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Intervista a don Pascual Chavez, Rettor Maggiore dei Salesiani da Giovani per ...

La nostra vocazione è splendere come astri nel cielo. Dio è luce e noi siamo chiamati a essere luce in un mondo dove ci sono tante nebbie, tante tenebre, non soltanto per la presenza del male. Questo relativismo intellettuale, assiologico, non ci permette di distinguere il bene dal male, cosa può condurre alla vita e che cosa può portarci alla morte.


Intervista a don Pascual Chavez, Rettor Maggiore dei Salesiani da Giovani per i Giovani

da GxG Magazine

del 21 maggio 2009

Il tema formativo di quest'anno nella nostra ispettoria è 'Splendete come astri nel mondo'. Per lei, concretamente cosa significa oggi splendere come astro nel mondo, cioè cercare di comunicare l'Amore di Dio a tutte le persone che incontra?

Siamo chiamati ad una piena identificazione col Cristo, prima di tutto col Cristo Risorto, che è già una forma dello splendore dell'amore del Padre verso di noi; Lui ha detto che non c'è amore più grande di questo dare la vita per coloro che si amano. Non è l'ultima parola la Morte; la resurrezione in cui lo si vede completamente trasfigurato, ci fa vedere qual è la forma con cui il Padre risponde a coloro che spendono la loro vita e la loro migliore energia per gli altri: li riempie di luce e di gioia per sempre.

La nostra vocazione è splendere come astri nel cielo. Dio è luce e noi siamo chiamati a essere luce in un mondo dove ci sono tante nebbie, tante tenebre, non soltanto per la presenza del male. Questo relativismo intellettuale, assiologico, non ci permette di distinguere il bene dal male, cosa può condurre alla vita e che cosa può portarci alla morte. Dunque diventare noi, a poco a poco, luce, ci fa essere trasfigurati, in modo da poter illuminare con la propria vita più che con le parole. C'è un testo del Vangelo di Matteo che è molto interessante, dice Gesù: 'così brillino le vostre opere davanti agli altri, perché vedendole possano dare gloria a Dio'. Il discorso più eloquente su Dio è la propria vita trasfigurata, quella che permette che veramente gli altri arrivino a scoprire che Dio è luce attraverso le nostre opere. 

Qual è la maggiore difficoltà che lei sta incontrando nell'essere astro nel mondo, testimone di Gesù oggi e successore di don Bosco?

Al contrario! Mi sento molto stimolato, mi sento molto provocato dal cercare di riprodurre il più fedelmente possibile don Bosco, che era un segno luminosissimo dell'amore con cui Dio ama i giovani, proprio per la fascia di età evolutiva in cui si trovano. Perché è in quel tempo che si maturano le grandi scelte per il futuro, dopo di che diventa molto difficile ri-orientare la vita; di solito è l'età dell'adolescenza e della prima giovinezza il momento in cui si costruisce la persona.

Se Dio ama tutti, ama in modo particolare i giovani di questa età, proprio come una papà e una mamma che cercano di accompagnare i figli quando i ragazzi non vogliono essere accompagnati dai loro genitori, in cui vogliono costruirsi da soli. Don Bosco voleva essere proprio quella luce, quell'amico che rendeva presente l'amore di Dio. Questo per noi diventa uno stimolo per cercare effettivamente che nell'incontro con i ragazzi, nei diversi momenti in cui mi trovo con loro, possano sperimentare la stessa luce che io cerco di comunicare.  

Come ha conosciuto i salesiani? Come è germogliata e fiorita la sua vocazione sacerdotale?

Prima ero studente di una delle nostre scuole, insieme ai miei fratelli, frequentavamo il collegio salesiano di Città del Messico; i salesiani li conosco da bambino. La mia vocazione è sorta proprio 50 anni fa, il 3 marzo 1959, in quel momento mia mamma si era ammalata. Proprio nella data del 3 marzo, mentre stavo lì a conversare con lei, all'improvviso mi dice: «Sai che sempre ho chiesto a Dio un figlio prete». Allora, non so come mai, mi sono sentito di dire: «Sono io quel prete che hai chiesto nella preghiera!». Lei è mancata due giorni dopo, il 5 marzo.

Il 9 marzo si celebrava in quegli anni la festa di Domenico Savio, adesso trasferita al 6 maggio, in quel giorno sono andato a parlare con l'assistente, un salesiano tirocinante, e gli ho raccontato le mie intenzioni ma non del dialogo con la mamma. Gli ho detto soltanto: «voglio farmi salesiano». Questa storia non l'ho raccontata a nessuno se non il giorno della mia ordinazione quando l´ho detto a papà ed ai miei fratelli, che non sapevano come o perché motivo avevo deciso di andare in seminario. Così è nata la vocazione.

 

 

Cristiano De Marchi

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