L'ora della responsabilità

Ora riflettiamo. Certamente un certo numero di italiani ha deciso coscientemente di non andare a votare. Se è vero che in Italia i cattolici praticanti non arrivano al 20%, dobbiamo supporre che l'astensione (proposta dalla Chiesa ma anche sostenuta da posizioni ben diverse) abbia superato decisamente il fronte dei S√å (diciamo, rimanendo realisti, un 30% di italiani).

L’ora della responsabilità

da Teologo Borèl

del 14 giugno 2005

  Innanzitutto diamo i numeri.

L’affluenza al Referendum è stata circa del 25,9% contando anche il voto degli italiani all’estero.

L’ultimo referendum che riuscì a passare il quorum è stato nel 1995 (con ben 12 referendum da votare!).

Nel 1997 si arrivò al 30%; si sfiorò il quorum nel 1999 con il 49,6% (referendum sull’abolizione del voto proporzionale alla Camera); nel 2000 votò il 32%; nel 2001 il 34%; nel 2003 il 25%.

Sfidiamo chiunque di noi, a ricordarsi i temi di tante chiamate al voto.

I risultati dicono che poco meno del 90% di coloro che hanno votato, ha votato SÌ, a livello nazionale, sui primi tre quesiti. Il quarto quesito (fecondazione eterologa) vede circa 79% SÌ contro 21% NO.

 

All’estero i votanti hanno superato di poco il 15%: sui primi tre quesiti i votanti per il SÌ (con differenze per continenti) non ha superato il 60%; sul quarto non supera il 55% di SÌ.

 

Imponente il numero delle astensioni: 74,1%.

 

Ora riflettiamo.

Certamente un certo numero di italiani ha deciso coscientemente di non andare a votare. Se è vero che in Italia i cattolici praticanti non arrivano al 20%, dobbiamo supporre che l’astensione (proposta dalla Chiesa ma anche sostenuta da posizioni ben diverse) abbia superato decisamente il fronte dei SÌ (diciamo, rimanendo realisti, un 30% di italiani).

Ma certamente almeno un 40% di astensioni sono da comprendere meglio.

I fautori del Referendum saranno tentati di dire che “il popolo” non è maturo, che il sistema referendario va rivisto, che l’informazione è stata scarsa…

Noi crediamo che il problema sia pi√π semplice.

Questo referendum toccava gli interessi (intendiamo anche economici) di pochi. Enormi interessi, certamente, ma di pochi. Poi toccava il dramma di alcuni, coppie sterili o (allargando ad arte il problema della ricerca scientifica) malati di varie patologie, che sono divenuti, loro malgrado, specchietti per le allodole. In più bisogna dire che la legge, sostenuta trasversalmente, mette in chiaro (e garantisce) alcuni punti su cui la coscienza collettiva è ancora sensibile: la realtà umana dell’embrione. Per questo, visto che non proibisce ma regolamenta gli abusi, questa legge non è vista come un male.

In realtà molti tra i parlamentari che pure l’hanno votata, e praticamente la maggioranza delle testate giornalistiche e televisive, spingono per un cambiamento.

C’è da supporre che il Parlamento provvederà: speriamo solo che un eventuale cambiamento della legge non sia fatto contro la volontà della stragrande maggioranza degli italiani.

 

D’altra parte è evidente come in taluni ambienti (scuole, università, giornali, spettacolo, politica, sanità…) la percentuale di coloro che si dichiarano contro questa legge è molto alta. Mentre è decisamente l’opposto tra la gente “comune”. Questo significa che l’Italia che crede di contare (perché si crede più istruita e - spesso - determina la vita degli altri) guarda con un certo disgusto il popolo “bue”. Se avesse votato SÌ, sarebbe stato maturo. Ma si è astenuto (in moltissimi con coscienza, come abbiamo visto) e quindi è immaturo.

Ci sembra di risentire la frase attribuita a Massimo D’AZEGLIO: “fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani”. Cioè la nazione deve essere educata a pensare e fare ciò che i pochi che detengono il potere hanno deciso. D’altra parte se il Presidente della Repubblica è andato a votare domenica mattina presto, con tanto di telecamere, il messaggio di ciò che doveva fare il buon cittadino è chiaro. Così molti intellettuali bollano la Chiesa di spingere al disinteresse, al menefreghismo.

I Radicali poi urlano contro lo slogan: “sulla vita non si vota”.

Perché tutto deve essere deciso a maggioranza, secondo questa cultura radicale; naturalmente dopo aver spinto le coscienze a ragionare come il potere ha deciso.

 

L’appello alla coscienza è stato, infatti, distorto: coscienza significa, per tale cultura radicale, “da solo”.

 

Così il punto è evidente: l’uomo deve decidere da solo. Perché l’uomo è solo.

E tutto dipende da ciò che l’uomo vuole. E l’uomo deve poter volere tutto.

Anche stare bene usando gli altri. Uccidendo gli altri.

Basta mettergli nella coscienza che non sono persone, e poi lasciarlo solo.

Pensiamo all’aborto, che da “delitto” per molti oggi è “diritto”, e diritto intoccabile.

 

Il punto doloroso è proprio questo: se si fosse discusso dell’aborto nessun invito all’astensione avrebbe retto. Ci sarebbe stata una maggioranza favorevole schiacciante. Perché troppi si sarebbero sentiti in gioco personalmente e, di fronte ai propri interessi egoistici, non si scherza.

Come dimostra il fatto che in Italia si è raggiunto il quorum anche nel 1995, quando c’erano ben dodici referendum e si toccava l’interesse di molti. Per non parlare del referendum contro l’aborto (voluto e perso dai cattolici) e sul divorzio.

 

Ciò che i radicali non capiscono è che la loro mentalità che ha invaso la testa di troppi, il relativismo soggettivista, è la causa del fallimento delle loro stesse proposte, della democrazia stessa. L’idea di libertà come assenza di legami è la causa del naufragio della democrazia.

 

Ciò che rende possibile una reale democrazia è l’esistenza di un popolo, con differenti posizioni culturali e politiche, ma comunque legato a valori e ideali comuni.

Il soggettivismo individualista produce masse amorfe e gruppi di potere che devono dominarle.

 

Per questo nella Chiesa è l’ora di una responsabilità.

Il popolo cristiano deve essere guidato e reso sempre più cosciente. L’esito di questo referendum dimostra che è ancora possibile. Ma se si crede di aver vinto e non si lavora alla ricostruzione del popolo cristiano, come mentalità e cultura che nasce dalla fede e come unità che nasce dal giudizio e dall’affetto per Gesù Cristo nella Sua Chiesa, si disperderà ciò che oggi si è potuto intravedere: il soggettivismo relativista può essere battuto dall’esperienza di una unità amorevolmente guidata.

 

Crediamo sia necessario che i Pastori dedichino tutte le loro energie a ricostituire il popolo intorno al Papa, recuperando molti che sono “pecore senza pastore”; crediamo che sia necessario investire tutte le energie nell’educazione, nella scuola: i cristiani devono ritornare ad essere visibili ed incontrabili dove si forma la coscienza dell’uomo, incontrando tutti coloro che sarebbero viceversa destinati ad alimentare il popolo degli individui soli o a cercare di diventarne dominatori; crediamo che le famiglie cristiane debbano investire tutte le energie perché i loro figli possano vivere esperienze scolastiche, educative e ricreative generate dalla fede.

La battaglia è nell’educazione.

L’Italia è paese di missione. Ed è possibile.

Tutto ciò crea libertà e vera democrazia.

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