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L'"antipolitico" Benedetto porta a Cuba la vera rivoluzione

Contro la stanchezza della fede, contro il cristianesimo che si dà per scontato. Cuba è importante, ma per la sfida che ha di fronte a sé la Chiesa in questa parte del mondo il Messico lo è ancora di più. Il suo invito a rinnovare i contenuti della fede e la sua insistenza nel chiedere una libertà religiosa piena sono stati i due punti chiave della visita del Papa in Messico.


L''antipolitico' Benedetto porta a Cuba la vera rivoluzione

da Quaderni Cannibali

del 28 marzo 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 

Contro la stanchezza della fede, contro il cristianesimo che si dà per scontato.

          Questa potrebbe essere una sintesi della prima parte del viaggio che Benedetto XVI ha iniziato venerdì 23 marzo in Messico e che si concluderà oggi, mercoledì 28 marzo, a Cuba. È stata data molta importanza alla seconda parte del viaggio, alla presenza del Papa sull’isola che, guidata prima da Fidel Castro e ora da suo fratello Raul, è rimasta uno dei pochi regimi comunisti ancora in vita, capace di durare dalla caduta di Batista nel 1959.

          Cuba è senza dubbio importante. Da quando Giovanni Paolo II l’ha visitata nel 1998 c’è stata una rinascita della vita della Chiesa e ora c’è un’esperienza cristiana che cresce e che sarà rafforzata dalla presenza del Santo Padre. Altra cosa è il fatto che il Papa possa accelerare il crollo del regime che tiene centinaia di prigionieri politici nelle carceri, limita le libertà e mette quasi alla fame la popolazione. Alcuni, in maniera illusoria, ritengono che accadrà. Ha ragione il dissidente cattolico Oswaldo Paya, leader del Movimento cristiano di liberazione, uno dei più influenti a Cuba, quando dice che è assurdo pretendere che le ore che Benedetto XVI passerà sull’isola possano portare alla caduta della dittatura.

          Cuba è importante, ma per la sfida che ha di fronte a sé la Chiesa in questa parte del mondo il Messico lo è ancora di più. Il Paese centroamericano e l’Argentina sono i due centri culturali più attivi dell’America che parla spagnolo. Il Messico è anche il grande ponte tra gli Stati Uniti e l’America Latina. In realtà, gli Stati Uniti sono già molto “condizionati” dal Messico, dato che il 60% degli ispanici residenti negli Usa è messicano. E, secondo quanto dice la rivista Times, saranno gli ispanici a decidere il futuro dell’America.

          Victor René, segretario della Conferenza episcopale messicana, ha riconosciuto in un’intervista che la Chiesa del suo Paese ha dimenticato l’importanza di questi immigrati. Alcuni ritornano e altri rimangono a vivere negli Usa. Ed è facile che, nella seconda o terza generazione, la fede che fa parte della loro identità scompaia nel contesto di una cultura anglosassone in cui ciò che è ispanico è guardato con sospetto. La trasmissione dell’esperienza cristiana, il superamento di un’adesione superficiale, non è solo un problema degli immigrati. Il Papa, come ha fatto a Nostra Signora di Aparecida nel maggio 2007, ha combattuto quella che lui stesso ha definito nella messa celebrata nel Parco del Bicentenario di León la “stanchezza della fede”.

          Il suo invito a rinnovare i contenuti della fede e la sua insistenza nel chiedere una libertà religiosa piena, che ancora manca nel Paese, sono stati i due punti chiave della visita del Papa in Messico. I colleghi di certa stampa europea hanno amplificato le critiche, infondate, al fatto che il Papa non ha incontrato le vittime di abusi sessuali da parte di Marcial Maciel. Inoltre, hanno fin troppo evidenziato le “conseguenze politiche” di un viaggio a ridosso delle elezioni che si terranno a luglio in cui il Pri, il vecchio partito anti-clericale, può tornare al potere. Non sono questioni minori. Ma la cosa più importante per il futuro del cattolicesimo latino-americano è il “nuovo inizio” proposto da Benedetto XVI.

          I messicani hanno dimostrato un amore traboccante e il Papa li ha presi per mano e li ha invitati ad andare più in là, a non accontentarsi di un cattolicesimo formale, a non restare ancorati nelle glorie del passato. Decisivo è stato quello che ha fatto nella messa del Parco del Bicentenario di León. È un parco vicino a un luogo emblematico per i cattolici messicani, la Collina del Cubilete, dove fu costruita una statua del Cristo Re poi distrutta nella rivolta dei Cristeros, la guerra in difesa della libertà religiosa che c’è stata negli anni Venti. Dopo è stata costruita un’altra statua che si vede ancora adesso.

          Cristo Re e la Vergine di Guadalupe sono i due riferimenti del cattolicesimo messicano. E Benedetto XVI ha “rifondato” queste due devozioni. Dopo aver avvertito che occorre resistere alla “tentazione di una fede superficiale e abitudinaria, a volte frammentaria ed incoerente”, ha detto che il Cristo Re non ha niente a che fare con il potere così come lo intende il mondo. Nel pomeriggio, nella celebrazione dei Vespri con i vescovi provenienti da tutto il continente, ricordando l’evangelizzazione, ha detto che i missionari “donarono tutto per Cristo, mostrando che l’uomo trova in Lui la propria consistenza e la forza necessaria per vivere in pienezza ed edificare una società degna dell’essere umano, come il suo Creatore l’ha voluto”.

          Il Regno di Cristo Re consiste nella sua capacità di offrire una risposta esistenziale, antropologica, a ciò che l’uomo è. La forza della Vergine di Guadalupe è che “ha mostrato il suo divino Figlio a san Juan Diego. Non come un eroe portentoso da leggenda, ma come il vero Dio”. Benedetto XVI segnala alla Chiesa d’America il cammino dell’uomo.

Fernando De Haro

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