Riconoscere l'importanza di Dio anche nella storia presente del mondo non è senza conseguenze. Può suscitare qualche stupore l'insistenza di Benedetto XVI sulla centralità di Dio nella vita dei credenti. E si pensa che la proposta rivolta anche ai non credenti a vivere come se Dio ci fosse resti una formula sterile e vuota. Ma non è così.
del 11 marzo 2009
Riconoscere l'importanza di Dio anche nella storia presente del mondo non è senza conseguenze. Può suscitare qualche stupore l'insistenza di Benedetto XVI sulla centralità di Dio nella vita dei credenti. E si pensa che la proposta rivolta anche ai non credenti a vivere come se Dio ci fosse resti una formula sterile e vuota. Ma non è così. A partire da una coscienza di sé che ciascuno sviluppa trovandosi a operare in una prospettiva di Dio presente anziché assente dall'esistenza degli uomini.
Comunemente si pensa o si teme che la presenza di Dio possa ridimensionare la libertà e la creatività umane. Ma coloro che predicano un Dio che avrebbe paura della libertà umana, predicano un idolo estraneo al Dio biblico proposto da Ratzinger come degno di fede. Egli ha sempre parlato finora di un Dio che è amore. E allora il suo ragionare sulla vita facendo posto a Dio ha come conseguenza che la vita vissuta e proposta dai cristiani è una vita caratterizzata dall'amore.
Può dunque accadere, e accade, che la predicazione del Papa chieda anzitutto alla Chiesa un grande esame di coscienza. I non credenti trovano ragionevole e perfino amabile la fede cristiana solamente se vedono cristiani contenti della loro fede e coerenti con il comandamento dell'amore. Un altro Papa intellettuale, Paolo VI, ripeteva convinto che la nostra età ha bisogno di testimoni piuttosto che di maestri. E i testimoni non si pongono anzitutto come giudici degli altri. Pensano di pagare di persona anche quando subiscono violenza perché non rendono male per male. La Chiesa è credibile alla sola condizione di far rivivere nella sua vita l'insegnamento di Gesù. Anche sui punti delicati del vivere e del morire che di frequente creano  frizione  tra  chi  crede  e  chi non crede, più che la disputa vale l'esempio.
Può accadere che presentando i discepoli di Gesù come il popolo della vita, lo si faccia con intenti polemici nei confronti di ogni altra posizione sul fine della vita o sul valore della vita considerata meno degna. I cristiani sono certamente il popolo della vita, ma in una forma particolare. Essi condividono ugualmente con tutti il sudore della fronte e il dolore che accompagna l'esistenza di ogni donna e ogni uomo. Come Benedetto XVI insegna, bisogna indirizzare la ricerca sul vero bene dell'uomo e nel confronto testimoniare quale sia questo bene.
La visione cristiana sulla vita ha una prospettiva ampia, che va oltre la morte. I cristiani credono infatti nella risurrezione a opera di Dio. Questa è una conseguenza della fede che non deriva da pura capacità umana. E allora il loro parlare del vivere e del morire si amplia avendo gli occhi fissati alla vita oltre questa vita terrena. Conviene così ragionare dei grandi temi della vita e della morte senza arroganza e senza animosità. Alla Chiesa, a motivo della sua fede, è richiesto di dare ragione della propria fede e non dei pensieri puramente umani dei cristiani.
Pensare il vivere e il morire da una prospettiva di risurrezione, può anche non interessare quanti non credono, ma essi potranno convenire che una tale prospettiva aiuta e non impedisce di considerare ancor più fortemente la dignità di ogni persona umana, e questa dignità deve restare a fondamento del diritto e dell'etica.
L'uomo come misura di tutte le cose è un'attenzione con la quale il cristiano può consentire, anzi nella difesa dell'uomo i cristiani non sono secondi ad alcuno perché sono chiamati a farsi prossimo con tutti. Ci sono però delle cose reali che non si possono misurare e qui si apre la questione di Dio e della sua importanza.
Benedetto XVI più volte ha suggerito anche un metodo per il parlarsi e l'ascoltarsi tra fede e ragione:  l'umiltà e la speranza. La capacità di ragionare con umiltà comporta la considerazione vera e sincera delle ragioni degli altri. Quello che i cristiani propongono in più non è un frutto della loro mente di cui andare orgogliosi, ma dono divino offerto per la salvezza di tutti.
La speranza spinge a guardare il nostro presente alla luce del futuro che Dio ha preparato per ogni uomo e ogni donna che vive nella giustizia e nell'amore. Il Papa, accanto all'espressione 'popolo della vita', ama mettere anche quella che definisce la Chiesa 'popolo della speranza'. Il quale anzi riuscirà a essere popolo della vita che unisce nella misura in cui sarà popolo della speranza, aperto cioè al futuro di Dio nel quale si perviene nella libertà.
La vita senza speranza può bloccarsi. Per l'uomo senza speranza anche Dio è superfluo. La speranza richiede coscienze formate che sanno scegliere nella libertà. Dio è amico della libertà. Infatti ha creato l'uomo libero. E gli ha dato una sola legge e una sola misura, quella di amare. La Chiesa ha il compito immenso di essere segno di gente che ama.
Benedetto XVI invita laici e cattolici a fare un percorso ragionevole sapendosi valorizzare a vicenda invece che annientarsi a vicenda. Ed è un compagno di viaggio più che un ostacolo per la modernità oggi scossa dalla bufera della crisi.
 
c. d. c.
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