Ecco il segreto della nuova evangelizzazione dell'Europa: una forte esperienza di Dio, in Gesù, che viene a scuotere le persone dall'assopimento in cui vivono e a capovolgere la loro gerarchia di valori, e comunità che aiutino a maturare nella fede sì da diventare minoranze creative con una energia tale da renderle capaci di cambiare la cultura imperante.
del 19 novembre 2006
«Io sono venuto perché abbiano la vita
e l’abbiano  vita in abbondanza» (Gv 10:10)
 
 
1.                  Una parola di benvenuto ai partecipanti e di augurio agli organizzatori di questo Seminario “Europa, terra di missione”. Sono lieto di accogliervi nella casa del padre, augurando a tutti e a ciascuno di voi una gioiosa e feconda esperienza di famiglia, mentre condividiamo la passione di Don Bosco per la salvezza dei giovani. Oggi come ieri continuano ad essere un programma di vita per ogni salesiano le sue rinomate espressioni: “Mi basta che siete giovani perché io vi ami assai”. “Ho promesso a Dio che fin l’ultimo mio respiro sarebbe stato per i miei poveri giovani”.
 
2.                  Siete stati invitati a prendere parte a un evento assai significativo, che si trova in linea di continuità con l’Incontro degli Ispettori d’Europa, svoltosi in questa stessa sede dal 1 al 5 dicembre 2004, in cui abbiamo voluto disegnare il futuro della presenza della Congregazione in Europa, con l’Incontro dei Delegati di Pastorale Giovanile delle Ispettorie dell’Europa, realizzatosi anche in questa sede dal 7 all’ 11 febbraio 2005, e con l’Incontro sulla Formazione in Europa, svoltosi a Benediktbuern dal 20 al 22 maggio di quest’anno, che tanto entusiasmo ha destato e che è stato uno degli elementi programmati nell’Incontro degli Ispettori.
 
3.                  La ri-evangelizzazione di questa Europa, sempre più scristianizzata, è un compito indilazionabile per tutta la Chiesa e, in essa, per la Congregazione, perché non si può restare soddisfati del riconoscimento delle religioni in Europa nella bozza della Costituzione della nuova Europa, ma c’è bisogno di far riconoscere il posto della Chiesa sia nella Costituzione sia soprattutto nella vita culturale, sociale e politica.
 
4.                  La nuova evangelizzazione dell’Europa, dunque, è la risposta adeguata alla pretesa di volere cancellare Dio dalla vita dei cittadini europei, di considerare la Chiesa come ostacolo all’integrazione culturale e alla pace sociale, come antagonista allo sviluppo scientifico e tecnico, al benessere economico. La nuova evangelizzazione è la reazione dei credenti al progetto in atto di ridurre - nel migliore dei casi -  le convinzioni religiose a una scelta personale purché esse non abbiano manifestazioni nella cultura né nel sociale.
 
5.                  L’impegno per ridare anima cristiana all’Europa è pure lo smascheramento di un secolarismo e di un laicismo che hanno voluto prima separare i valori della loro radice religiosa, cristiana, per arrivare successivamente alla negazione degli stessi valori davanti a una ondata inarrestabile, non spontanea ma intenzionalmente voluta, del pluralismo ideologico e del relativismo etico. Il fatto è che questa dittatura del relativismo e la sua conseguente manifestazione nel populismo politico sta portando a cambianti costituzionali che avranno conseguenze irreversibili.
Viene qui a proposito la riflessione di un rinomato giornalista e pensatore laico, scomparso di recente, fatta nel suo ultimo libro:
 
«E l'Occidente, il mio mondo? Nella spinta laica e iconoclasta verso un'idea tutta materiale di libertà individuale, abbiamo com­battuto una lunga tradizione, abbiamo ridicolizzato ogni credo, eliminato ogni rituale, togliendo con questo il mistero, cioè la poesia, dalla nostra esistenza.
Si nasce, si vive e si muore ormai senza che una cerimonia, senza che un rito marchi più le tappe del nostro essere al mondo. L'arrivo di un figlio non comporta alcun atto di riflessione, solo la denuncia all'anagrafe. Le giovani coppie ormai convivono, non si sposano più e il solo rito a cui partecipano è quello del tra­sloco. Non marcano quell'inizio di una nuova vita neppure cam­biandosi la camicia. E mancando la cerimonia-iniziazione, manca la presa di coscienza del passaggio; mancando il contatto simbo­lico col sacro, manca l'impegno. Spesso la comunione che ne na­sce è solo quella del sesso e della bolletta del telefono. La morte stessa è vissuta ormai senza la consapevolezza e le consolazioni del rito. Il cadavere non viene più vegliato e il commiato, quando c'è, non è più gestito da sacerdoti o stregoni, ma da esperti in pubbliche relazioni.
La fine dei riti l'ho vista realizzarsi nel corso della mia vita e, ora che guardo indietro, mi pesa aver dato, allora entusiastica­mente, il mio contributo a questa grande perdita. Quand'ero ra­gazzo, i neonati - anche quelli dei comunisti come me - veniva­no ancora battezzati, ai morti si faceva ancora la veglia e un vero funerale, e i matrimoni erano una festa corale officiata non solo dinanzi al divino, ma anche dinanzi a decine di parenti e amici che diventavano così implicitamente garanti di quell'unione.
Ma io ero ribelle. Non volli sposarmi e quando lo feci, soprat­tutto per ragioni di assicurazione malattia, fu in fretta, quasi di nascosto, alla sola presenza dei testimoni indispensabili e davanti a un sindaco che, non volendolo democristiano, dovetti andare a cercare lontano da Firenze, nel comune di Vinci, dove di buono c'era che vi era nato Leonardo. I figli, poi, non li feci battezzare e non fui presente né alla morte di mio padre, né a quella di mia madre.
Eppure, da piccolo i riti mi piacevano e ancora oggi ricordo come una delle grandi gioie della vita la vera e propria cerimonia con cui a quattordici anni, per marcare il mio “diventare uomo”,  i miei genitori mi consegnarono il primo paio di pantaloni lunghi che, poveri com'erano, avevano dovuto comprare a rate. Ma il vento dei tempi tirava in un'altra direzione e io semplicemente volai con quello, dando una mano a distruggere qualcosa che non è stato sostituito con nulla, lasciando un miserabile vuoto»[1].
 
6.                  La ri-evangelizzazione dell’Europa significa soprattutto la negazione di una visione in corso del cristianesimo come una tappa del passato, in cui a mo’ di ponteggio esso sarebbe servito per costruire l’edificio attuale dell’Europa, ma che ormai sarebbe diventato inutile e pericolante per cui è necessario ed urgente smontarlo; o quell’altra interpretazione che lo confinerebbe nella parte della ricchezza dei tesori dell’Europa, fatta però di tanti contributi - il monoteismo ebreo, la filosofia greca, il diritto romano, la morale cristiana, l’illuminismo francese… - di cui ci si può servire secondo il gusto dell’utente, senza la pretesa però di privilegi di superiorità, di assolutezza e di riconoscimento. Questo equivarrebbe a ridurre il cristianesimo ad etica e l’etica ai valori condivisi dal pensiero umano.
 
7.                  L’Europa è terra di missione, come tutto il mondo, secondo il comando del Signore Gesù prima della sua Ascensione, in cui ci diede la parola d’ordine di essere suoi testimoni sino ai confini della terra, il vangelo come contenuto della missione, e tutto il mondo come campo di lavoro. È vero che nessuna evangelizzazione è stata tanto feconda nel passato come quella dell’Europa, è vero pure che l’Europa procurò alla chiesa l’apparato strumentale di pensiero per inculturarsi nel mondo e per esprimere la sua riflessione teologica del mistero, è vero che la organizzazione odierna della Chiesa riflette in grande misura quella della società civile e politica dell’Europa, è vero che dall’Europa il Vangelo e la Chiesa si sono propagati nei cinque continenti, è infine vero che la santità della Chiesa ha avuto la sua espressione più ricca e feconda in Europa. Ma è ugualmente vero che oggi l’Europa non è più cristiana,  almeno gran parte della Europa Occidentale, quella che rinnega la sua identità e non la si vuole cristiana, quella che ha tagliato le sue radici, quella che oggi ha perso la sua anima. Questa Europa oggi ha più bisogno che mai di rincontrare Cristo, il suo Vangelo, la fede che possa assicurare futuro autentico e speranza duratura ai suoi abitanti. Da questa prospettiva e in questo contesto sono convinto che l’Europa dell’Est vive ancora con forza la presenza della religione nella cultura e nella società civile in parecchi paesi. Perciò essa può diventare una terapia per l’Europa secolarizzata e restia all’esperienza religiosa, tanto più che in questo incontro tra l’Europa dell’Ovest e quella dell’Est sono presenti i Salesiani ed insieme possiamo arricchirci  e aiutarci.
 
8.                  Nel caso nostro, come Congregazione Salesiana, siamo ben consapevoli che coloro che più subiscono l’attuale smarrimento sono i giovani. I più esposti alle conseguenze negative del modello culturale imperante sono i giovani. Ma siamo anche convinti che coloro che meglio potranno invertire questa tendenza sono i giovani. Essi sono la nostra patria, la nostra terra di missione, la nostra eredità, la nostra ragion d’essere (cfr. Cost. 2). In quest’ora non possiamo lasciarli soli, non ci è permesso abbandonarli alla loro sorte; più che mai è urgente l’evangelizzazione dei giovani europei, “perché abbiano vita in abbondanza”.
 
9.                  Dunque, intraprendiamo con coraggio il nostro bel mestiere di ridare anima all’Europa mentre ci consegniamo con parresia, con fiducia, con gioia, con generosità e competenza alla educazione alla fede e della fede dei giovani. Portiamoli a Cristo. Portiamo Cristo a loro. Non dobbiamo dimenticare mai il programmatico articolo 34 delle Costituzioni, dove leggiamo:
 
           «“Questa Società nel suo principio era un semplice catechismo”. Anche per noi l’evangelizzazione e la catechesi sono la dimensione fondamentale della nostra missione. Come Don Bosco, siamo chiamati tutti e in ogni occasione a essere educatori alla fede. La nostra scienza più  eminente è quindi conoscere Gesù Cristo e la gioia più profonda rivelare a tutti le insondabili ricchezze del suo mistero. Camminiamo con i giovani per condurli alla persona del Signore risorto affinché, scoprendo in Lui e nel suo Vangelo il senso supremo della propria esistenza, crescano come uomini nuovi».
 
           Noi non siamo una ONG occupata e preoccupata soltanto dei bisogni materiali dei giovani. La nostra missione non si riduce ad un tipo di assistenzialismo sociale. “Noi, salesiani di Don bosco, formiamo una comunità di battezzati che, docili alla voce dello Spirito, intendono realizzare in una specifica forma di vita religiosa il programma apostolico del Fondatore: essere nella Chiesa segni e portatori dell’amore di Dio ai giovani, specialmente ai più poveri” (Cost. 2).
 
10.             Il modello che vorrei proporvi, perché è fortemente ispiratore, è quello di San Paolo nel suo soggiorno a Roma dal momento del suo arrivo sino al suo martirio. Niente più eloquente che l’immagine dell’Apostolo, in catene, in una piccola camera di non più di tre metri quadri, mentre sta «annunziando il regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo, con tutta franchezza e senza impedimento». Non resisto alla tentazione di leggervi quanto riferisce Luca negli Atti degli Apostoli, nella bella ed entusiasmante conclusione di questo libro (Atti 28: 16-31), dove si ricorda che gli Apostoli sono stati fedeli a Gesù e docili allo Spirito Santo e hanno portato la testimonianza del Cristo, l’annuncio del Vangelo e la vita della Chiesa, sino al cuore ostile dell’impero romano. È lo Spirito Santo che vince tutti gli ostacoli al disegno di Dio e che apre le frontiere e i cuori alla Parola. Ai discepoli si chiede soltanto docilità e parresia.
 
Ma veniamo al testo, perché suggerisce molto e diventa programmatico:
 
«Arrivati a Roma, fu concesso a Paolo di abitare per suo conto con un soldato di guardia. Dopo tre giorni, egli convocò a sé i più in vista tra i Giudei e venuti che furono, disse loro: 'Fratelli, senza aver fatto nulla contro il mio popolo e contro le usanze dei padri, sono stato arrestato a Gerusalemme e consegnato in mano dei Romani. Questi, dopo avermi interrogato, volevano rilasciarmi, non avendo trovato in me alcuna colpa degna di morte. Ma continuando i Giudei ad opporsi, sono stato costretto ad appellarmi a Cesare, senza intendere con questo muovere accuse contro il mio popolo. Ecco perché vi ho chiamati, per vedervi e parlarvi, poiché è a causa della speranza d’Israele che io sono legato da questa catena'. Essi gli risposero: 'Noi non abbiamo ricevuto nessuna lettera sul tuo conto dalla Giudea né alcuno dei fratelli è venuto a riferire o a parlar male di te. Ci sembra bene tuttavia ascoltare da te quello che pensi; di questa setta infatti sappiamo che trova dovunque opposizione'. E fissatogli un giorno, vennero in molti da lui nel suo alloggio; egli dal mattino alla sera espose loro accuratamente, rendendo la sua testimonianza, il regno di Dio, cercando di convincerli riguardo a Gesù, in base alla Legge di Mosè e ai Profeti. Alcuni aderirono alle cose da lui dette, ma altri non vollero credere e se ne andavano discordi tra loro, mentre Paolo diceva questa sola frase: 'Ha detto bene lo Spirito Santo, per bocca del profeta Isaia, ai nostri padri: Va’ da questo popolo e di’ loro: Udrete con i vostri orecchi, ma non comprenderete; guarderete con i vostri occhi, ma non vedrete. Perché il cuore di questo popolo si è indurito: e hanno ascoltato di mala voglia con gli orecchi; hanno chiuso i loro occhi per non vedere con gli occhi non ascoltare con gli orecchi, non comprendere nel loro cuore e non convertirsi, perché io li risani. Sia dunque noto a voi che questa salvezza di Dio viene ora rivolta ai pagani ed essi l’ascolteranno!'. Paolo trascorse due anni interi nella casa che aveva preso a pigione e accoglieva tutti quelli che venivano a lui, annunziando il regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo, con tutta franchezza e senza impedimento.»
 
 
 
 
11.             Se San Paolo è il modello da imitare in questa nuova evangelizzazione dell’Europa, la meta  da raggiungere è invece quella che ci presenta lo stesso libro degli Atti degli Apostoli quando traccia l’ideale della comunità cristiana sempre in Atti 2:42-48:
 
«Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la stima di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati».
 
Ecco gli elementi di identità cristiana, portatori di una immensa rilevanza pubblica, sociale e politica sì da presentarsi non solo come cultura alternativa, ma come vero dinamizzatore della cultura imperante, come il suo lievito e il seme che porta frutto in sé:
 
·                    L’evangelizzazione esplicita in tutti i nostri centri educativi e parrocchie. È quanto il sommario degli Atti degli Apostoli ci dice parlando dell’assiduità all’insegnamento degli apostoli, vale a dire, la educazione della fede o la catechesi, che diventa autenticamente mistagogica, perché introduce al Mistero di Dio;
·                    Il passaggio dall’individualismo alla costituzione della comunione fraterna che faceva di tutti i cristiani la nuova famiglia di Dio e il seme della nuova umanità dove vengono superate tutte le differenze su sui si pretende alle volte far prevalere la superiorità religiosa, sociale o sessuale (“né ebrei né gentili, né padroni né schiavi, né uomini né donne”), o meglio, dove vengono integrate le differenze;
·                    L’identificazione progressiva con Cristo attraverso la partecipazione alla Eucaristia, fonte e culmine della vita cristiana, da cui nasce la capacità di diventare noi stessi pane spezzato per i fratelli e vino versato per la redenzione del mondo, il che implica una liturgia viva e feconda;
·                    La traduzione della fede trinitaria nella vita ordinaria, che si concreta nella comunità di cuori e di beni, che portava alla condivisione solidale delle proprie cose e sostanze, secondo i bisogni di ciascuno, creando una vera comunione fatta di partecipazione, riflesso del Dio Amore, del Dio Comunità di Persone, del Dio Trinità, e modello di ogni comunità sociale. La cosa più meravigliosa è che la gente non diceva “Guardate come questi sono riusciti a creare una società senza classi sociali”, ma “Guardate come si amano”.
·                    Infine, la convocazione di altri, frutto non di campagne vocazionali ma della testimonianza gioiosa della propria fede che apriva alla stima del popolo e alla conversione di persone sempre più numerose che in questo modo avevano accesso alla salvezza. 
 
Ecco il segreto della nuova evangelizzazione dell’Europa: una forte esperienza di Dio, in Gesù, che viene a scuotere le persone dall’assopimento in cui vivono e a capovolgere la loro gerarchia di valori, e comunità che aiutino a maturare nella fede sì da diventare minoranze creative con una energia tale da renderle capaci di cambiare la cultura imperante.
 
12.             L’atteggiamento dei nuovi evangelizzatori deve essere però quello del seminatore che ha tale fiducia nella forza del vangelo che quando semina il piccolo seme di un granellino di senape pensa già a una stupenda mietitura; deve essere quello della donna che impasta il lievito, che ha la energia per diventare anima di tutta una massa di farina, anche se nel contempo è poca cosa nei confronti della massa da trasformare (cfr. Lc 13:18-21). Ma non basta avere fede nella potenza sconvolgente della Parola di Dio, se non viene accompagnata da una indefettibile fiducia nei giovani, nella loro capacità d’accogliere Dio come unico Signore e nel loro impegno per darLo ad altri giovani diventando essi stessi, accompagnati da noi, veri evangelizzatori dei giovani. 
 
Salesianum – Roma, 16 novembre 2006 
[1] Tiziano Terzani, Un altro giro di giostra. Viaggio nel male e nel bene del nostro tempo. Longanesi, 2004, 368-369.
don Pascual Ch√°vez Villanueva
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