L'autentico dialogo è accettazione

L'autentico dialogo, secondo Buber, significa accettazione dell'alterità. Nel dialogo l'uomo impara la propria limitatezza e parzialità, il bisogno d'integrazione.

L’autentico dialogo è accettazione

da L'autore

del 01 gennaio 2002

Buber, Io_Tu e Io_Esso

 

M. Buber (1878-1965), filosofo tedesco di origine ebraica, ha sviluppato la sua analisi filosofica in direzione del cassidismo (corrente di pensiero interna all’ebraismo). Importanti le sue riflessioni sulla dialogicità, a partire dall’esempio per eccellenza che è costituito dal dialogo fra Dio e il suo popolo. La sua opera piú importante è Io e tu (1923). “Io-Tu” e “Io-Esso” sono per Martin Buber parole di base ed esprimono due modi di essere dell’uomo, l’essere soggetto (di) e l’essere soggettività (senza un genitivo dipendente).

 

 

“Il mondo ha due volti per l’uomo, in conformità al suo duplice modo di essere.

Duplice è il modo di essere dell’uomo, in conformità al dualismo delle parole-base, che egli può pronunciare.

Le parole-base non sono singole parole, ma coppie di parole.

Una parola-base è la coppia Io-Tu.

Un’altra parola-base è la coppia Io-Esso; senza mutare questa parola-base, si può sostituire a Esso anche Lui o Lei.

Con ciò anche l’Io dell’uomo ha due volti.

Poiché l’Io della parola-base Io-Tu non è lo stesso Io della parola-base Io-Esso.

Le parole-base non asseriscono qualcosa che stia fuori di esse, ma una volta pronunciate dànno vita a un esistente.

Le parole-base non si possono pronunciare separate dall’essere.

Quando si pronuncia il Tu, con esso si pronuncia anche l’Io della coppia Io-Tu.

Quando si pronuncia l’Esso, si pronuncia anche l’Io della coppia Io-Esso.

La parola-base Io-Tu può essere pronunciata soltanto unitamente alla totalità dell’essere.

La parola-base Io-Esso non può mai essere pronunciata unitamente alla totalità dell’essere.

Non v’è un Io in sé, ma solo l’Io della coppia Io-Tu e l’Io della coppia Io-Esso.

Quando l’uomo dice ‘Io’, intende uno di questi due. Quell’Io che egli intende è presente quando parla. Anche quando l’uomo dice Tu o Esso, è l’Io dell’una o dell’altra parola-base che è presente.

Essere Io e dire ‘Io’ sono una stessa cosa. La stessa cosa è dire ‘Io’ e dire una delle sue parole-base.

Chi pronuncia una parola-base, ‘entra’ nella parola e vi sta”.

[...]

“L’Io della parola-base Io-Tu è diverso della parola-base Io-Esso.

L’Io della parola-base Io-Esso appare come una individualità e acquista coscienza di sé come soggetto (dello sperimentare e dell’utilizzare).

L’Io della parola-base Io-Tu appare come persona e acquista coscienza di sé come soggettività (senza un genitivo dipendente).

L’individualità appare in quanto si distingue da altre individualità.

La persona appare in quanto entra in relazione con altre persone.

Questa è la forma spirituale della indipendenza naturale, quella è il legame naturalizzato.

Lo scopo dell’autoseparazione è sperimentare e utilizzare, e lo scopo di questi è la ‘vita’, cioè la protrazione di quel continuo morire che è la vita dell’uomo.

Lo scopo della relazione è la sua stessa essenza, ovvero il contatto con il Tu; poiché attraverso il contatto ogni Tu coglie un alito del Tu, cioè della vita eterna.

Chi sta nella relazione partecipa a una realtà, cioè a un essere, che non è puramente in lui né puramente fuori di lui. Tutta la realtà è un agire cui io partecipo senza potermi adattare a essa. Dove non v’è partecipazione non v’è nemmeno realtà. Dove v’è egoismo non v’è realtà. La partecipazione è tanto piú completa quanto piú immediato è il contatto del Tu.

È la partecipazione alla realtà che fa l’Io reale; ed esso è tanto piú reale quanto piú completa è la partecipazione”.

 

M. Buber, Io e tu, in Il principio dialogico, Comunità, Milano, 1958, pagg. 9-10 e 57-58

 

 

 

Buber, Sul dialogo

 

L’autentico dialogo, secondo Buber, significa accettazione dell’alterità. Nel dialogo l’uomo impara la propria limitatezza e parzialità, il bisogno d’integrazione.

 

L’autentico dialogo e quindi ogni reale compimento della relazione interumana significa accettazione dell’alterità. Se due uomini si comunicano reciprocamente le loro opinioni totalmente diverse su un oggetto, ciascuno nell’intento di convincere il proprio partner dell’esattezza del proprio modo di vedere, nel senso dell’essere uomo si tratta di vedere se ciascuno intende l’altro qual egli è quindi, con ogni volontà d’influsso, lo accoglie e lo attesta nel suo “questo-essere-uomo”, nel suo “essere-cosí-costituito”. Il rigore e la profondità dell’individuazione umana, l’elementare alterità dell’altro è presa poi non semplicemente come necessario punto di partenza per la conoscenza, ma accettato da soggetto a soggetto. Volontà d’influsso poi non significa volontà o aspirazione di cambiare l’altro, di inculcargli la mia propria “esattezza”, ma aspirazione a lasciar sorgere e sviluppare ciò che è conosciuto come esatto, come giusto, come vero che proprio perciò deve essere installato anche nell’altro e ciò proprio attraverso il mio influsso conformemente alla forma dell’individuazione. A questa volontà è contrapposta la brama di utilizzazione da cui è posseduto “colui che propaganda” e “che suggerisce” nel suo rapporto con l’uomo come persiste nel suo rapporto alle cose e invero a cose con le quali egli non entrerà mai in relazione, anzi è zelante nel privarle del loro essere distanti e della loro autonomia. L’umanità e il genere umano divengono in incontri autentici. Qui l’uomo si apprende non semplicemente limitato dagli uomini, rimandato alla propria finitezza, parzialità, bisogno di integrazione, ma viene esaudito il proprio rapporto alla verità attraverso quello distinto, secondo l’individuazione, dell’altro, distinto per far sorgere e sviluppare un rapporto determinato alla stessa verità. Agli uomini è necessario e a essi concesso di attestarsi reciprocamente in autentici incontri nel loro essere individuale.

 

 

M. Buber, Urdistanz und Beziehung, (Separazione e relazione) L. Schneider, Heidelberg, 1978, trad. it. di E. Baccarini

Martin Buber

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