Inghilterra, polemiche per l'anello di castità

La Millais School, nel West Sussex, vieta di indossare ogni simbolo ma la studentessa protesta: «Mi sento perseguitata». La Playfoot racconta: «A me, perché sono cristiana e fiera di esserlo, me ne hanno fatte di cotte e di crude, mentre il resto delle ragazze musulmane o indù possono mettersi sciarpe, shalwar kemeez e braccialetti di fede. √â una discriminazione bella e buona».

Inghilterra, polemiche per l'anello di castità

da Attualità

del 29 aprile 2007

LONDRA – Una ragazzina cristiana ha deciso di trascinare la propria scuola in tribunale dopo che le è stato vietato di portare un “anello di castità” per dimostrare la propria decisione di restare casta fino al giorno del matrimonio. La scuola, che opera una politica di “zero ornamenti”, le ha chiesto più volte di togliere il sottile anello d’argento che segnala la sua aderenza ai dettami della bibbia, ma Lydia Playfoot, di 16 anni, si è sempre rifiutata.

La Millais School, una scuola solo per ragazze nel West Sussex (a sud di Londra) ha inizialmente messo Lydia in “isolamento”, una punizione normalmente riservata a chi fuma nelle aule dell’istituto, ma non è servito a nulla e Lydia è stata infine minacciata di sospensione se non avesse rimosso la fedina offensiva. La Playfoot racconta: «A me, perché sono cristiana e fiera di esserlo, me ne hanno fatte di cotte e di crude, mentre il resto delle ragazze musulmane o indù possono mettersi sciarpe, shalwar kemeez e braccialetti di fede. E’ una discriminazione bella e buona». Tant’è che, aiutata dai genitori – il padre è un pastore cristiano ecumenico – ha deciso di rivolgersi all’alta corte per ottenere giustizia.

La Playfoot ragiona: «E’ contro l’articolo 9 della carta dei diritti umani quello che mi impongono di fare. Ognuno ha il diritto di professare la propria fede». La teenager ha dovuto rimuovere l’an ello a scuola pur di poter continuare con gli studi, ma ha sottolineato: «Non voglio che pensino di aver vinto. La cosa non finisce quì. Mi sento perseguitata come cristiana e vedremo se, davanti alla legge, ho ragione o meno».

Il caso ricorda quello, simile, della hostess della British Airways, Nadia Eweida, sospesa per aver indossato un ciondolo a forma di croce durante il lavoro. La Eweida era ricorsa all’alta corte e aveva vinto, ottenendo di poter indossare il crocefisso in modo discreto. Un’altra teenager, Shabina Begum, che aveva invece trascinato la scuola davanti al giudice per ottenere il permesso di indossare la jilbab (la lunga veste per ragazze musulmane che lascia esposti solo viso, mani e piedi) aveva invece perso. Il giudice aveva deciso che l’abito contravveniva alle elementari regole di sicurezza imposte dalla scuola.

Deborah Bonetti

http://www.corriere.it

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