le hanno sposate: le chiamano «morti per dote». Infine, secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), ogni giorno 6.000 bambine sono sottoposte alle mutilazioni sessuali (escissione, infibulazione), soprattutto in Africa. Molte muoiono; le altre vivono per tutta la vita col pericolo di gravi infezioni e con mutilazioni permanenti.
In questo clima culturale — assai diffuso tra gli strati più poveri e degradati della popolazione di taluni Paesi — si comprende come il traffico delle donne possa aver luogo in misura così vasta e in forme tanto disumane.
 
Che cos’è il «traffico delle donne»?
Col termine «traffico di donne» s’intende il commercio umano, la «tratta», che ha come prodotto di base le donne, sia adulte, sia giovani e bambine. Tale commercio comprende il reclutamento, il trasporto e la vendita di tali persone a scopo di sfruttamento sessuale nei locali di divertimento, negli alberghi, nelle basi militari, nei luoghi di turismo internazionale. Alla base del traffico ci sono la violenza e l’inganno. Il suo meccanismo è complesso. Per il reclutamento ci si serve di tutti i mezzi per ingannare le vittime, come le promesse menzognere di impieghi lucrativi, i falsi matrimoni e le altre forme di seduzione, oppure si ricorre alla violenza, alle minacce e all’uso di droghe per costringere le donne a lasciare il luogo di residenza. Una volta reclutate, le vittime vengono trasportate nei luoghi in cui c’è richiesta di donne per uso sessuale. Di ciò si occupano le mafie dei vari Paesi, le quali formano una rete internazionale che ha tentacoli dappertutto e trova assai spesso validi alleati nelle polizie e negli organi giudiziari.
Per l’Italia, la mafia maggiormente impegnata nel traffico delle donne è quella calabrese, la ‘ndrangheta, strettamente collegata sia con le mafie colombiane per il traffico della cocaina, sia con le potenti mafie albanesi, a loro volta collegate con le mafie turche, afghane e asiatiche, per il traffico di eroina e, soprattutto, per il traffico di donne, di cui rifornire i bordelli dell’Europa; sono infatti assai richieste le ragazze da 5 a 15 anni di età, per evitare agli uomini che le useranno l’infezione del virus Hiv-Aids.
Secondo le cifre fornite dall’Onu, nel corso degli ultimi dieci anni, 30 milioni di donne sono state oggetto di «tratta» nel mondo, sia per scopi lavorativi (le ragazze vengono vendute a ricche famiglie per compiere lavori domestici e, insieme, per i bisogni sessuali dei maschi della famiglia), sia per scopi di prostituzione.
 L’Asia, maggiore centro del commercio mondiale delle donne.
Un caso paradigmatico è quello dell’India. Questo grande Paese, che conta ormai oltre un miliardo di abitanti, è insieme luogo di reclutamento, di transito e di destinazione di questa tratta della vergogna. Gli Stati del Sud, come l’Andhra Pradesh, il Tamil Nadu e il Karnataka, come pure le regioni tribali del Jharkhand, del Chhattisgarh, dell’Orissa e gli Stati del Nord-Est, sono le principali zone di reclutamento di donne e di bambine, inviate poi come schiave domestiche e sessuali verso le grandi metropoli e le spiagge di Goa.
Tuttavia è assai più redditizio il traffico di donne a livello internazionale. Più di 500.000 donne del Bangladesh sono state destinate all’India, al Pakistan e al Medio Oriente. Si calcola che dal Nepal sono state trasportate in India 200.000 donne, con un flusso medio di 5.000/7.000 donne ogni anno. Almeno il 20% di esse sono ragazze con meno di 16 anni che finiscono nei bordelli di grandi città come Puna, Bombay e New Delhi. Su una stima di 2,3 milioni di donne indiane vittime della prostituzione, almeno un quarto sono minori provenienti dal Nepal e dal Bangladesh. Esistono poi in India più di 1.000 «quartieri di prostitute», conosciuti internazionalmente come red-light districts (distretti a luci rosse).
L’Asia è l’epicentro del traffico internazionale delle donne. La Thailandia è il luogo di destinazione di 20-30.000 donne birmane, vittime di promesse menzognere di lavoro. Concretamente, il numero delle case chiuse in Thailandia è di circa 80.000; ma in certe «case» non ci sono donne thailandesi: sono tutte donne straniere, provenienti dalla Birmania, dalla Cina del Sud, dal Laos, dalla Cambogia, dal Vietnam e da altri Paesi situati nell’Europa dell’Est e in America Latina. Nel 2000 si calcolava in due milioni il numero delle donne di nazionalità straniera che «lavoravano» nell’industria del sesso.
Paradossalmente, mentre alcuni Paesi asiatici si arricchiscono, le donne di questi Paesi sono vittime del traffico sessuale. Così si possono trovare prostitute della Malaysia a Hong Kong e in Australia. Donne thailandesi sono dirette verso il Giappone, Taiwan, l’Australia, la Malaysia e il Medio Oriente. Ragazze coreane sono inviate a Hong Kong e in Giappone, il quale è il Paese asiatico che detiene il più importante mercato dell’industria del sesso, per quanto concerne le donne asiatiche. Infatti sono più di 150.000 le donne straniere, in maggioranza thailandesi e filippine, ad essere impiegate nel settore giapponese della prostituzione.
 
Il turismo sessuale.
Negli ultimi dieci anni i Paesi asiatici sono divenuti quelli in cui si è maggiormente sviluppato il commercio delle donne. Tutto è cominciato negli anni Settanta del secolo scorso, quando una forte pressione internazionale fu esercitata sui Paesi asiatici, perché sviluppassero l’industria del turismo come la via più facile e più sicura per uscire dalla loro condizione di povertà. Le grandi bellezze naturali e le ricchezze culturali di tali Paesi avrebbero attirato un gran numero di europei e di americani e un fiume di denaro si sarebbe riversato su di essi, costituendo il motore dello sviluppo di tutto il continente asiatico.
In realtà, in pochi anni si è sviluppata l’industria del turismo, ma anche con un carattere particolare, quello sessuale, per cui alcuni Paesi asiatici, come la Thailandia, sono divenuti la mèta sospirata di europei e americani, desiderosi di fare esperienze sessuali esotiche con donne giovani e, soprattutto, adolescenti e bambine. In tal modo, il turismo sessuale è divenuto una delle principali e forse la principale fonte di ricchezza per vari Paesi. Per tale motivo, il turismo sessuale è stato incoraggiato e favorito dagli Stati, chiudendo gli occhi sulle spaventose tragedie che esso rappresentava per milioni di donne, sacrificate per la «prosperità» nazionale. Si calcola che il turismo sessuale faccia guadagnare alla sola Indonesia 1,2-3,6 miliardi di dollari ogni anno.
 
Il «servizio» delle donne oggetto della «tratta».
Come si svolge il «servizio» delle donne? Nei contratti di lavoro per dipendenti di alto livello sono previsti servizi di «riposo e di divertimento» e vacanze all’estero: in tali contratti è incluso il «servizio» di donne. Queste poi «servono» nei bar, nelle ville sulle spiagge, negli alberghi, nelle discoteche, nei caffè, nei centri di massaggio, nelle sale di ginnastica, nei club porno: tutti locali nei quali le donne devono prestarsi a soddisfare le fantasie sessuali di una clientela maschile priva di scrupoli. Per sé, nei contratti che le donne stipulano con il trafficante è scritto che esse dovrebbero danzare, servire in un bar, accogliere e distrarre i turisti. Ma è tutto un tragico inganno, compresa la promessa di un alto compenso. Una volta che la donna è in mano a un trafficante, costui si impadronisce del passaporto e dei documenti personali, nel caso che li abbiano, le costringe ai più avvilenti servizi sessuali e impone loro di pagare il debito contratto con lui per il trasporto e l’ingaggio, che può andare da 3.000 a 30.000 dollari, a seconda del Paese di provenienza. In certi Stati, il traffico di donne oggi è sofisticato e si serve di internet per promuovere le cyberprostitute o le donne temporaneamente vostre: il cliente detta alla donna gli atti sessuali che egli vuole che lei compia.
Un altro «servizio» che le donne asiatiche oggetto della «tratta» sono costrette a rendere è il lavoro domestico presso famiglie facoltose: si tratta di una vera schiavitù domestica, poiché le donne che vi sono costrette non solo sono adibite a lavori pesanti, ma sono alla mercè dei loro padroni e dei figli maschi per uso sessuale. Questa è la triste esperienza di donne del Nepal e del Bangladesh in India, di donne indiane nel Medio Oriente e di donne filippine in quasi tutti i Paesi. Il fatto grave è che queste donne — generalmente povere, poco istruite e provenienti da ambienti rurali — sole e spesso senza documenti si trovano al di fuori del sistema di protezione sociale e legale dei loro Paesi di provenienza e non possono beneficiare della protezione giuridica dei Paesi in cui «lavorano». Perciò non resta loro che affidarsi al trafficante che le ha condotte nel Paese in cui si trovano e a diventarne schiave.
Una terza forma di «servizio» richiesta alle schiave asiatiche della tratta è quella di «sposare» un occidentale. Agenzie matrimoniali negli Stati Uniti, nel Canada, in Australia, in Gran Bretagna, in Germania offrono ai loro clienti una «sposa» orientale, che essi possono scegliere da un catalogo di donne orientali. Una volta che queste «spose per posta» giungono attraverso i trafficanti internazionali nei Paesi richiedenti, vengono date a uomini che possono esercitare su di esse terribili violenze di ogni genere, soprattutto sessuali. Si tratta quasi sempre di giovani tra i 20 e i 25 anni, acquistate da uomini di più di 50 anni. Acquistando una «sposa» orientale, questi uomini fanno un ottimo affare: hanno una schiava sessuale, una persona che si occupa di loro e una serva che si occupa della casa: tre persone al prezzo di una sola!
C’è poi in alcuni Paesi asiatici il sistema della «sposa a tempo». Così gli arabi che risiedono nel Pakistan per un breve periodo possono prendersi una donna che cucina, lava i panni e soddisfa i loro desideri sessuali. Al termine del soggiorno la donna è abbandonata e, se sono nati dei figli, tocca a lei prendersene cura. Ci sono poi i falsi matrimoni. Donne vietnamite accettate in Cina, dove sperano di trovare un lavoro, sono vendute come spose o concubine a cinesi, generalmente in province lontane, da dove non possono fuggire. Data poi la sproporzione tra uomini e donne, dovuta al fatto che milioni di bambine cinesi sono state uccise durante la «campagna per un solo figlio (maschio)», talune donne sono costrette a diventare spose di un uomo e dei suoi figli maschi. Spose del Bangladesh e del Nepal sono cedute dai loro mariti a uomini indiani. Molti pakistani si sono sposati con donne emigrate dalla Birmania per sfuggire alla dittatura e le hanno costrette a tessere tappeti. I loro figli, raggiunta l’età di 4-5 anni, diventano apprendisti tessitori. In tal modo, questo sistema procura agli uomini un’amante, una lavoratrice e una riproduttrice di mano d’opera per l’industria di esportazione di tappeti. Così, dietro la facciata di un matrimonio, si nascondono situazioni di schiavitù che sono una delle forme del traffico di donne esistenti nel Pakistan.
Quanto abbiamo detto sin qui potrebbe far pensare che il traffico delle donne per scopi sessuali sia un problema principalmente asiatico. Invece è un problema mondiale, che esiste in tutti i continenti. Si pensi al traffico di donne nigeriane che vengono condotte in Italia con la promessa di trovare un lavoro, anche se molte sono consapevoli della fine cui sono destinate, e, una volta giunte nel nostro Paese, vengono private del loro passaporto e affidate a madame nigeriane, che le avviano alla prostituzione sia sulle strade sia in locali chiusi appropriandosi del denaro guadagnato, che deve servire per pagare il debito, sempre enorme, contratto col trafficante che le ha condotte in Italia.
Si pensi al traffico di donne che dai Paesi dell’Europa dell’Est, come la Moldavia, la Bielorussia, l’Ucraina, vengono condotte con l’inganno di promesse fasulle o con la violenza, ma anche con il miraggio di lauti guadagni ottenuti prostituendosi nei Paesi ricchi dell’Europa, sempre bisognosa di nuova merce per il necessario ricambio e per le crescenti richieste dei cittadini europei, nonostante che a livello politico e giuridico ci si batta con forza per i diritti delle donne.
Si deve, purtroppo, rilevare che questo drammatico problema del «traffico delle donne» nel mondo di oggi è assai poco sentito e considerato, tanto che quasi non se ne parla e non se ne discute. Quanti, ad esempio, hanno saputo che il 23 agosto 2005 è stata celebrata la Giornata internazionale della lotta contro la schiavitù in tutte le sue forme (lavoro forzato, lavoro dei bambini, prostituzione, turismo sessuale, traffico delle donne a scopo sessuale) e per la sua abolizione? E, d’altra parte, mancando ancora a livello mondiale un impegno serio contro il traffico delle droghe, come si può sperare che si voglia combattere il traffico delle donne?
Eppure si tratta di un problema di grave violazione dei diritti umani. In realtà, il «traffico delle donne» viola in maniera evidente il diritto fondamentale alla vita e alla dignità umana; viola il diritto alla salute, alla libertà e alla sicurezza delle persone, il diritto a non subire violenze, crudeltà e trattamenti degradanti. Per le bambine e le giovani che sono oggetto del traffico si viola il diritto all’educazione e a non essere vittime di matrimoni forzati. Dietro queste gravi violazioni di essenziali diritti umani ci sono enormi interessi, poiché il traffico delle donne è una delle attività più redditizie per le mafie di tutti i Paesi; per tale motivo le organizzazioni criminali nazionali e internazionali non lo abbandoneranno se non costrette da una impegnativa e costante azione anticrimine degli Stati, condotta a livello internazionale. Purtroppo, c’è da dubitare che ci sia oggi la volontà di combattere in maniera seria ed efficace il «traffico delle donne». Si tratta, infatti di un problema che è meglio far finta di non vedere e sul quale conviene tacere.
Giuseppe De Rosa S.I.
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