«Io, prete-insegnante di periferia così recupero i ragazzi difficili»

L'esperienza educativa nell'oratorio della parrocchia di Maria Madre della Chiesa. In cattedra, oltre al sacerdote, docenti volontari

«Io, prete-insegnante di periferia così recupero i ragazzi difficili»

da Attualità

del 07 maggio 2006

Don Eugenio ha fondato la Scuola popolare. «Non chiamatemi don Milani» «Accolgo ragazzi del Gratosoglio che abbandonano gli studi. E li porto agli esami»

 

Non chiamatelo «don Milani del Gratosoglio». «Quella fu un’esperienza educativa irripetibile», vi bloccherebbe subito padre Eugenio Brambilla, della parrocchia Maria Madre della Chiesa. Eppure quest’oratorio di periferia qualcosa in comune con Barbiana ce l’ha. Forse l’aria intrisa di sfida. La sfida di chi pensa che il futuro dei giovani meno fortunati non debba essere mai scritto. Tutte le mattine in via Saponaro 28 suona la campanella. Nove ragazzi entrano in aula: cinque maschi e quattro femmine. Sono giovani che a scuola non sarebbero andati lontano. «Troppo irrequieto». «Disturba». «Si vede in classe un giorno sì e due no», era il leit motiv dei professori. Era la primavera del 2001 quando don Brambilla chiese un incontro con la preside della scuola media del quartiere, l’Arcadia-Pertini. «Le ho spiegato che in oratorio arrivavano ragazzi che avevano abbandonato la scuola. Che forse potevamo trovare insieme un modo per aiutarli almeno ad arrivare al diploma. Sono stato subito ascoltato». Nell’ottobre del 2001 don Brambilla ha aperto la «Scuola popolare». Quattro ragazzi sui banchi. In cattedra lui stesso e insegnanti volontari: giovani laureandi o neolaureati o docenti in pensione. «Una delle prime lezioni è stata per chiarire subito quali erano le espressioni vietate nella nostra scuola. Si va da 'Non sono capace' a 'Non capisco' a 'Non me ne frega niente'».

Nel laboratorio di padre Brambilla non c’è posto per indifferenza e menefreghismo. E nemmeno per il vivi e lascia vivere: «Insegniamo prima di tutto che la nostra non è una scuola di serie B. Qui si studia, e sodo». I risultati si vedono. Dal 2001 a oggi dall’oratorio del Gratosoglio sono usciti 38 ragazzi «difficili». Tutti hanno sostenuto da privatisti l’esame di terza media. Tutti promossi. «Alcuni sono usciti con giudizi lusinghieri - tiene a sottolineare don Brambilla -. I professori con cui avevano studiato non li riconoscevano più. Una soddisfazione impagabile».

Per arrivare a questo risultato gli ostacoli da superare sono stati numerosi. Continua don Brambilla: «Dalla scuola abbiamo ricevuto supporto e collaborazione. Sono proprio gli istituti a segnalarci i ragazzi che potrebbero venire da noi. Oltre che con l’Arcadia-Pertini oggi collaboriamo con la media di via Tabacchi e con la Luini-Falcone di Rozzano. Il nodo sono le risorse. I soldi. Il nostro laboratorio costa 60-70 mila euro l’anno. Il primo anno abbiamo fatto da soli. Il secondo ci hanno dato una mano la Caritas e i servizi sociali. Dal terzo anno dell’aspetto economico si è fatta carico Unidea, la fondazione di Unicredit. Un contributo fondamentale. Purtroppo a fine anno il progetto si conclude. Tutto sarà da ridiscutere. L’ideale sarebbe che il pubblico entrasse in gioco assieme ai privati. Ma è ancora tutto da vedere». La «scuola popolare» ha ben poco di improvvisato. È un progetto formativo studiato nei dettagli. Che può contare ovviamente su un’aula, un laboratorio con un computer per ogni studente, due educatori, una psicologa, un coordinatore di progetto, un supervisore pedagogico. Oltre a 12 insegnanti: 8 volontari e 4 mandati dalle scuole. La cooperativa San Martino fornisce un contributo sul piano progettuale e della gestione amministrativa. Le lezioni si tengono tutte le mattine più un paio di pomeriggi. Le materie sono le stesse che studiano i ragazzi delle scuole «normali». Più un laboratorio di teatro. Non manca la gita di classe. Finanziata in parte dalla scuola.

«Non si creda che i ragazzi che vengono qui abbiano alle spalle famiglie di particolare degrado», sottolinea don Brambilla. «Si tratta di famiglie semplici, questo sì. In gran parte di estrazione operaia. Mamme e papà che lavorano entrambi per sbarcare il lunario. Spesso con orari così pesanti da non poter dedicare grandi attenzioni ai figli». Oltre al reperimento dei fondi, oggi il problema della scuola popolare è anche avere una forma di riconoscimento da parte della direzione scolastica regionale. Di certo all’oratorio la voglia di andare avanti non è finita. Ricorda il prete-insegnante: «Come nessuno manderebbe i propri figli a lavorare senza il fagottino del mangiare, cosi non si può mandare nessuno nella vita senza il fagottino della cultura». Ma non si era detto che Barbiana era un’altra cosa?

Rita Querzè

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