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In teatro "educativo" di don Bosco

Quando parliamo di “Protagonismo dei giovani” in campo educativo, non c'è miglior mezzo per dimostrarlo e renderlo concreto ed efficace che quello dell'esperienza teatrale. Educativo non è tanto il teatro “per”, quanto il teatro “dei” ragazzi e giovani, quello da loro ideato, interpretato e realizzato. Per Don Bosco non esisteva un “teatro per il teatro”...


In teatro 'educativo' di don Bosco

da Quaderni Cannibali

del 17 maggio 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 

          Per Don Bosco non esisteva un “teatro per il teatro”: o era educativo o “non era”! I riflettori erano puntati sui giovani o giovanissimi attori; insomma non si recitava tanto “per il pubblico” quanto piuttosto per gli stessi attori, per la loro formazione. Ecco perché risultava indispensabile la presenza dell’educatore. 

          Grande peso culturale ebbero le opere di Jacques Copeau (1879-1949) e di Henry Ghéon (1875-1944): la maggior parte degli studiosi fanno risalire a loro le origini del Teatro educativo. Ma già mezzo secolo prima, un prete piemontese aveva messo il Teatro in una posizione privilegiata della sua azione educativa. Si trattava di Don Bosco, e la sua fu una novità assoluta per la società contemporanea (andavano per la maggiore le tragedie di Alfieri e i melodrammi di Verdi), ma anche per quegli Istituti religiosi (gesuiti, barnabiti, ecc.) che allestivano spettacoli per i figli dei nobili. Don Bosco ebbe l’ardire di mettere sul palco spazzacamini, manovali, muratori, insomma i suoi “ragazzi di strada” e dar loro la possibilità di esprimersi. Un secolo e mezzo fa i ragazzi rispetto agli adulti erano tenuti in grado di soggezione assai più pesante di quanto non facciano gli educatori più rigorosi di oggi. Per i “suoi” ragazzi, dunque, Don Bosco inventò quel genere di “Teatrino” che “funzionasse” per un obiettivo meno spettacolare, ma più determinante: la loro educazione.

          All’Oratorio, per ogni rappresentazione venivano coinvolti decine e decine di giovani attori, sostituti, musicisti, solisti, coristi, tecnici delle scene, costumisti, suggeritori. In rappresentazioni successive i ruoli venivano scambiati per offrire ad ognuno la possibilità di esperienze diverse e quindi occasioni di divertimento, crescita e maturazione. E i giovani buttavano l’anima per offrire il meglio di sé.

I GIOVANI AL CENTRO

          La grande tentazione è porre come scopo primario del teatro quello di competere, fare bella figura, soddisfare le aspettative di genitori e animatori. Simpatico quell’avviso parrocchiale comparso nella bacheca di una chiesa: “I bambini del Catechismo sabato prossimo rappresenteranno l’Amleto di Shakespeare. Siete tutti invitati ad assistere a questa tragedia”. In proposito Don Bosco è chiarissimo quando scrive nel Regolamento del Teatrino: “La materia deve essere adattata agli autori, cioè servire di istruzione e di ricreazione agli allievi senza badare agli esterni”.

          Quando parliamo di “Protagonismo dei giovani” in campo educativo, non c’è miglior mezzo per dimostrarlo e renderlo concreto ed efficace che quello dell’esperienza teatrale. Educativo non è tanto il teatro “per” quanto il teatro “dei” ragazzi e giovani, quello da loro ideato, interpretato e realizzato: vera educazione all’espressione, all’osservazione, alla libertà, possibile in un quadro pedagogico totalmente antiautoritario, così come si va delineando nella moderna pedagogia. I giovani debbono essere presenti in ogni fase dell’allestimento teatrale, dalla scelta del testo, alla fase realizzativa, all’organizzazione dell’evento spettacolare. Discussione delicata è quella dell’attribuzione delle parti. Anche qui crediamo che il ruolo dell’educatore sia quello propositivo. Si suppone che egli conosca in maniera approfondita i suoi giovani, nel loro cammino di maturazione, nei loro bisogni, nelle loro qualità, nel loro carattere e temperamento.

          Sebbene i giovani possano appoggiarsi ad adulti disponibili (mamme e nonne sarte, papà carpentieri e tuttofare per le scene, ecc.), tuttavia la responsabilità dell’organizzazione deve gravare sulle loro spalle. Occorre, allora, impiantare un organigramma in cui i vari settori siano coperti da giovani, ma è anche indispensabile far riferimento ad adulti competenti: un regista, una coreografa, uno scenografo, un musicista, un maestro di canto. L’équipe organizzativa formata dagli stessi giovani coordina l’intero allestimento. 

TEATRO FATTO PER I GIOVANI

          L’unico motivo del far teatro è quello di giovare all’educazione dei giovani che lo fanno. Lo stesso Don Bosco, in una preziosa conversazione avuta con don Barberis, così sintetizzava i vantaggi e il valore educativo del Teatrino: “Il Teatro, se le commedie sono ben scelte,

1. È scuola di moralità, di buon vivere sociale e, talora, di santità.

2. Sviluppa assai la mente di chi recita e gli dà disinvoltura.

3. Reca allegria ai giovani che vi pensano molti giorni prima e molti giorni dopo. L’allegria, svegliata da questi teatrini, decise alcuni a fermarsi in congregazione.

4. È uno dei mezzi potentissimi per occupare le menti. Quanti pensieri cattivi o cattivi discorsi allontana, richiamando ivi tutta l’attenzione e tutte le conversazioni!

5. Attira molti giovani nei nostri collegi, perché nelle vacanze i nostri allievi raccontano ai parenti, ai compagni, agli amici l’allegria delle nostre case”. (M.B. XIII, pp. 135-136).

Don Bosco ci stupisce per quanto miri in alto: teatro come scuola di santità, come veicolo vocazionale, come calamita per iscrizioni alle nostre opere. E tuttavia il teatro promuove ancora altri valori:

-         fa emergere qualità che gli stessi giovani non sanno di possedere;

-         abitua a lavorare con sacrificio;

-         mette gomito a gomito giovani e adulti coinvolti nello stesso progetto;

-         è esercizio d’arte, di lingua, di dizione, di controllo e gestione del corpo;

-         è esperienza di gioco, di attività sociale, controllo e autocontrollo di emozioni;

-         costruisce appartenenza, fondamentale per una crescita identitaria di ogni giovane;

-         accumula ricordi belli, emozioni forti che accompagneranno i giovani per moltissimo tempo.

           In teatro si diventa amici. “Se vuoi che siano fratelli, obbligali a costruire una torre. Ma se vuoi che si odino, getta loro del grano”, dice Antoine de Saint-Exupéry. Messi insieme a costruire, i ragazzi imparano ad accettarsi, a scoprirsi, ad inserirsi; recitando insieme sono costretti dall’interno del loro io ad eliminare le forze negative, ad affrancarsi dal loro “io ribelle” per accettare il lavoro in e con il gruppo. Sono attutiti anche gli aspetti negativi del recitare, quali l’esibizionismo, le ambizioni, le gelosie e le discordie.

           Educando il giovane al teatro d’insieme, lo si educa alla socialità, alla collaborazione, al lavoro di gruppo. Non si può recitare “insieme” se non c’è volontà di accettazione degli altri e un corretto orientamento della propria aggressività. È attraverso la drammatizzazione che il ragazzo riesce a superare il complesso dell’altro che ascolta o che vede. In alcuni casi invece viene ridimensionato: le sue ingiuste pretese o l’individualismo vengono disciplinate dal gruppo o dal regista per raggiungere lo scopo d’insieme.

GIOVANI PER I GIOVANI

           Le prime rappresentazioni teatrali nate nell’Oratorio di Don Bosco erano frutto dello spontaneismo creativo derivato da episodi, fatti, avvenimenti della vita quotidiana. “Festa” nata dal vissuto dei giovani e quindi pienamente goduta. Don Bosco teneva che si operasse una selezione tra gli spettatori, soprattutto per non snaturare la fisionomia tipicamente giovanile del suo Teatrino. Gli adulti erano accettati solo se espressamente e personalmente invitati. Conserviamo numerosi biglietti di invito a manifestazioni organizzate nell’Oratorio (riservati a quegli adulti, ad esempio, in grado di godere della rappresentazione a volte recitata in latino). I suoi invitati Don Bosco li sceglieva solamente tra gli amici dell’Opera, tra i suoi benefattori, tra coloro, cioè, che fossero addentro allo spirito del suo Teatrino, alla vita dell’Oratorio, e ne potessero vivere le emozioni.

           Di tempo ne è passato, le condizioni, oggi, sono mutate, le nostre sale/teatro si sono ingrandite e attrezzate e quindi è possibile ospitare un maggior numero di spettatori.

           Tuttavia, rimane il principio voluto da Don Bosco: gli spettacoli fatti dai giovani hanno come destinatari privilegiati gli altri giovani. Per noi, malati di esibizionismo e di referenzialità, il suo richiamo resta attuale; al di là di genitori, parenti e amici, invitati naturali, lo sforzo da compiere è individuare gruppi giovanili, sia all’interno dell’opera sia esterni, cui offrire lo spettacolo.

           L’alto valore di questa scelta è innanzitutto a vantaggio dei protagonisti della rappresentazione che si sentono, così, propositori di messaggi nei confronti di loro coetanei (educare i giovani attraverso i giovani), e in secondo luogo per gli altri giovani spettatori che sono stimolati all’imitazione, ma ancor più ad accettare quei valori che, suggeriti da adulti, li trovano più diffidenti.

Michele Novelli

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