Riflessioni spirituali sulla tematica ecologica. A cura del Dicastero per la Pastorale Giovanile Salesiana.
Una delle sfide maggiori dell’ecologia integrale è far capire quali connessioni esistono tra la crisi ambientale e la crisi sociale. Per ascoltare il grido della creazione dobbiamo necessariamente ascoltare anche il grido dei poveri, e – viceversa – il grido dei poveri non si può comprendere a pieno se non lo si collega al grido della creazione. In troppi paesi, già estremamente sfruttati e impoveriti, intere comunità pagano il prezzo dei cambiamenti climatici, degli eventi meteorologici estremi e dei disastri ambientali. In troppi casi, lo stile di vita occidentale e del Nord del mondo è complice dello sfruttamento; il consumismo esasperato è causa del depauperamento di intere regioni del mondo. La terra grida insieme al suo popolo.
Con l’aiuto di Papa Francesco, cerchiamo di capire le connessioni, metterci nell’atteggiamento di ascolto e condivisione della sofferenza dei poveri e attiviamoci per assumerci le nostre responsabilità positive per cambiare la situazione. Con Don Bosco, scegliamo anche noi di stare nelle periferie del mondo, accanto ai giovani più emarginati e poveri, per costruire attorno a loro un ambiente sociale e naturale degno della creazione di Dio e per garantire loro un futuro giusto e sostenibile.
C’è un’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta. Ci sono due mondi, il Nord e il Sud, ma noi dobbiamo lottare per un mondo unico.
Che connessioni troviamo tra il degrado sociale e quello ambientale? Riusciamo a percepirne i legami? Come possiamo adottare approcci, atteggiamenti e stili di vita che rispettino gli altri e il pianeta?
La parabola del buon samaritano è un’icona illuminante, capace di mettere in evidenza l’opzione di fondo che abbiamo bisogno di compiere per ricostruire questo mondo che ci dà pena. Davanti a tanto dolore, a tante ferite, l’unica via di uscita è essere come il buon samaritano. Ogni altra scelta conduce o dalla parte dei briganti oppure da quella che di coloro che passano accanto senza avere compassione del dolore dell’uomo ferito lungo la strada. La parabola ci mostra con quali iniziative si può rifare una comunità a partire da uomini e donne che fanno propria la fragilità degli altri, che non lasciano edificare una società di esclusione, ma si fanno prossimi e rialzano e riabilitano l’uomo caduto, perché il bene sia comune. Nello stesso tempo, la parabola ci mette in guardia da certi atteggiamenti di persone che guardano solo a sé stesse e non si fanno carico delle esigenze ineludibili della realtà umana.
L’ambiente umano e l’ambiente naturale si degradano, e non potremo affrontare adeguatamente il degrado ambientale, se non prestiamo attenzione alle cause che hanno attinenza con il degrado umano e sociale. Di fatto, il deterioramento dell’ambiente e quello della società colpiscono in modo speciale i più deboli del pianeta. L’impatto degli squilibri attuali si manifesta anche nella morte prematura di molti poveri, nei conflitti generati dalla mancanza di risorse e in tanti problemi che non trovano spazio sufficiente nelle agende del mondo.
Invece di risolvere i problemi dei poveri e pensare a un mondo diverso, alcuni si limitano a proporre una riduzione della natalità. Non mancano pressioni internazionali sui Paesi in via di sviluppo che condizionano gli aiuti economici a determinate politiche di “salute riproduttiva”. Però, «se è vero che l’ineguale distribuzione della popolazione e delle risorse disponibili crea ostacoli allo sviluppo e ad un uso sostenibile dell’ambiente, va riconosciuto che la crescita demografica è pienamente compatibile con uno sviluppo integrale e solidale». Incolpare l’incremento demografico e non il consumismo estremo e selettivo di alcuni, è un modo per non affrontare i problemi. Si pretende così il legittimare l’attuale modello distruttivo, in cui una minoranza si crede in diritto di consumare in una proporzione che sarebbe impossibile generalizzare, perché il pianeta non potrebbe nemmeno contenere i rifiuti di un simile consumo. Inoltre, sappiamo che si spreca approssimativamente un terzo degli alimenti che si producono, e «il cibo che si butta via è come se lo si rubasse dalla mensa del povero».
L’iniquità non colpisce solo gli individui, ma Paesi interi, e obbliga a pensare ad un’etica delle relazioni internazionali. C’è infatti un vero “debito ecologico”, soprattutto tra il Nord e il Sud, connesso a squilibri commerciali con conseguenze in ambito ecologico, come pure all’uso sproporzionato delle risorse naturali compiuto storicamente da alcuni Paesi. Le esportazioni di alcune materie prime per soddisfare i mercati nel Nord industrializzato hanno prodotto danni locali, come l’inquinamento da mercurio nelle miniere d’oro o da ossido di zolfo in quelle di rame. In modo particolare c’è da calcolare l’uso dello spazio ambientale di tutto il pianeta per depositare rifiuti gassosi che sono andati accumulandosi durante due secoli. Il riscaldamento causato dell’enorme consumo di alcuni Paesi ricchi ha ripercussioni nei luoghi più poveri della terra, specialmente in Africa, dove l’aumento della temperatura unito alla siccità ha effetti disastrosi sul rendimento delle coltivazioni. A questo si uniscono i danni causati dall’esportazione verso i Paesi in via di sviluppo di rifiuti solidi e liquidi tossici e dall’attività inquinante di imprese che fanno nei Paesi meno sviluppati ciò che non possono fare nei Paesi che apportano loro capitale:«Constatiamo che spesso le imprese che operano così sono multinazionali, che fanno qui quello che non è loro permesso nei Paesi sviluppati o del cosiddetto primo mondo. Generalmente, quando cessano le loro attività e si ritirano, lasciano grandi danni umani e ambientali, come la disoccupazione, villaggi senza vita, esaurimento di alcune riserve naturali, deforestazione, impoverimento dell’agricoltura e dell’allevamento locale, crateri, colline devastate, fiumi inquinati e qualche opera sociale che non si può più sostenere.
Il debito estero dei Paesi poveri si è trasformato in uno strumento di controllo, ma non accadde la stessa cosa con il debito ecologico. In diversi modi, i popoli in via di sviluppo, dove si trovano le riserve più importanti della biosfera, continuano ad alimentare lo sviluppo dei Paesi più ricchi a prezzo del loro presente e del loro futuro. La terra dei poveri del Sud è ricca e poco inquinata, ma l’accesso alla proprietà dei beni e delle risorse per soddisfare le proprie necessità vitali è loro vietato da un sistema di rapporti commerciali e di proprietà strutturalmente perverso.
Gesù racconta che c’era un uomo ferito, a terra lungo la strada, che era stato assalito. Passarono diverse persone accanto a lui ma se ne andarono, non si fermarono. Erano persone con funzioni importanti nella società, che non avevano nel cuore l’amore per il bene comune. Non sono state capaci di perdere alcuni minuti per assistere il ferito o almeno per cercare aiuto. Uno si è fermato, gli ha donato vicinanza, lo ha curato con le sue stesse mani, ha pagato di tasca propria e si è occupato di lui. Soprattutto gli ha dato una cosa su cui in questo mondo frettoloso lesiniamo tanto: gli ha fato il proprio tempo. Sicuramente egli aveva i suoi programmi per usare quella giornata secondo i suoi bisogni, impegni o desideri. Ma è stato capace di mettere tutto da parte davanti a quel ferito, e senza conoscerlo lo ha considerato degno di ricevere il dono del suo tempo.
Con chi ti identifichi? Questa domanda è dura, diretta e decisa. A quale di loro assomigli? Dobbiamo riconoscere la tentazione che ci circonda di disinteressarci degli altri, specialmente dei più deboli. Diciamolo, siamo cresciuti in tanti aspetti ma siamo analfabeti nell’accompagnare, curare e sostenere i più fragili e deboli delle nostre società sviluppate. Ci siamo abituati a girare lo sguardo, a passare accanto, a ignorare le situazioni finché queste non ci toccano direttamente.
Aggrediscono una persona per la strada, e molti scappano come se non avessero visto nulla. Spesso ci sono persone che investono qualcuno con la loro automobile e fuggono. Pensano solo a non avere problemi, non importa se un essere umano muore per colpa loro. Questi però sono segni di uno stile di vita generalizzato, che si manifesta in vari modi, forse più sottili. Inoltre, poiché tutti siamo molto concentrati sulle nostre necessità, vedere qualcuno che soffre ci dà fastidio, ci disturba, perché non vogliamo perdere tempo per colpa dei problemi altrui. Questi sono sintomi di una società malata, perché mira a costruirsi voltando le spalle al dolore.
Meglio non cadere in questa miseria. Guardiamo il modello del buon samaritano. È un testo che ci invita a far risorgere la nostra vocazione di cittadini del nostro Paese e del mondo intero, costruttori di un nuovo legame sociale. È un richiamo sempre nuovo, benché sia scritto come legge fondamentale del nostro essere: che la società si incammini verso il perseguimento del bene comune e, a partire da questa finalità, ricostruisca sempre nuovamente il suo ordine politico e sociale, il suo tessuto di relazioni, il suo progetto umano. Coi suoi gesti il buon samaritano ha mostrato che «l’esistenza di ciascuno di noi è legata a quella degli altri: la vita non è tempo che passa, ma tempo di incontro».
Chiediamo al Signore che ci doni un cuore aperto e generoso.
10 modi per essere vicini ai poveri e alla terra.
Condividiamo con gli amici qualcosa di bello che ci è accaduto, o che abbiamo conquistato con fatica.
Usiamo le parole: Grazie, Per favore e Scusa, anche quando ci viene difficile.
Apriamo il cuore o la nostra casa a chi sentiamo distante da noi.
Andiamo a visitare un malato.
Vediamo/riconosciamo Gesù nei più poveri?
Acquistiamo solo ciò che davvero ci serve.
Impariamo a desiderare e apprezzare ciò che già abbiamo.
Rinunciamo a spendere più del necessario per un prodotto.
Facciamo attenzione provenienza dei prodotti che acquistiamo e al rispetto dell’ambienti e dei diritti umani nei processi produttivi.
Chiediamo perdono e offriamo il perdono.
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