Un rapido profilo di Giovanni Paolo II, in segno di riconoscenza per quanto egli ha fatto per la Chiesa, per il mondo e per ciascuno di noi. Egli infatti ha illuminato la nostra fede e ha aperto il nostro cuore alla speranza. A tale proposito vengono ricordati alcuni temi che hanno segnato il suo pontificato. In primo luogo, quello dell'annuncio e della difesa della fede e della morale cristiana. Poi l'ecumenismo e il dialogo con l'ebraismo e con le altre religioni. Si ricorda inoltre la difesa che egli ha compiuto della dignità della persona umana, del diritto alla vita, della libertà e, in particolare, della libertà religiosa. Particolarmente attento è stato Giovanni Paolo II ai problemi drammatici della giustizia sociale. Infine, una delle maggiori sue preoccupazioni è stata la ricerca della pace.
del 22 aprile 2005
 
Mentre con i cristiani di tutto il mondo eleviamo la preghiera al Signore della vita perché accolga nella sua pace l’anima del nostro «padre nella fede» Giovanni Paolo II, sentiamo il dovere di tracciarne qui un rapido profilo in segno di riconoscenza per quanto egli ha fatto per la Chiesa di Dio, per il mondo intero e per ciascuno di noi. Se infatti è ancora presto per tracciare un bilancio circostanziato delle «grandi cose» che egli ha realizzato, animato dallo Spirito Santo, possiamo fin d’ora affermare che egli è stato un grande testimone di Cristo e del Vangelo, e ciascuno di noi gli è grato, perché, in un tempo in cui la fede cristiana è stata messa a dura prova, ha illuminato e confermato la nostra fede e, in un tempo in cui il male tante volte ha mostrato il suo volto peggiore, ha aperto il nostro cuore alla speranza. In realtà, due sue espressioni — che sono di fede e di speranza — sembrano dare il senso del suo pontificato e, in un certo modo, riassumerlo.
 
La prima — «Non abbiate paura. Aprite le porte a Cristo!» — la pronunciò all’inizio del suo pontificato: era un invito ad accogliere con fiducia Gesù e il suo messaggio trasmesso dalla Chiesa, senza temere che l’accettazione della fede potesse attentare alla dignità e ai valori dell’uomo, anzi con la certezza che Cristo, l’Uomo perfetto, porta a compimento, divinizzandola, l’«umanità» della persona e le dà pienezza di senso, illuminando il mistero che l’uomo è a se stesso. Questo invito Giovanni Paolo II l’ha rivolto, senza stancarsi, durante tutto il suo pontificato: con i suoi viaggi apostolici lo ha portato personalmente fino ai confini del mondo.
 
La seconda — Duc in altum! («Prendi il largo!» per la pesca) — la pronunciò a chiusura del Grande Giubileo dell’anno 2000, mentre si apriva per la Chiesa e per il mondo un nuovo secolo: si trattava, per la Chiesa, di non aver paura di entrare in mare aperto — il mare sempre minaccioso della storia umana — confidando non nelle proprie misere forze, ma nella potenza di Cristo, il Signore della storia umana, che è con la sua Chiesa «fino alla fine del mondo». In realtà, il secolo da cui viene la Chiesa è stato un tempo per essa assai difficile, sia per le persecuzioni subìte dai regimi totalitari, particolarmente crudeli e distruttrici, sia per l’opposizione del mondo moderno — segnato dal razionalismo laicista, dal positivismo scientista, dal relativismo etico, dal nichilismo e dall’umanesimo ateo — alla fede e alla morale cristiana. Iniziando il nuovo secolo, essa aveva perciò bisogno di essere stimolata ad affrontare con grande coraggio e fiducia i tempi nuovi. Fu ciò che Giovanni Paolo II fece con la Lettera apostolica Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), invitando i cristiani a tenere lo sguardo «fisso sul volto del Signore» (n. 16) e a «ripartire da Cristo», cioè ad «attingere un rinnovato slancio nella vita cristiana» dalla consapevolezza che Gesù è con loro: «Non ci seduce — egli scriveva — la prospettiva ingenua che, di fronte alle grandi sfide del nostro tempo, possa esserci una formula magica. No, non una formula ci salverà, ma una Persona, e la certezza che essa ci infonde: Io sono con voi» (n. 29).
 
Un momento forte del Giubileo del 2000 fu, all’inizio della Quaresima, la «purificazione della memoria» o la richiesta di perdono — era la prima volta nella storia della Chiesa — a Dio per le contraddizioni alla carità nel servizio della verità, per i gesti contro la comunione della Chiesa, per le offese verso qualsiasi popolo, per il ricorso alla logica della violenza, per le discriminazioni, le esclusioni, le oppressioni, il disprezzo dei poveri e degli ultimi compiuti dai cristiani nel corso della storia.
 
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Il problema che ha dominato il pontificato di Giovanni Paolo II è stato quello dell’annuncio e della difesa della fede e della morale cristiana. Infatti la sua più grande preoccupazione è stata l’evangelizzazione, che egli ha voluto «nuova» nella forma e nel metodo, ma fedele alla Tradizione apostolica e all’insegnamento dei Concili, in particolare del Concilio Vaticano II. Con i suoi innumerevoli viaggi apostolici — che sono stati una caratteristica del suo pontificato — il Papa non solo ha inteso annunciare il Vangelo a tutti gli uomini, ma ha voluto incoraggiare le Chiese locali a fare opera di evangelizzazione anche nelle difficili situazioni in cui esse talvolta vivono, per quanto riguarda la possibilità stessa di annunciare il Vangelo senza essere accusati di fare indebito proselitismo o di combattere le religioni tradizionali di ciascun Paese.
 
Allo scopo, poi, di dissipare dubbi e incertezze sulle verità della fede e della morale cristiana ha pubblicato il Catechismo della Chiesa Cattolica (11 ottobre 1992) come «norma sicura per l’insegnamento della fede». Particolare impegno egli ha posto — in un tempo di relativismo religioso — nella difesa dell’unicità e dell’universalità di Cristo, il Verbo di Dio, incarnato, morto e risorto, per la salvezza di tutti gli uomini. Così, nella dichiarazione Dominus Iesus (2000) della Congregazione per la Dottrina della Fede ha ribadito che Cristo è l’unico e universale Salvatore di tutti gli uomini, in continuazione con quanto aveva dichiarato nell’enciclica Redemptoris missio (1991).
 
Particolarmente intensa è stata la promozione e la difesa della morale cristiana da parte di Giovanni Paolo II: ad essa ha dedicato due encicliche — Veritatis splendor (1993) ed Evangelium vitae (1995) —, nelle quali, dopo aver proposto Cristo come maestro e modello della morale cristiana, fondata nella legge naturale ed elevata alla carità soprannaturale dalla parola, dall’esempio e dalla grazia redentrice di Cristo, ha rinnovato la condanna dell’aborto e dell’uccisione diretta e volontaria delle persone innocenti, e la condanna dell’eutanasia, promuovendo la cultura della vita.
 
Negli ultimi decenni del secolo XX e nei primi anni del XXI la lotta all’istituto familiare è stata particolarmente violenta e insidiosa. In particolare, si è tentato di scardinarne in ogni maniera la struttura con l’introduzione del divorzio e con la legalizzazione delle unioni di fatto e delle coppie omosessuali. Il Papa, in ogni occasione, non ha mancato di difendere il valore umano e cristiano della famiglia e della morale familiare, mostrando a quale rovina sociale conduca la dissoluzione della famiglia e di quante sofferenze e tragedie umane essa sia causa.
 
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L’ecumenismo è stato certamente una delle priorità della Chiesa del nostro tempo. La spinta essenziale è venuta dal Concilio Vaticano II; ma, pur avendo dovuto superare una mentalità antiecumenica che durava da secoli, Paolo VI e Giovanni Paolo II si sono posti coraggiosamente nella scia conciliare, avvertendo la gravità del peccato della divisione. Questa, infatti, ferisce l’unico corpo di Cristo, affievolendo la testimonianza di unità e di carità che la Chiesa è chiamata a dare a Gesù di fronte agli uomini del nostro tempo. Così, se Paolo VI iniziò il dialogo della carità e della conoscenza reciproca, che ebbe il suo vertice nell’abbraccio con il patriarca Atenagora e nell’abrogazione della reciproca scomunica tra Roma e Costantinopoli, Giovanni Paolo II non solo proseguì tale dialogo incontrando personalmente in tutti i suoi viaggi apostolici i capi delle Chiese e delle Comunità cristiane non pienamente unite con la Chiesa cattolica, ma diede un forte impulso ai dialoghi dottrinali, volti a giungere alla piena comunione nella fede apostolica e quindi a superare le divisioni in campo dogmatico.
 
Le difficoltà incontrate nel condurre avanti questi dialoghi dottrinali furono grandi, ma alcuni frutti ci furono e, in qualche caso, significativi, come il superamento del problema della terminologia nella processione dello Spirito Santo nella Trinità con gli ortodossi e l’accordo sulla giustificazione tra cattolici e luterani. Ma il cammino si rivelò lento e irto di ostacoli. Il Papa si rese conto in maniera assai viva che l’ostacolo maggiore alla piena unità tra i cristiani nell’unica Chiesa di Cristo — che già tuttavia «sussiste» nella Chiesa cattolica — era costituito dal primato di giurisdizione del Romano Pontefice su tutta la Chiesa nella forma definita dal Concilio Vaticano I. Per superare tale ostacolo, compì un gesto assai coraggioso, chiedendo ai pastori e ai teologi delle Chiese cristiane di cercare insieme le forme in cui il primato potesse «realizzare un servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri» (Ut unum sint, 25 maggio 1995, n. 95). «Compito immane — egli aggiungeva — che non possiamo rifiutare e che non posso portare a termine da solo. La comunione reale, sebbene imperfetta, che esiste tra noi, non potrebbe indurre i responsabili ecclesiali e i loro teologi a instaurare con me un dialogo fraterno, paziente, nel quale potremmo ascoltarci al di là delle sterili polemiche, avendo a mente soltanto la volontà di Cristo per la sua Chiesa?» (n. 96).
 
Notevole è stato l’impegno di Giovanni Paolo II per favorire il dialogo tra le grandi religioni del mondo, innanzitutto con l’ebraismo — va qui ricordata la sua visita alla sinagoga di Roma e il gesto compiuto al Muro del pianto, a Gerusalemme (2000) — per porre le condizioni di una migliore conoscenza e stima reciproca e poi anche per collaborare alla risoluzione dei grandi problemi dell’umanità, a cominciare da quello della pace. Emblematici rimangono a tal fine i due incontri interreligiosi di preghiera svoltisi ad Assisi.
 
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Alla difesa della fede e della morale cristiana Giovanni Paolo II ha strettamente congiunto la difesa dell’uomo, nella convinzione che la «causa di Dio» e la «causa dell’uomo» vanno di pari passo e stanno o cadono insieme. Infatti, dove Dio è negato, combattuto ed escluso, là l’uomo è negato nella sua dignità di persona, è umiliato e distrutto moralmente, spiritualmente e fisicamente: Giovanni Paolo II se n’è convinto, avendo fatto da giovane l’esperienza del nazismo e del comunismo, due ideologie antiteistiche e anticristiane che hanno compiuto i più orrendi delitti che la storia ricordi, causando la morte di milioni di persone innocenti.
 
Così, già nella sua prima enciclica, Giovanni Paolo II, partendo dall’affermazione conciliare che «con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo», insiste nel dire che «l’uomo, nella sua singolare realtà» e «nella piena verità della sua esistenza è la prima strada che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione; egli è la prima e fondamentale via della Chiesa: via tracciata da Cristo stesso, via che immutabilmente passa attraverso il mistero dell’Incarnazione e della Redenzione» (Redemptor hominis, 4 marzo 1979, n. 74).
 
Di qui l’impegno posto da Giovanni Paolo II nella difesa della dignità della persona in tutti gli esseri umani, ma soprattutto nei più deboli: i bambini, abbandonati in preda alla fame e alle malattie, i malati, gli handicappati, gli anziani soli e abbandonati, i profughi e i rifugiati. Possiamo qui ricordare la difesa che egli fa della «dignità della donna» nella lettera Mulieris dignitatem (1988), mettendo in risalto il «genio femminile». Soprattutto, si deve ricordare l’insistenza sul rispetto della vita umana: «La vita umana — egli afferma nell’enciclica Evangelium vitae (25 marzo 1995) — è sacra e inviolabile in ogni momento della sua esistenza, dal suo concepimento fino al suo esito naturale» (n. 2): di qui, l’affermazione che «l’essere umano va rispettato e trattato come persona fin dal suo concepimento, e, pertanto, da quello stesso momento gli si devono riconoscere i diritti della persona, tra i quali anzitutto il diritto inviolabile di ogni essere innocente alla vita» (n. 60).
 
Da rilevare anche la forte difesa che egli fa della libertà umana, di cui pur riconosce i limiti, sottolineando che l’uomo può rivolgersi a Dio soltanto nella libertà, che Dio gli ha dato come segno altissimo della sua immagine. Osserva, inoltre, che «l’esercizio della libertà implica il riferimento a una legge morale naturale, di carattere universale, che precede e accomuna tutti i diritti e tutti i doveri» (cfr Veritatis splendor, n. 50).
 
Un impegno particolarissimo Giovanni Paolo II ha posto nella difesa della libertà religiosa, oggi minacciata sia dal laicismo, sia dai fondamentalismi religiosi di vario colore: «Il riconoscimento effettivo del diritto alla libertà di coscienza e alla libertà religiosa è uno dei beni più alti e dei doveri più gravi di ogni popolo che voglia assicurare il bene della persona e della società» (Esortazione apostolica Christifideles laici, 1989, n. 39).
 
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Particolarmente attento è stato Giovanni Paolo II ai drammatici problemi della giustizia sociale, in un mondo scandalosamente diviso tra una minoranza di popoli ricchissimi, ai quali affluiscono beni e ricchezze sempre crescenti, e una grande maggioranza di persone che soffrono la fame e sono colpite da malattie che, se non le uccidono, le rendono in gran parte disabili per tutta la vita; non riescono a uscire dal sottosviluppo o fanno passi assai lenti sulla via dello sviluppo sociale, culturale, economico e sanitario. Non solo egli ha promulgato tre grandi encicliche sociali — Laborem exercens (1981), Sollicitudo rei socialis (1988) e Centesimus annus (1991) —, ma si è rivolto alle grandi Agenzie internazionali, in particolare alla FAO, chiedendo di intervenire con urgenza nelle situazioni più drammatiche di fame e di povertà. Purtroppo — come in altri campi, quale quello delle norme morali in campo familiare e sessuale — la sua voce non è stata molto ascoltata ai livelli più alti, che sono i soli a poter intervenire efficacemente. Per l’onore dell’umanità — che non tutta è sorda e cieca quando si tratta dei grandi problemi sociali — gli interventi più efficaci si sono avuti da parte del volontariato, sia di ispirazione religiosa, particolarmente cattolica, sia di ispirazione non strettamente ed esplicitamente religiosa (laica, ma non laicista).
 
A questo proposito non possiamo non ricordare l’opera — spesso eroica e, talvolta, pagata con la morte — di missionari, di religiosi e religiose, di laici e laiche, che per amore di Cristo e dei fratelli sofferenti hanno speso le forze e la vita per aiutare, sfamare, curare e istruire. Essi sono — per usare un’espressione paolina — la «gloria di Cristo» e della Chiesa. Giovanni Paolo II non ha mancato di mettere la Chiesa sulla strada, difficile, della carità che queste persone hanno percorso con tanti sacrifici: questo è il senso delle moltissime beatificazioni e canonizzazioni da lui compiute.
 
Vogliamo infine ricordare l’attenzione che Giovanni Paolo II ha rivolto al problema del debito estero, che grava come un macigno sulle economie di molti Paesi in via di sviluppo più poveri. Nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1986, tra le minacce alla pace mondiale, pone «la situazione finanziaria imprevedibile e fluttuante col suo diretto impatto sui Paesi con forti debiti in lotta per raggiungere un qualche positivo sviluppo» (n. 2).
 
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Una delle maggiori preoccupazioni del pontificato di Giovanni Paolo II è stata — continua e angosciosa durante oltre un quarto di secolo — la ricerca della pace. Dapprima, egli si è validamente impegnato per evitare al suo Paese, la Polonia, il disastro di una nuova invasione sovietica; poi si è adoperato perché il crollo dell’Unione Sovietica, avvenuto con Gorbaciov e Eltsin, non si tramutasse in tragedia per i popoli e le nazioni che ne facevano parte; nello stesso tempo si è adoperato per la composizione della vertenza tra lo Stato di Israele e l’Autorità Nazionale Palestinese. Dopo il suo intervento in Argentina e nel Regno Unito per la composizione della questione delle isole Falkland-Malvinas, si è adoperato per evitare, nel 1991, la prima guerra tra Stati Uniti e Iraq, purtroppo senza riuscirvi; ha promosso l’«intervento umanitario» nei Paesi dell’ex Iugoslavia, e ha cercato, ancora una volta senza successo, nel 2003, di evitare la seconda guerra irachena, cosiddetta «preventiva».
 
Nello stesso tempo, continuando la tradizione di Paolo VI, ogni anno, il 1° gennaio, ha inviato ai Capi di Stato e a tutti i responsabili del mantenimento della pace nel mondo un Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace. Questo impegno per la pace non è un fatto politico, anche se ha conseguenze politiche, ma ha un motivo religioso. Infatti, la promozione della pace nel mondo è parte integrante della missione con cui la Chiesa continua l’opera redentrice di Cristo sulla terra. Ha scritto infatti nel Messaggio 2000: «La Chiesa è, in Cristo, “sacramento”, segno e strumento della pace nel mondo e per il mondo» (n. 20).
 
Chiudendo questo «ricordo» di Giovanni Paolo II, gli chiediamo che, come ha fatto tante volte mentre era tra noi, continui a pregare il Dio della pace per la pace nella Chiesa e nel mondo. Infatti, la Chiesa lotta per la pace anzitutto con la preghiera.
 
 
© La Civiltà Cattolica 2005 II 105-111           quaderno 3716
Editoriale
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