L'Avvento: il Signore viene

Difficile è precisare il primitivo significato di questo tempo liturgico, poiché scarse e non facilmente interpretabili sono le testimonianze scritte a riguardo. In ogni caso, si può fondamentalmente concordare con quanti ritengono che, fin dal V secolo l'avvento è stato un tempo in cui i cristiani si preparavano alla celebrazione della prima venuta del Signore (il Natale) e...

L'Avvento: il Signore viene

da Teologo Borèl

del 22 novembre 2005

 

L’anno liturgico è prima di tutto il cammino attraverso il quale il tempo viene santificato, cioè reso “altro”. L’anno liturgico, con il dispiegarsi delle varie festività e dei diversi periodi liturgici al cui centro vi è la domenica, santifica il tempo nel senso che impedisce all’uomo di viverlo come un mero susseguirsi di momenti e lo induce a viverlo nell’intenzione voluta da Dio. In questa prospettiva, si può dire che la santificazione dell’uomo inizia quando è anzitutto il tempo ad essere reso santo, cioè “altro”.

L’imperativo di Dio «Siate santi perché io, il Signore Dio vostro, sono santo» (Lv 19,2) significa “siate altri”, cioè capaci di sottrarvi alla seduzione idolatrica quotidiana che impedisce di essere “altrimenti”, di vedere oltre; in una parola, di credere alla presenza di Dio nel mondo.

 

L’avvento “di mezzo”

Difficile è precisare il primitivo significato di questo tempo liturgico, poiché scarse e non facilmente interpretabili sono le testimonianze scritte a riguardo. In ogni caso, si può fondamentalmente concordare con quanti ritengono che, fin dal V secolo l’avvento è stato un tempo in cui i cristiani si preparavano alla celebrazione della prima venuta del Signore (il Natale) e, contemporaneamente, un tempo di preparazione alla venuta definitiva del Signore (la parusìa).

La revisione dell’anno liturgico indicata dal Vaticano II (cf. Sacrosanctum concilium n. 107) ha voluto che fosse conservato all’avvento il duplice carattere di tempo di preparazione alla solennità del Natale, in cui si ricorda la prima venuta del Figlio di Dio fra gli uomini, e di tempo in cui, attraverso tale ricordo, lo spirito viene guidato alla seconda venuta del Cristo alla fine dei tempi. I testi liturgici, in primo luogo i due prefazi del Messale Romano, riescono a dare unitarietà celebrativa a questo tempo “forte”, invitando ad un’attesa, quella del mistero del Natale, compimento a sua volta dell’antica alleanza e solido fondamento della fedeltà di Dio nella storia fino alla venuta finale di Cristo.

In questo modo è evitato il rischio, deleterio sotto il profilo pastorale e spirituale, della pura e semplice giustapposizione delle due “venute”. Anche le letture bibliche, in particolare quelle previste per le quattro domeniche, articolano e non giustappongono la duplice prospettiva dell’avvento. In effetti, tutti i diversi temi che emergono dal Lezionario (la vigilanza, la conversione, la gioia… ) convergono verso la festa del Natale, vista però non solo come memoria della nascita storica di Gesù, bensì come promessa e annuncio della venuta gloriosa alla fine dei tempi e perciò come “visita” continua al suo popolo.

In particolare, l’itinerario biblico disegnato dal Lezionario configura l’avvento come un tempo simultaneamente escatologico e natalizio. Ma questi due “avventi” non esauriscono la grazia di questo tempo liturgico. In effetti, proprio in mezzo, tra la prima e l’ultima venuta di Cristo, tra l’incarnazione e la parusìa, la liturgia indica per noi oggi una “terza” venuta del Signore che s. Bernardo, in maniera “geniale”, chiamava “avvento di mezzo”. Questo avvento è da viversi in tensione tra il “già” della prima venuta e il “non ancora” della seconda nell’“oggi” della liturgia e della storia.

Una stupenda pagina di s. Massimo di Torino risulta, in proposito, illuminante: «Ciò che è stato compiuto un tempo, lo abbiamo visto con chiarezza e lo vediamo ogni giorno. Le opere meravigliose di Cristo sono tali che non cadono in dimenticanza per l’antichità, ma acquistano vigore per la grazia. Non vengono seppellite dall’oblio, ma si rinnovano nelle loro proprie doti. Davanti alla potenza di Dio, infatti, nulla viene abolito, nulla è passato, ma di fronte alla sua grandezza tutto gli è presente. Per lui tutto il tempo è oggi. Che se tutta la serie dei secoli per il Signore è un solo giorno, nel medesimo giorno nel quale il Salvatore ha operato prodigi per i nostri padri, li ha operati anche per noi» (Sermo 102,2).

A ben vedere, il momento decisivo per noi è propriamente l’“avvento di mezzo”, che non possiamo mancare, perché – come ricorda s. Bernardo – «è la via che ci consente di passare dal primo al terzo avvento. Nel primo Cristo era la nostra redenzione, nell’ultimo ci apparirà come nostra vita. In questo avvento attuale, è nostro riposo e nostra consolazione» (Discorso quinto sull’avvento). In definitiva, i testi liturgici dell’avvento veicolano una teologia che invita la comunità cristiana non tanto a prepararsi a ricordare un anniversario o a fare un’operazione nostalgica, come se trovassimo Dio solo nel Bambino nato a Betlemme, bensì a lasciarsi coinvolgere in un avvenimento attuale: il Signore viene ora, e tale venuta richiede preparazione per riconoscerlo, accoglierlo e seguirlo. Solo accogliendolo oggi lo sapremo incontrare alla fine dei tempi: «Ora egli viene incontro a noi in ogni uomo e in ogni tempo, perché lo accogliamo nella fede e testimoniamo nell’amore la beata speranza del suo regno» (Prefazio di avvento I/A).

La salvezza data è Cristo e la salvezza attesa è ancora Cristo. L’opera salvifica di Cristo non è terminata; egli è atteso nella sua qualità di Salvatore ed è invocato come salvezza: «“Dai cieli attendiamo come Salvatore Gesù Cristo” (Fil 3,20). Per questo, se la quaresima può essere riassunta nel Miserere e la cinquantina pasquale nell’Alleluia, l’avvento può essere identificato nell’invocazione Maranatha, Vieni Signore!». In conclusione, nell’avvento la liturgia conduce la chiesa e ogni cristiano a confessare la fede nella venuta di Cristo nella carne per ravvivare la speranza della venuta di Cristo nella gloria.

 

Una spiritualità della “vigilanza”

La preparazione alla venuta del Signore si connota, sotto il profilo spirituale, come un’attesa vigilante: a ciò orientano le pagine bibliche, in particolare quelle della prima domenica di avvento, nonché i diversi testi eucologici: «Quando egli verrà e busserà alla porta ci trovi vigilanti nella preghiera ed esultanti nella lode» (colletta 1ª lunedì); «Rafforza la nostra vigilanza nell’attesa del tuo Figlio perché… andiamo incontro a lui con le lampade accese» (colletta 2ª venerdì). Un grande aiuto per entrare nel clima spirituale di questo tempo liturgico è offerto, inoltre, dalla Liturgia delle ore. In avvento la distribuzione dei salmi è quella consueta, ma vi sono antifone proprie per il Benedictus e per il Magnificat di ogni giorno e per i salmi di Lodi e Vespri di ogni domenica. Questi testi, unitamente agli inni e ai responsori, suscitano un clima di attesa e di vigilanza nel quale si illuminano i salmi e le letture bibliche scelte per questo tempo.

Vigilanza è, dunque, l’invito pressante di questo tempo “forte”. Cos’è la vigilanza? Gesù nella sua predicazione allude spesso alla vigilanza, indicandola come l’attitudine di fondo di quanti vivono da credenti nel mondo, aspettando il giorno finale: «Io dico a tutti: vegliate!» (Mc 13,37). Nel vangelo di Matteo la raccomandazione è analoga: «Vegliate, perché non sapete in quale giorno giungerà il vostro padrone» (24,42). Luca non è da meno: «Beati i servi che il padrone troverà fedeli a vegliare» (12,37). Nel momento più drammatico della sua esistenza terrena Gesù raccomanda ai discepoli di pregare e di vegliare per non entrare in tentazione (cf. Mc 14,38; Mt 26,41).

Anche la riflessione neotestamentaria ribadisce la necessità della “veglia”: «Vegliate, rimanete saldi nella fede» (1Cor 16,13). L’apostolo Pietro raccomanda: «Siate sobri, vegliate» (1Pt 5,8). L’Apocalisse presenta il ritorno del Signore come la venuta improvvisa di un ladro e ammonisce: «Beato colui che veglia» (16,15). In definitiva, la vigilanza, nella testimonianza biblica, appare come la virtù che tiene viva la fede dell’uomo pellegrino nel mondo in attesa di raggiungere la meta finale. In effetti, sempre la sacra Scrittura insegna che proprio il dormire è ciò che risulta incompatibile con la fede: le vergini stolte si addormentano (Mt 25,5); Gesù nell’orto degli ulivi torna dai discepoli e li trova addormentati (Mt 26,43). L’uomo che dorme, ovvero non veglia, è l’uomo che è incapace di cogliere la presenza di Dio nel mondo, l’uomo che corre il terribile rischio di vivere nel mondo come se Dio non ci fosse.

In una bella pagina G. Dossetti descrive cos’è la vigilanza. Egli scrive: «La vigilanza è la virtù di cui Gesù ha maggiormente parlato nella fase conclusiva della sua venuta, e certo si può comprendere perché tanto ne ha parlato. La vigilanza è la virtù tipica del tempo intermedio, tra la prima e la seconda venuta di Cristo… Quaggiù noi non possiamo che protenderci verso la carità, così come ci protendiamo verso il Cristo. La vigilanza è in un certo senso la virtù condizionante di tutto il tempo intermedio, perché è solo attraverso la vigilanza, questo incessante vegliare, che noi possiamo mettere da parte nostra tutto ciò che è necessario, perché da parte sua il Dio vivente nel suo Spirito ci metta l’Amore che ci deve colmare, totalmente riempire» (Meditazioni sull’avvento).

Solo ponendoci nella prospettiva di una storia di salvezza che Dio conduce – e che al presente vuole costruire con noi –, riusciamo a vivere la spiritualità dell’avvento. Secondo la frase dell’Apocalisse, il Signore è “colui che era, che è e che viene” (1,4); il domani dell’opera di Dio non è un futuro statisticamente predeterminato, ma un compimento a cui egli chiede la nostra collaborazione con un incessante “venire” che è sempre annuncio e proposta. L’atteggiamento spirituale della vigilanza veicola, dunque, una vera e propria concezione della vita quale cammino totalmente orientato verso l’incontro con Cristo, ma nella più fattiva collaborazione all’incarnazione di Cristo nel mondo e nell’uomo d’oggi.

L’avvento suggerisce una presa di coscienza della condizione dell’uomo: egli è pellegrino nel mondo. La storia umana è un cammino verso il Signore; essa è il luogo del discernimento, fatto di un’attesa vigile e di una fedeltà operosa. Quella dell’avvento appare così una spiritualità impegnativa, non un happening rituale e devozionale che non lascia traccia se non per qualche preghiera e opera buona supplementare. L’avvento sospinge i cristiani a recuperare la coscienza di essere chiesa per il mondo, riserva di speranza e di gioia, come ci spronano i nostri vescovi nel documento in preparazione al convegno ecclesiale di Verona Testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo.

 

Maria, “figura” dell’avvento

La spiritualità tipica dell’avvento trova un modello impareggiabile in Maria, vergine dell’attesa vigilante. Paolo VI nell’esortazione apostolica Marialis cultus ha molto significativamente scritto: «I fedeli, che vivono con la liturgia lo spirito dell’avvento, considerando l’ineffabile amore con cui la vergine madre attese il Figlio, sono invitati ad assumerla come modello e a prepararsi ad andare incontro al Salvatore che viene vigilanti nella preghiera, esultanti nella lode».

Come per la prima venuta nel mondo del Verbo eterno fu necessario, per divino disegno, il sì di Maria, così la presenza della Vergine non cessa di farsi sentire nell’attesa dell’ultima venuta del Salvatore. Dice l’Apocalisse: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me». Si può dire che Maria è colei che per prima ha aperto la porta, anzi l’ha spalancata, al Signore che viene, ed è per questo che il cristiano di ogni epoca può trovare nella madre di Dio un modello e un esempio.

Ecco perché l’avvento è da sempre considerato il tempo mariano per eccellenza, il tempo in cui ogni cristiano, fissando lo sguardo su Maria può apprendere da lei quelle disposizioni d’animo che permettono di sperimentare l’incontro con il Veniente. Il card. Ratzinger, in un commento all’enciclica di Giovanni Paolo II Redemptoris mater scriveva: «L’avvento è nella liturgia della chiesa un tempo mariano: il tempo in cui Maria ha fatto spazio nel proprio grembo al Redentore del mondo, il tempo in cui portò in sé l’attesa e la speranza dell’umanità. Celebrare l’avvento significa divenire mariani, unirsi al sì di Maria, che è continuamente lo spazio della nascita di Dio, della pienezza del tempo» (Maria il sì di Dio all’uomo, Queriniana, 1987).

In questa prospettiva, una valorizzazione in senso mariano dell’avvento non è affatto un cedimento devozionalistico, quanto piuttosto un’opportunità pastorale per aiutare ogni cristiano a vivere esistenzialmente la spiritualità di questo tempo liturgico. Di più, il tempo dell’avvento potrebbe divenire un’occasione pastoralmente efficace per mostrare come il vero culto alla Vergine non può essere mai distaccato, come talvolta è accaduto e continua ad accadere in alcune forme di pietà popolare, dal suo necessario punto di riferimento, che è Cristo. Tale valorizzazione, ovviamente, non va intesa nella direzione di un’intensificazione delle occasioni di devozione mariana, quanto piuttosto nel senso di un’intelligente esplicitazione delle tematiche mariane, che sono sempre anche “cristologiche”, così come la liturgia già indica nella solennità dell’Immacolata Concezione, nelle messe dal 17 al 24 dicembre, nella quarta domenica di avvento, nonché nella Liturgia delle ore di tutto il tempo di avvento.

In proposito, il recente Direttorio su pietà popolare e liturgia, si presenta indubbiamente come una guida illuminata e illuminante: esso, infatti, articolando in maniera armonica anno liturgico e pietà popolare (cf. cap. IV), offre suggerimenti preziosi per una sapiente programmazione pastorale che sia capace di far risaltare l’indiscusso primato della liturgia, senza peraltro ignorare le tradizionali espressioni di pietà popolare mariana.

In ogni tempo liturgico è comunque la domenica il momento centrale di ogni itinerario pastorale. Questo vale anche per l’avvento. L’eucaristia è celebrata “nell’attesa della sua venuta”. Pone chi vi partecipa in stato di vigilante attesa, e realizza veramente il lento e paziente ritorno del Signore nella storia dell’umanità. Partecipare all’eucaristia con la convinzione che la venuta del Signore è cosa estranea alla storia degli uomini è mentire all’eucaristia stessa, fatta dal pane e dall’amore degli uomini; è non capire il vero significato della venuta del Signore ieri, oggi e alla fine dei tempi.

 

(Tratto da «La Settimana» - Ed. Dehoniane)

L’avvento segna l’inizio dell’anno liturgico, «l’itinerario ideale per ogni comunità che voglia crescere nella fede e punto di sostegno e di comunione dei diversi itinerari di catechesi e di celebrazione sacramentale» (cf. Cei, Il giorno del Signore, n. 23).

Anselmo Morandi

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