Quando si parla di amore... i rapporti pre-matrimoniali, la convivenza, le unioni omosessuali e anche l'infedeltà vengono giustificati con il fatto che non si può comandare all'amore, che quando si ama qualcuno i ragionamenti valgono fino ad un certo punto. Che cosa si può dire a riguardo?
del 30 gennaio 2006
Gentile Dottoressa, sono uno studente di filosofia. Nelle questioni bioetiche che affronta, Lei offre sempre argomentazioni razionali che comprendo e che condivido. Tuttavia, quando parlo con la gente, sento dare motivazioni basate soprattutto sugli aspetti emotivi, e francamente non so come rispondere. Ad esempio quando si parla di amore: i rapporti pre-matrimoniali, la convivenza, le unioni omosessuali e anche l’infedeltà vengono giustificati con il fatto che non si può comandare all’amore, che quando si ama qualcuno i ragionamenti valgono fino ad un certo punto. Che cosa si può dire a riguardo?
 
Grazie per la Sua attenzione.
Filippo T., Milano
 
 
Caro Filippo,
 
il problema che lei tocca è molto profondo, e per molti aspetti esula dagli scopi di una rubrica di bioetica. Proverò comunque a rispondere alla sua domanda, poiché tocca la radice di numerosi problemi di bioetica connessi con il valore dell’amore umano e della famiglia fondata sul matrimonio.
 
Proprio su questo tema si è incentrata la prima enciclica di Benedetto XVI Deus caritas est, che nell’introduzione afferma: “nella mia prima Enciclica desidero parlare dell’amore, del quale Dio ci ricolma e che da noi deve essere comunicato agli altri” (Lettera enciclica Deus caritas est del sommo pontefice Benedetto XVI ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, alle persone consacrate e a tutti i fedeli laici sull’amore cristiano).
 
E all’inizio della prima parte il Papa osserva come vi sia “un problema di linguaggio” (n. 2) nell’utilizzo del termine amore. Con questa parola, infatti, si esprimono comunemente concetti disparati, riferiti a varie forme di affezione, talora a sentimenti o sensazioni che hanno poco o nulla a che fare con l’amore in senso stretto, con l’amore vero. Se si esamina più attentamente il concetto, emerge con chiarezza che il riferimento, l’“archetipo di amore per eccellenza”, è quello fra uomo e donna, “nel quale corpo e anima concorrono inscindibilmente e all’essere umano si schiude una promessa di felicità che sembra irresistibile” (ibidem).
 
Questa “irresistibile promessa di felicità” è contenuta a diverso titolo e con diversa purezza in ogni forma di attrazione e di unione fra un uomo e una donna. L’essere umano avverte cioè una possibilità di completezza, o di completamento, attraverso il rapporto d’amore esclusivo quale si dà unicamente fra uomo e donna.
 
Si possono avere due forme di amore non vero – nel senso di amore non ancora vero, che deve ancora crescere e maturare, e di amore falso, snaturato e sminuito nel suo intrinseco significato – : l’amore erotico e l’amore sentimentale. Il primo è strettamente legato alle tensioni sensuali, il secondo all’emotività; entrambi si caratterizzano per il fatto di lasciare colui che “ama” – l’amante – fondamentalmente concentrato su di sé, sulla sensazione soggettiva prodotta dal desiderio sessuale o dalla forza trascinante del sentimento, piuttosto che sull’altro – l’amato – e sul suo autentico bene (cfr. Karol Wojtyla nel suo Amore e responsabilità, 1960, trad. it. Marietti, 1980).
 
Il rischio che l’amore non ancora vero diventi amore falso è alto, soprattutto in un mondo in cui l’amore umano e quello divino vengono banalizzati, abusati, ignorati, affermando il dualismo fra ragioni della testa e ragioni del cuore.
 
In realtà, fra i due ordini c’è profonda coerenza e solidarietà. Basti pensare che la ragione (la “testa”) si fonda sulle evidenze che l’intelletto acquisisce nella sua attività di com-prensione, mentre l’amore (“il cuore”) si fonda sulla fede, che richiede un atto di volontà; eppure entrambi portano ad una maggiore conoscenza della realtà (cfr. A. Aguilar, Conoscere la verità. Introduzione alla gnoseologia, Logos Press, Roma 2003).
 
Si può dire che, in un certo senso, la conoscenza dischiusa dall’amore integra e illumina i dati della conoscenza razionale. Attraverso i ragionamenti, infatti, e in generale il processo conoscitivo intellettivo, l’uomo arriva a cogliere la verità delle cose, la verità oggettiva, seppure in maniera imperfetta e limitata.
 
Il limite della conoscenza umana deriva dalla sua possibilità di conoscere solo sub specie universali, ovvero attraverso concetti ed essenze, e dunque senza riuscire mai ad esaurire la ricchezza dell’oggetto reale, nemmeno di un modesto, insignificante oggetto singolare. Gli scolastici esprimevano questo punto sentenziando che de individuo non datur scientia, non c’è conoscenza dell’individuale. Perché la realtà è sempre più del pensiero.
 
Possiamo avvicinarci, migliorare, perfezionare la nostra conoscenza dell’individuo, ma mai giungere al pieno possesso della verità di tale oggetto. Quando la ragione ha toccato il suo limite, quando ha compreso fin dove può arrivare, tuttavia, non abbiamo ancora raggiunto il limite “massimo” della conoscenza umana.
 
Rimane un altro spazio, misterioso eppure molto concreto, che è lo spazio dell’amore, cioè del dono che qualcuno – l’amante – fa a me – l’amato – dicendomi cose su di sé che non avrei potuto mai scoprire in uguale misura con i miei soli ragionamenti. Insomma, qualcuno che mi si rivela, dandomi in questo modo la possibilità di conoscerlo, di sapere di lui. Questa rivelazione è fonte di conoscenza per me – riguardo all’amato – nella misura in cui l’accolgo come vera, cioè nella misura in cui ho fede, ho fiducia nella persona che mi parla.
 
Ecco perché l’amore personale consiste sempre in questo movimento di dono di sé e di risposta fiduciosa dell’altro, che gli crede. Ciò vale sia a livello naturale che a livello soprannaturale (nell’amor Dei), in tutte le forme di vero amore fra persone. Ma non c’è dubbio che la forma più alta a livello naturale di conoscenza attraverso l’amore è quella fra un uomo e una donna nell’unione coniugale. In tale rapporto, infatti, i due si donano liberamente, definitivamente e totalmente – in virtù della loro differenza e complementarietà – l’uno all’altra, rivelando se stessi all’altro/a in modo assolutamente unico e speciale.
 
Non a caso la Bibbia parla di conoscenza a proposito del rapporto sessuale: nel dono totale di sé implicato dall’atto sessuale coniugale la persona si offre e si rivela, avvicinando al massimo il coniuge alla conoscenza di quell’individuo che è l’altro coniuge.
 
In questa modalità tipicamente umana di dono totale di sé – che proprio in quanto totale ha i connotati della indissolubilità (è per sempre) e della esclusività (è per una sola persona) – è possibile riportare l’amore erotico e l’amore sentimentale nell’alveo dell’amore vero, facendone aspetti costitutivi di un rapporto che, lungi dall’essere concentrato su di sé, è tutto proteso verso il bene dell’altro.
 
Questo è perfettamente coerente con le esigenze della ragione (riconoscere il proprio dominio e i propri confini) e insieme ne rappresenta il superamento, la proiezione verso quella dimensione eterna in cui rimarrà solo la carità, cioè l’amore cristiano o agape.
 
Allora, è necessario ribadire con fermezza che non è vero che il Cristianesimo abbia “distrutto l’eros”, che “la Chiesa con i suoi comandamenti e divieti (…) ci rende (…) amara la cosa più bella della vita” (n. 3), che insomma la “norma religiosa” e la “fredda ragione” sviliscano quell’amore erotico che con le sue estasi “ci fa pregustare qualcosa del Divino” (ibidem).
 
È vero invece il contrario: la prospettiva cristiana “non ha per nulla rifiutato l’eros come tale, ma ha dichiarato guerra al suo stravolgimento distruttore, poiché la falsa divinizzazione dell’eros (…) lo priva della sua dignità, lo disumanizza” (n. 4). Osserva il Santo Padre: “l’eros ebbro ed indisciplinato non è ascesa, ‘estasi’ verso il divino, ma caduta, degradazione dell’uomo. Così diventa evidente che l’eroseros ha bisogna di disciplina, di purificazione per donare all’uomo non il piacere di un istante, ma un certo pregustamento del vertice dell’esistenza, di quella beatitudine a cui tutto il nostro essere tende” (ibidem).
 
Tale disciplina è precisamente quella che contiene in sé la disponibilità al sacrificio e alla rinuncia: “l’amore diventa cura dell’altro e per l’altro. Non cerca più se stesso, l’immersione nell’ebbrezza della felicità; cerca invece il bene dell’amato: diventa rinuncia, è pronto al sacrificio, anzi lo cerca” (n. 6).
 
Non si può non vedere in questa dinamica un movimento che va in direzione contraria rispetto a falsificazioni, mistificazioni o contraffazioni dell’amore umano come i rapporti pre-matrimoniali, le unioni “di fatto”, le unioni omosessuali, i tradimenti che spesso precedono i divorzi. In ciascuna di queste realtà, in modo diverso, manca qualcosa, in quanto non viene rispettata la natura dell’amore umano – anche erotico – che davvero può mantenere la irresistibile promessa di felicità.
 
Dice il Papa: “l’eros rimanda l’uomo al matrimonio, a un legame caratterizzato da unicità e definitività; così, e solo così, si realizza la sua intima destinazione” (n. 11). Ogni altro contesto – pre-matrimoniale, para- o pseudo-matrimoniale, anti-matrimoniale – si rivela inadeguato all’infinito desiderio di pienezza che abita il cuore dell’uomo e che lo eleva al di sopra dei “limiti della sola ragione” per aprirlo all’esperienza trasformatrice della fede umana e divina.
Claudia Navarini
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