Come fa il Signore, amante della vita, a permettere la sofferenza, a tollerare che i suoi figli muoiano? Perché non intervieni? Qual è il senso della sofferenza?
del 17 aprile 2007
“Cara mamma,
anche se la carta non è tra le migliori, colgo l’occasione per fissare per iscritto i miei auguri di Buon Natale. Anche questo non sembrerà un grande Natale, per molti che soffrono e anche per te. Effettivamente, la mia permanenza in ospedale è da considerarsi poco più di un “incidente di percorso”. Ma che dire di chi ha la famiglia a casa, chi è solo, chi è stanco e addirittura dubita dell’esistenza di Dio? Per questo ti chiederei di non drammatizzare troppo la mia situazione (…)
Pur trattandosi - come dicevo - di un incidente di percorso, credo che il Signore mi abbia obbligato a questa sosta per fare come degli “esercizi spirituali”, insomma per insegnarmi qualcosa, e qualcosa riesco a capire:
 
1)LE VISITE. È bello che molti ti vengano a trovare, documenta l’affetto e la preoccupazione che un giovane prete torni a lavorare presto tra i giovani. Non mi va di liquidare la gente in due battute, vorrei piuttosto che la gente avesse l’impressione di aver  incontrato un prete accogliente. Non dico come don  Bosco, ma nemmeno un pezzo di legno.
 
2) L’AMICIZIA TRA NOI DETENUTI. Oggi eravamo in dodici. Spesso mi chiedo se sono qui solo per sfruttare il tempo a mio vantaggio o se cerco realmente di voler bene a quanti il Signore mi ha permesso di incontrare in questo momento. Io parto con l’offrire biscotti o cioccolata, per poi soffermarmi con le persone. Qualcuno arriva a confidarsi, altri (anche non credenti), mi hanno fatto capire che c’è gusto a stare con me, forse perché scherzo un po’ e ascolto volentieri. Ieri e oggi ho confessato.
 
3) LA PREGHIERA. Gli infermieri dicono che consumo il corridoio a causa dei miei interminabili Rosari. Non ho mai pregato tanto come ora. La preghiera è sostegno della fede, l’anima della speranza. Secondo me la preghiera aiuta a penetrare il Mistero di Dio, ad appoggiarsi nelle mani di Dio, lì dove ogni lacrima viene asciugata e dove tutto ha senso.
Cara mamma, sono certo che tutto ha un senso, che nessuna lacrima sarà trascurata da Dio, che Lui valorizza tutto secondo i suoi piani misteriosi. Proprio ieri riflettevo come il mondo odia e detesta la Croce, la ritiene senza senso: l’ideale è star sempre bene di salute, avere soldi e libertà di fare quello che si vuole. Ma c’è un altro modo di vedere le cose: con gli occhi del Signore. Da questo punto di vista forse non vale neanche la pena di lamentarsi tanto: non siamo forse nelle mani della Provvidenza? Dio non conosce in anticipo i nostri giorni? Non sa forse di che abbiamo bisogno? Certo la salute può anche mancare, ma mai del tutto, e poi direi che il Signore ha già regalato alla nostra famiglia le cose più importanti: la fede e l’amore. San Paolo dice che l’amore “tutto sopporta e tutto spera”. Grazie a questo Amore Divino il papà è sempre in comunione con noi, e speriamo che stimoli il Buon Dio a regalarci altri segni della sua bontà (per esempio, perché no?, un nipotino!)
 
4) UN PO’ DI SERENITA’ FA BENE A TUTTI. È il modesto contributo che cerco di portare in reparto. Anche se sullo sfondo rimane la sofferenza. Tuttavia Dio si è fatto  uomo per condividere il nostro destino e rendere più sopportabile il peso di tutti i giorni. È per questa certezza che i Santi si mostravano “allegri” anche in circostanze umanamente amare. Questo è da collegare costantemente al senso di “stupore” cui accennava Mons. Tonini ieri sera. Stupore per quel che ci accade, per il fatto di svegliarsi al mattino  e sentire (materialmente e spiritualmente ) vicine le persone care. Pertanto non posso non ringraziare Dio per il dono della vita, della vocazione cristiana, del sacerdozio di cui tu e papà avete contribuito in maniera mirabile ed unica. La Messa di Mezzanotte l’ho celebrata sostanzialmente per  te.
 
Ti auguro di chiudere questo Santo giorno con un atto di riconoscenza al Signore, perché Egli ci ha scelti come strumenti per compiere il suo grande disegno d’amore. Inoltre ti chiedo di aiutarmi a essere sempre più sacerdote del Signore per la Chiesa e per il mondo, a tempo pieno, senza risparmio e con tanto entusiasmo.
Grazie per quello che fai per me e Buon Natale. Tuo, don Valerio”.
 
 
Non ci sono più le mezze stagioni 
Quel giorno in classe dovevamo fare il compito in classe di religione.
Tutto bene, fino alla famigerata domanda: “Qual è la festa più importante per un cristiano?”
Fortunatamente era un test a crocette, per cui, dopo aver agilmente scartato BAR-MITZVA e RAMADAM (nomi così esotici non li avevamo mai sentiti al catechismo) il dubbio ci divideva tra “Natale” e “Pasqua”.
 
Quando la prof ci restituì il compito, tutti quelli che avevano perso un punto (e magari la sufficienza) per aver scommesso tutto sul Natale provarono a ribellarsi all’ingiusta votazione, sostenendo che senza Natale non c’è Pasqua:
“È più importante che Dio si sia incarnato. La prova? Natale si festeggia in grande stile. La Pasqua…se non ci fossero le uova…”
 
In nessun modo riuscirono a  convincere la prof. Provò a spiegarci che la Pasqua è il centro della vita di un credente, perché in quel momento Dio, morendo in croce per noi, sconfigge la morte e ci promette la Resurrezione.
 
Devo dire, sinceramente, che questa spiegazione non l’ho capita subito. Voglio dire, le parole le capisci subito, ma qual è il senso profondo di quella frase?
La risposta mi è apparsa chiara poco tempo fa, quando ho fatto la conoscenza di don Valerio.
Conoscenza, purtroppo, mediata da un libro, perché lui, giovanissimo sacerdote salesiano, moriva più di dieci anni fa per una brutta malattia.
In questa lettera di auguri natalizi, non fa altro che parlare di Pasqua.
 
 
E sei venuto qui 
 
“Redenta dal Suo sangue, nessuna vita umana è inutile o di poco valore, perché tutti siamo amati personalmente da Lui con un amore appassionato e fedele, un amore senza limiti. La Croce, follia per il mondo, scandalo per molti credenti, è invece “sapienza di Dio” per quanti si lasciano toccare fin nel profondo del proprio essere”.
Queste sono le parole che il Papa regala ai giovani per la Giornata Mondiale della Gioventù di quest’anno: parole a prima vista incomprensibili.
Come fa il Signore, amante della vita, a permettere la sofferenza, a  tollerare che i suoi figli muoiano?
Questi sono gli eterni interrogativi che l’uomo si pone  nel profondo.
Ma noi cristiani abbiamo una certezza piantata nel profondo, pur non restando indifferenti di fronte alla sofferenza, specie quando bussa alla porta di casa nostra, pur ponendoci gli stessi interrogativi di tutti gli altri uomini, pur  piangendo quando ci sentiamo impotenti nei confronti delle persone che amiamo e che vediamo soffrire. Abbiamo la certezza che il nostro Dio non è su nei cieli a ridere di noi, a godere delle nostre infermità, ma abbiamo un Padre che non esita a mandare il Suo Figlio a condividere in tutto “fuorché nel peccato” la nostra condizione di uomini perché possiamo vedere che la strada è aperta, che la morte esiste ma è già stata sconfitta, che l’alba di resurrezione colora già il cielo, e che le ferite della storia sono le piaghe da cui si intravede già un alba di Resurrezione
 
“Quando si soffre, è difficile fare di necessità virtù, se non viene una forza dall’alto. Al massimo, ci si può rassegnare. Stoicamente. Col sarcasmo sulle labbra, che spesso è peggio della bestemmia.
Ed eccomi allora chiamato dal mio dovere di vescovo ad additarvi con fermezza lo scandalo della Croce. Dire che col vostro dolore contribuite alla salvezza del mondo, può sembrarvi letteratura consolatoria. Ricorrere alle frasi fatte degli occhi che vedono bene solo attraverso le lacrime, può essere inteso, se non proprio come un insulto gratuito, almeno come un ritrovato sterile della saggezza umana. Accennarvi che, in fondo, ognuno si porta dentro il suo carico di dolori e che, tutto sommato, non siete poi così soli come sembra, potrebbe accrescere il vostro sdegno. Aggiungere che un giorno sarete schiodati pure voi dalla croce, può apparire uno scampolo di quell’eloquenza mistificatoria che non convince nessuno.
Ma dirvi che sulla croce un giorno ci è salito un uomo innocente, e che sul retro della croce c’è un posto vuoto dove un altro innocente è chiamato a far compagnia ai rantoli di Cristo, appartiene al messaggio inquietante, eppur dolcissimo, che un ministro della Parola non può né accorciare né mettere tra parentesi. Quel posto è tuo, Ignazio, paralizzato per sempre; e di nessun altro. E tuo, Ruggero, che ti trascini a tentoni per la casa e mugoli parole indistinte. Chiamalo, il tuo Signore: è un nome breve. Non può non sentirti: è inchiodato appena dietro di te. (…) (don Tonino Bello).
 
In Lui troviamo consolazione perché Lui stesso ha provato tutto quello che di  male un uomo può provare: il pianto per la perdita di un amico (Lazzaro), la tristezza di sentirsi incompresi, la fatica di farsi capire,  la  pesantezza del lavoro, la sofferenza fisica, le percosse, l’umiliazione, gli sputi, i chiodi, la paura che Dio l’avesse abbandonato.
 
 
Siamo qualcosa di immensamente prezioso 
Don Bosco diceva: “Un Dio che si fa uomo per salvare la nostra anima. Bisogna pur che la nostra anima sia qualcosa di grande”.
In questa prospettiva, tutto cambia valore: Dio, venuto per tutti, salva tutti.
Dio non ci salva se siamo perfetti. Non ci ama se obbediamo ai suoi comandamenti forzatamente. Non ci giustifica perché siamo bravi ad accampare scuse.
Ci salva e basta. Ci ama senza condizioni. Siamo figli suoi. Anche se le nostre madri e i nostri padri ci abbandonano, Lui rimane.
In questa prospettiva, capisci che puoi essere te stesso, che non devi convincere nessuno, che  sei amato sempre e comunque. E chi sa di essere amato, ama.
Chissà cosa viene prima? L’amare Dio per  sentirsi amati  da Lui, o amare Dio perché ci si sente amati da Lui?
È Dio che ci ha amati per primi.
 
 
 
 
E nulla disprezzi di quanto hai creato 
Viviamo in tempi in cui ci insegnano a disprezzare la sofferenza, a nasconderla, a camuffarla.
Soffri perché hai il naso storto? Un bel intervento di chirurgia estetica!
Soffri perché hai un carattere timido? L’alcool, la droga disinibisce!
Soffri perché hai una malattia terminale? Tu puoi decidere di  staccare la spina.
La sofferenza deve essere eliminata dalla faccia della terra, così dopo tutti saremo perfetti, eterni, ….distrutti, soli.
Tante volte bestemmiamo Dio, con le nostre parole o con la nostra mancanza di fiducia,  per come siamo, per quello che ci capita, per come vorremmo che fosse e non è.
Sembra quasi che non si abbia niente da guadagnare a credere. In fondo, si soffre lo stesso: credenti o non credenti.
Residui anche questi di una fede superficiale: la fede non è un’assicurazione sulla vita. La fede è un paio di scarpe, dice sempre un mio amico. Delle scarpe in cui devi camminare un po’ prima di sentirti a tuo agio, delle scarpe che servono per camminare bene nella vita e arrivare “un po’ più su”.
Dio viene a trasfigurare le nostre vite sfigurate: ci mostra quale bellezza è nascosta nelle pieghe e nelle piaghe della nostra vita
Che esempio ci ha dato Giovanni Paolo II: portare la propria croce è possibile, non ci schiaccia se siamo in due a portarla, noi e Gesù.
 
 
 
Sino alla fine 
“L’ora è venuta. Vale la pena affrontarla a viso aperto , senza indugiare e rendere più penoso l’impatto con questo calice amaro, che va bevuto fino in fondo. Solo quando si scolano le ultime gocce la faccia è rivolta in alto, e gli occhi possono contemplare il cielo.”
La vita offre un dono che è  concesso a chi prende sul serio la sofferenza e la fatica di vivere ogni giorno. La fatica non è un accidente da scansare, da ridurre al minimo, ma la via per lasciarsi disarmare e sorprendere dalla novità con cui un Altro vuole trasformare la tua esistenza, facendoti capire che Lui ha cura di te, anche se tu non lo ricordi o ne dubiti.
La sofferenza ci insegna che siamo uomini “finiti”: il nostro cuore ha delle regole, il nostro corpo ha delle esigenze.
Siamo fragili. Non siamo fatti per vivere in eterno. La sofferenza ci rimette nella realtà del nostro vivere, non perché dobbiamo subire il “destino” supinamente, ma perché se sai qual è la meta che devi raggiungere, decidi di conseguenza cosa mettere in valigia. L’essenziale.
La vita è questo viaggio. È inutile far finta di essere super-eroi invincibili.
La sofferenza scava delle crepe nella nostra presunta onnipotenza: è da quelle crepe che possono rientrare gli altri nella nostra vita. E l’Altro.
Francesca Marcon
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