La disoccupazione giovanile in Italia ha raggiunto il livello monstre del 38%. Il posto fisso, al netto della presunta monotonia, è sempre più spesso una chimera. Eppure, anche in tempi di crisi, continuano a esserci dei lavori che i giovani italiani non vogliono fare nonostante l'offerta delle imprese sia piuttosto alta. Quali sono i mestieri snobbati dai giovani?
del 20 febbraio 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 
          La disoccupazione giovanile in Italia ha raggiunto il livello monstre del 38%. Il posto fisso, al netto della presunta monotonia, è sempre più spesso una chimera. Eppure, anche in tempi di crisi, continuano a esserci dei lavori che i giovani italiani non vogliono fare nonostante l’offerta delle imprese sia piuttosto alta. Secondo un’elaborazione della Cgia di Mestre dei dati Excelsior – Ministero del Lavoro, nel 2011 sono stati infatti 45.250 i posti di lavoro destinati a persone fino a 29 anni che le imprese hanno affermato di non essere state in grado di trovare sul mercato. Una parte delle assunzioni mancate (il 47,6%) è dovuta alla scarsa quantità di candidati che hanno risposto alle inserzioni. Il resto (52,4%) è legato al fatto che chi si presentava ai colloqui per ottenere il posto non era giudicato sufficientemente preparato da parte delle aziende.           Quali sono i mestieri snobbati dai giovani? Come prevedibile, si tratta di lavori manuali. Ecco quali sono state le figure professionali dichiarate di più difficile reperimento da parte delle imprese:
commessi (4.920 posti di lavoro); camerieri (2.342 posti); parrucchieri ed estetiste (1.828 posti); informatici e telematici (1.387 posti); elettricisti (1.272 posti) contabili (1.269 posti); meccanici, riparatori e manutentori auto (1.249 posti); tecnici della vendita e della distribuzione (1.100 posti); idraulici e posatori di tubazioni idrauliche e di gas (1.072 posti); baristi (955 posti); personale di segreteria (934 posti); cuochi in alberghi e ristoranti (754 posti); muratori (731 posti); addetti a macchine utensili automatiche e semiautomatiche industriali (673 posti); disegnatori industriali (664 posti); centralinisti, telefonisti e operatori di call center (660 posti).Seguono altri nove mestieri difficili da trovare, ciascuno con meno di 600 posti a disposizione.           Per quanto sorprendenti possano sembrare, dati di questo tipo non sono nuovi per chi si occupa delle dinamiche dell’occupazione in Italia. Sono in linea infatti con quanto “profetizzato” in ottobre dalla stessa associazione di artigiani e piccole imprese di Mestre: da qui al 2020, ha stimato la Cgia, nel nostro Paese potrebbero scomparire numerosi mestieri nell’artigianato e nell’agricoltura e sono a rischio ben 385mila posti di lavoro.          Tra dieci anni sarà un’impresa titanica, per esempio, trovare un sarto, soprattutto in città. Secondo le stime, ci sarà un mancato ricambio per 15.472 tra sarti, modellisti, cappellai, tappezzieri, materassai e ricamatori a mano: posti di lavoro perduti per sempre, o quasi. Nello stesso settore, il tessile, verranno a mancare anche 4.492 posti complessivi tra addetti a macchinari della filatura, per la tessitura e la maglieria e di addetti per confezioni di abbigliamento. E anche quando andremo a comprare un abito in un negozio, avremo meno assistenza da parte dei commessi: saranno 1.912 in meno (la cifra comprende anche uscieri e lettori di contatori). E saremo costretti ad avere un po’ meno scelta quando dall’acquisto del vestito passeremo a quello degli accessori: i prodotti potrebbero essere di meno perché non troveremo più 8.633 tra conciatori di pelli, pellettieri, valigiai e borsettieri.           La situazione non sarà migliore per chi andrà in cerca di un aiuto per ristrutturare casa. Sì perché sono a rischio estinzione, secondo le previsioni, ben 38.576 posti tra muratori, carpentieri, ponteggiatori e falegnami nell’edilizia, 7.504 posizioni tra saldatori e tagliatori a fiamma, lattonieri, montatori di carpenteria metallica e 890 tra stuccatori, parchettisti e posatori di pavimenti.           Se in casa sorgerà qualche problema all’impianto elettrico dovremo cominciare a preoccuparci sul serio perché reperire un tecnico sarà ben più complicato: si prevede che tra elettricisti, elettromeccanici, installatori di linee elettriche e artigiani e operai specializzati nella riparazione di radio e tv ci saranno in circolazione 2.613 figure professionali in meno. Sempre in casa, saremo obbligati ad acquistare arredamento standard nelle grosse catene che vendono mobili: lavori su misura saranno un lusso che pochi potranno permettersi perché di giovani che vogliono imparare a fare i falegnami si contano sulle punte delle dita. La Cgia stima che tra falegnami, impagliatori, cestai e spazzolai si perderanno 12.556 posti di lavoro.          Basterà un piccolo guasto e faremo meglio a dire addio per sempre al nostro orologio e a comprarcene un altro: la ricerca di un orologiaio sarà come cercare un ago in un pagliaio. La Cgia stima che scompariranno, per mancanza di ricambio generazionale, 4.521 tra riparatori di orologi e altri mestieri affini come armaioli, riparatori di strumenti di precisione, gioiellieri, riparatori di protesi dentarie e ortopediche.           Per elaborare la mappa delle figure professionali destinate alla scomparsa, la Cgia ha calcolato quanti sono al momento gli occupati nei principali mestieri manuali compresi tra la fascia di età dei giovani tra i 15 e i 24 anni e quella degli over 55 e ha quindi fatto una misurazione del tasso di turn-over. Da questo primo conteggio è uscita fuori una classifica attuale per mestieri. Dopo, ha fatto una stima del numero di figure che potrebbero estinguersi fino al 2021 per ogni tipo di lavoro preso in considerazione.          Nella mappa delle attività a rischio ci sono anche i mestieri “domestici”, il cui abbandono può essere compensato soltanto dall’afflusso della manodopera immigrata. E’ il caso di colf, badanti, addetti (non qualificati) alle pulizie e raccoglitori di rifiuti: per queste figure è prevista una perdita complessiva di 96.783 posti di lavoro. Stesso destino per addetti agli impianti fognari e ai servizi di igiene e pulizia, per cui si stima una scomparsa di 12.562 posti.           Saranno merce rara anche gli autisti di autobus, tram e camion, dove sono a rischio 51.503 posti di lavoro. E se per carenza di lavoratori che guidano mezzi pubblici, saremo costretti a prendere l’auto dovremo fare molta attenzione ed evitare più possibile che si ammacchi, visto che sul mercato ci saranno 14.301 operai in meno tra carrozzieri e meccanici auto (nella cifra sono compresi anche i riparatori di frigoriferi).          Cercheremo della frutta? Prepariamoci a trovarla soprattutto nei banchi dei supermercati. Il fruttivendolo di fiducia potrebbe diventare solo un lontano ricordo. Sono a rischio, secondo le stime della Cgia, 12.443 posti di lavoro come venditori ambulanti di ortofrutticoli e generi alimentari. E se sarà arduo trovare chi li vende, sarà ancora più dura sperare di reperire chi i prodotti alimentari li fa. L’occupazione nell’agricoltura, altro settore snobbato, calerà in modo consistente. Scompariranno 49.909 posti di lavoro da agricoltori e operai agricoli, 18.112 braccianti e  14.229 allevatori e operai specializzati negli allevamenti.           Completano la graduatoria dei mestieri manuali a rischio i conduttori di gru e di macchine (10.987 posti di lavoro in meno), i lavoratori del metallo (fonditori, trafilatori, colatori di metalli e conduttori di laminatoi, 3.766 posti in meno), i conduttori di catene di montaggio e di robot (2.371) e artigiani e operai specializzati in lavori tipografici (compositori, tipografi, stampatori offset, rilegatori, incisori, 935 posti in meno).           Secondo il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi, è “difficile trovare una soluzione che in tempi ragionevoli sia in grado di colmare un vuoto culturale che dura da più di 30 anni. Innanzitutto bisogna rivalutare, da un punto di vista sociale, il lavoro manuale e le attività imprenditoriali che offrono queste opportunità”.           Il problema, sostiene Bortolussi, è anche legato all’educazione che si riceve in famiglia: “Per molti genitori far intraprendere un mestiere al proprio figlio presso un’azienda artigiana è l’ultimo dei loro pensieri. Si arriva a questa decisione solo se il giovane è reduce da un fallimento scolastico. Per questo è necessario avvicinare la formazione scolastica al mondo del lavoro. Attraverso le riforme della scuola avvenute in questi ultimi anni e, soprattutto, con il nuovo Testo unico sull’apprendistato qualche passo importante è stato fatto. Ma non basta. Bisogna fare una vera e propria rivoluzione culturale per ridare dignità, valore sociale e un giusto riconoscimento economico a tutte quelle professioni dove il saper fare con le proprie mani costituisce una virtù aggiuntiva che rischiamo di perdere”.
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